Lettura del ‘Sonetto 272 dei
Rerum vulgarium fragmenta’ di Francesco Petrarca (‘Francisci Petrarchae
laureati poetae rerum vulgarium fragmenta’, se vogliamo dirla tutta; ‘Il
Canzoniere’, per gli amici…).
La lettura del signor Siti mi
sembra, forse come temevo - e in questo caso devo ammettere di essere stato ‘prevenuto’
- un compitino editoriale che il ‘commentatore’ si sarà di buon grado
accollato, per gli evidenti ‘ritorni’ che potrà trarne.
Il Siti esordisce con un ‘Non è
un sonetto perfetto e questo commuove in un poeta che è stato modello di
perfezione per alcuni secoli.’ Ognuno è
libero di esprimere i propri convincimenti, ci mancherebbe: posso quindi dire
che è mia convinzione che questa è la prima lapalissiana sciocchezza contenuta
in questo commento.
Metricamente il sonetto è
perfetto, come sempre in Petrarca, e risponde ai canoni metrici dell’epoca… e
anche delle epoche successive: due quartine e tre terzine secondo lo schema
ABBA ABBA CDE CDE, rima alternata nelle quartine e rima varia nelle terzine,
punto. Se poi non torna il computo delle sillabe che formano i versi… lì
bisogna applicarsi e ricordare che non basta, per esempio, contarle secondo la
divisione dettata dalle grammatiche, ma secondo le leggi della metrica.
Il commento prosegue con un ‘in
veritate è superfluo’… no, non lo è: è umano e funzionale, anche, per quanto
attiene alla ‘misura’ dei versi, altro che ‘zeppa da poeta mediocre’.
‘Or quinci or quindi’, ‘ e poi da
l’altra parte’ sono, secondo il Siti, ‘precisazioni pesanti: nei primi cinque
versi si ripete per sette volte la congiunzione ‘e’’…. e allora? Forse
occorrerebbe calarsi, più umilmente, nella vita e nella poetica del tempo di
Petrarca, magari dopo aver dato una buona scorsa ad un manuale di stilistica e
di storia della letteratura… così è troppo comodo, criticare con l’occhio di
oggi e cercare peli nell’uovo che al poeta del Canzoniere saranno
indubitabilmente costati ore di pensiero e di apprensione, nonché di applicazione.
E’ un commento scadente,
perlomeno deludente: come si dice dalle parti del Siti, in valle padana, credo
che questo signore stia ‘zappando fuori del suo orto’ e farebbe bene, anzi
benissimo, a cercare di comprendere quali siano stati gli schemi entro i quali
Petrarca, e la pletora di imitatori dell’aretino - ma non solo imitatori, anche
buoni poeti - si sono mossi, anzi dovuti muovere. Non si assurge a regolatori
della lirica italiana per secoli senza una solida ispirazione e preparazione
poetica: comprimere un sentimento è forse più difficile che esprimerlo, specie
quando il mezzo è in un certo senso ‘volatile’ come la poesia… e allora non
venga a parlare di luoghi comuni della letteratura classica ed altre amenità
del genere… Il Siti dovrebbe dire, se lo sa, come nasce la poesia, cosa
comporta, cosa ha dentro, questo modo di esprimere la propria e l’altrui
umanità. Ma di questo, a ben guardare, ognuno può farsi una idea leggendo gli
autori e i critici… stavo per dire ‘critici seri’, quelli che spesso sono, a
loro volta, anche poeti e possono capire.
Questa della Repubblica rimane, a
mio modo di vedere e a giudicare da questa prima uscita, una semplice
operazione editoriale o poco più, mancando le promesse e le premesse di una
lettura liberata da orpelli e altri pesi accademici: non vi è nessun senso di
sconosciuta leggerezza in questo modo di commentare un testo poetico. E allora
tanto vale che me torni a cantarmela e suonarmela da solo, proprio come quei
dannati dei blog di cui il Siti parlava nel presentare il suo ‘lavoro’.
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