Minchia, Missone, ancora
continui!...': era quasi
un modo di salutarsi, quando ci incontravamo, come passeri
infreddoliti, ad aspettare che aprissero la porta del 'palazzu 'e
Pignatari', dove ci avevano infilati, un po' come si fa oggi nei
centri di prima accoglienza, per frequentare la classe seconda della
scuola media statale di C.M., credo una delle poche scuole senza
nemmeno uno straccio di denominazione, in tanta retorica
italomeridionale.
......omissis.............
Seconda
media, plesso Pignataro, e Gino che aspetta, e mi dice 'cià,
compà!
'Che?!'
'Cià,
compa Catà!'
Noto che sa che compà, univerbandosi col nome seguente, da
tronca che era, diventa parola piana ... e un po' mi preoccupa:
'Missò,
cos'hai combinato? Hai sparato a qualcuno con la carabina, hai
sbagliato la mira e lo hai colpito?'
No, Missone non ha colpito nessuno, almeno non allora e non per
errore.
Mi indica una grossa catena, una catena con la quale ha chiuso il
cancello in ferro arrugginito del cortile del palazzotto, un'altra
grossa catena con cui ha chiuso il portone in puro legno marcito
della scuola e mi dice che con altre sei catene ha chiuso le porte
delle sei aule che avrebbero dovuto accoglierci.
O meglio, mi dice che anche quel giorno lì ha provveduto a
chiudere ogni accesso, e che solo io che sono il suo unico amico lo
so.
E so anche che lui ha tredici anni e non ha paura dei fantasmi e
riesce a intrufolarsi in quella casa degli spiriti e a chiuderla
durante la notte, con rumore di catene.
Come
ha fatto nei giorni precedenti, cosa che sappiamo solo noi due, anche
se a me spiace, soprattutto perchè non potrò godermi la lezione del
professore di italiano, il mio venerato - e non sto esagerando -
professore Domenico A., da Cittannova (non riusciva a dirlo
'Cittanova', era più forte di lui e della sua cultura che intuivo
vasta), quell'enorme sant'uomo, troppo grande per quella sedia sulla
quale, dietro la cattedra, era costretto a contorsioni indicibili,
per raggiungere un po' di comodità e stabilità, chissà, forse si
trovava meglio sulla sua giulia
alfa romeo 1300
bianca, targata Reggio Calabria, con due erre, comu
dìnno a Rrìggiu.
-E
voglio proprio vedere se il professor Tarzan (con
evidente storpiatura del nome dell'atletico professore di matematica,
sciupafemmine instancabile), riesce
ad aprirla la scuola, voglio vedere se anche oggi riesce a scavalcare
il balcone e farci entrare, come l'altro giorno, che però ci ha
messo due ore, e poi era tutto contento, e se lo mangiavano con gli
occhi, insegnanti e supplenti...
E
infatti poco dopo lo vide, il professor Tarzan, che si era
evidentemente preparato per tempo sul da farsi, mentre affacciato al
balcone di palazzo Venezia mostrava alla folla di professori e
autorità plaudenti - gli alunni un po' meno - le tronchesi di cui si
era munito, e che aveva preso dal cofano della sua auto, con un colpo
di scena impressionante per ritmo e icasticità, il maledetto
nerboruto essendosi sollevato con la forza delle sole braccia fino al
balcone e con un colpo di reni avendolo scavalcato, quel maledetto!,
che sarebbe potuto semplicemente entrare dalla porta principale, dopo
aver fatto scempio delle catene... ma una prova di forza era ormai da
tempo necessaria, povero Missone che continuava a sognare mentre
guardava da sotto la cattedra le gambe accavallate della supplente
futura signora Tarzan, con incipiente panza da lezioni d'equazioni
mal calcolate, della qualcosa ricordo chiaramente che Gino disse: 'se
sapevo che si fregava da solo, non stavo a crepare di paura per
fargli dispetto, a su ciotu fricatu
(a questo scemo fottuto) !...'
Sicchè fu presto ora di entrare in aula, il teatrino essendo già
finito, l'oro per la patria già raccolto e contabilizzato, Tarzan al
balcone, corpo docente femminile adorante, e noi chiamati a piegare
la testa: tra noi e Tarzan, le asperità delle forche caudine,
piegarsi ad uno ad uno, a capo chino... qui ci crofiggeranno ai pali
della luce lungo la via Appia, Spartaco, Spartaco fa' qualcosa, abbi
pietà di noi!
forse è vero, come qualcuno mi dice, che ero un vaso di coccio in mezzo a tanti vasi di ferro... o forse ero il vaso di ferro che temeva di far male ai vasi di coccio... non lo so, caro anonimo/a
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