E' un bel po' di tempo che non ''appiccico'' più nulla su questo blog. In seguito alla nota vicenda del treno fatto fermare a Ciampino causa ministro a bordo, mi è venuto in mente questo episodio occorsomi tanti anni fa, quando ero in servizio al piano terra nell'ufficio movimento della stazione di Piacenza, cioè prima che traslocassimo al primo piano, da dove raramente sono intervenuto in caso di attraversamenti di binari, a parte qualche sgridata a mezzo altoparlante.
Il signor ministro.
Quel giorno l'eurostar si fermò sul binario di corsa, il terzo, e pensai “alle solite, quando hanno problemi questi capitreno non avvisano mai...”; la fermata invece fu velocissima, il treno ripartì quasi subito e affacciandomi alla vedetta dell'ufficio, vidi un signore abbastanza anziano, un altro di mezza età, alquanto corpulento, che si guardava intorno circospetto ed una giovane donna con una borsetta ed una valigetta di pelle dall'aria alquanto, come dire, “importante”, e tutti insieme attraversavano i binari per raggiungere il primo marciapiedi, ignorando l'obbligo di servirsi del sottopassaggio.
Ora, questa italica attitudine di attraversare i binari alla prima occasione è una cosa che al ferroviere medio dà sempre un certo fastidio, sicché l'immancabile reprimenda stava già prendendo forma sulle mie labbra, quando il più anziano dei tre cominciò con un “escuse señor, escuse...”, che mi fece pensare “evvabbè, passerà anche questa...”
I tre entrarono in ufficio, alquanto impacciati, e l'uomo fece cenno alla donna di consegnarmi qualcosa... era un biglietto da visita, il nome non lo ricordo, ma il concetto era chiaro: dopo il nome, il titolo: Ministro del Interior de la Repùblica Argentina...
“Ah, lei è il ministro degli interni dell'Argentina?”, domandai con un mezzo sorriso.
“Sì, señor, y usted es el jefe aquì?”, mi rispose, con una semplicità disarmante.
“Beh, in un certo senso… sono quello che fa circolare i treni in questa stazione… ma voi come mai siete scesi così all'improvviso da quel treno che non doveva fermare?”
“Perdone, mìster, ma en Florencia abbiamo sbagliato treno e non siamo più potuti scendere, fino alla vostra stazione... dovevano autorizzarci da Roma, per poter scendere… Usted conosce la Republica Argentina?...”
“Che scherzo, pensai… la prima volta che vedo un ministro in carne e ossa, mi appare un anzianotto smunto, quasi trasandato, con una segretaria, o quello che era, poco più in carne di un manico di scopa ed un gorilla da passeggio da far ridere i polli… però è interessante che venga dall'Argentina, pensai, dell'Argentina potrei parlare come di casa mia, tanto l'ho studiata, tanto ne ho letto...”
E allora risposi di sì, che conoscevo l'Argentina per averci trascorso un po' di tempo, dalle parti di calle Maipù, numero 994, mi pare, e giù con le esquinas, calle Florida, el nuestro Palermo, le confiterìas, le empanadas, la Recoleta… i miei conterranei calabresi di un tempo lontano, Porchia, maestro di pensiero in Sudamerica e autore delle frasi dei baci Perugina in Italia (sic!), la mia amata América Serafina Scarfò, anarchica, mio nonno paterno Giuseppe, che vendette tutto quel che aveva, partì sullo stesso legno che una volta ospitò Pirandello-la nave Mafalda- si ammalò, tornò e fu sepolto insieme alla fortuna, tutto enunciando come se fosse vero… quasi quasi volevo domandargli se avesse conosciuto Borges, Cortàzar, Ernesto Sabato, la Patagonia, vivi, morti, per me quasi indifferentemente, personaggi sempre del mio mitico mondo di carta e mappe...
Mi resi conto che qualche mio collega mi guardava non già ammirato per le mie conoscenze -y fìjese!- né tantomeno per la mia inventiva, quanto per lo scoprirmi improvvisamente capace di rompere i miei silenzi e parlare senza quasi riuscire a fermarmi… qualcun altro già suggeriva di chiedergli di Maradona...
Devo dire che il signor ministro aveva capito tutto, e stava anche al gioco, rilanciando con domande adeguate e con osservazioni precise...
Il materializzarsi degli agenti di polizia ferroviaria mi sembrò un po', devo dire, come l'arrivo degli infermieri mandati dall'ospedale psichiatrico... poco ci mancò che io e il ministro ci mettessimo a strillare insieme “ancora un momento, ancora un momento, per favore, lasciateci finire il gioco”, mentre ci infilavano la camicia di forza e ci portavano via dicendo “la prossima volta lei faccia il ministro di un paese amico e lei faccia il capostazione, e state zitti, che cavolo!”
I poliziotti presero in consegna ministro, segretaria e gorilla -ringalluzzito, devo dire - e mi pare di poter dire che mentre si allontanavano ci fu uno sguardo d'intesa tra me e il ministro, quasi stesse per dirmi qualcosa come “se vieni in Argentina passa a trovarmi...”
In effetti, per qualche tempo ho conservato quel rettangolino di carta dell'altro lato del mondo, poi i miei cassetti hanno avuto la meglio su quel biglietto da visita, ed anche sui miei ricordi.
febbraio 2010