Non pretendo nulla, tante volte
ti ho sentito passare, ti ho immaginato di là dalla strada, soprappensiero, o forse
distratto da qualcosa che lentamente si muove sull’acqua del fiume dal greto
troppo grande per la sua abituale portata d’acqua, ma solo abituale, non essere
frettoloso nei giudizi verso i costruttori di arcate…
Ti ho sentito, ti sento, passare con gli
occhi bassi, mentre ti domandi di quale materiale si compongano, a quale
materia appartengano quei blocchi che vai calpestando, se si chiamerà basalto,
o selce, o porfido… fai bene a domandartelo, anche se credo che dovresti già
saperlo, perché in fondo è strano come si possa convivere tutta la vita con
materie delle quali si riesce a fatica a conoscere l’origine, il nome.
Sento che ti piace questo
annuncio d’estate che il maggio gentile ti sta regalando, lo sento da come socchiudi
gli occhi, indugiando mentre doppi questo monumento ai caduti di una grande
guerra, di una patria quale che sia, e lasci che la luce del sole occhieggi tra
i quadrati che disegna la linea elettrica del filobus.
Ti piace trattenere memoria di
questa stagione, di questo tempo, di questa città ovattata nel pomeriggio quasi
paesano di passi trascinati lungo i viali.
Aria di fioritura incipiente, di
magnolie e di tigli, quella che preferisci, lo sento.
Stai tornando indietro, anche nel
tempo, ma senz’altro, più praticamente e semplicemente, sui tuoi passi.
Sarà stato il sole, sarà stato un
abbaglio, ma mi hai guardato quasi distrattamente, come se nulla fosse, o come
se tutto questo ‘nulla’ non fosse che una trascurabile abitudine.
La fermata del filobus è appena
più avanti, ma non salirai a bordo, non sai nulla di costo di biglietti, di
bigliettazione automatica a bordo, e soprattutto non sai nulla delle
destinazioni di quei mezzi. Se ti dicessero ‘tu sei qui’, non cambierebbe
nulla, non sapresti comunque scegliere dove andare, né, tanto meno, perché.
E allora sei tornato indietro, di
poco, saranno stati cento metri o cento passi dal punto che avevi raggiunto tu
al posto dove ti aspetto io.
Io non posso muovermi. Io sono
qui da sempre, e sarai tu a cercarmi, come sempre, come diversamente non
potrebbe essere. E’ così, e non ci sono motivi da spiegare o surrogare con argomenti
di qualsivoglia natura: io sono qui in un punto preciso, imprescindibile,
incontestabile.
Ora guardi verso di me, e dopo
tutti questi anni, dopo tutti questi tuoi pensieri sul mio conto, sento che
ancora ti fai delle domande, che vorresti sapere perché proprio io e non un
altro, o chissà cosa provo, e se ancora provo qualcosa, se il risentimento si
impadronisce a volte di me, se protesto contro il cielo, se desidero le
capriate così vicine o se lo slancio degli aggetti mi attira…
No, nulla di tutto questo, mi
basta che tu torni, di tanto, che ti ricordi di me, di cosa sono stato, se mai
sono stato individuato fra i tanti… perché, eravamo proprio in tanti, non
immagini quanti, tutti allineati, appena sfornati, dopo essere stati estratti
dalla nuda terra, e plasmati al fuoco divino dell’uomo costruttore…
Sì, io sono un mattone, tra
milioni di mattoni, e tu passi, ti fermi, e non sai di guardarmi, in questa
chiesa spoglia, dove ti fermi a guardare l’esterno, anche quando entri, e col
tuo silenzio non vedi che quadri, statue, simulacri vari di santi e di martiri.
Io ti sento, e mi basta: io sono
qui, dove tu, pur non sapendo, mi cerchi, tra le arcate e gli aggetti, nel mio
posto, squadrato ed a secco, anch’io pietra, a mio modo, miliare.
Altro non posso, io; tu, quando puoi,
mi basta un pensiero.
Nessun commento:
Posta un commento