Non mi invento nulla,
le stavo parlando di quella volta lì, dal barbiere; mio figlio era
piccolo, sui cinque anni, decisi di portarlo dal barbiere del paese
in cui allora vivevo, un bel taglio vivo e via... Dicono che i
barbieri, i sarti, siano spesso spie o anarchici, ma sono dicerie di
un tempo che fu. Questo barbiere invece mi sembrava semplicemente un
po' impiccione, un gradino al di sotto del titolo di spia: subito
cercò di capire chi fossimo, da dove venissimo, e il suo sguardo
indagatore mi sembrava interloquire con quello dei clienti abituali
del ''salone'', come si chiamano ancora dalle mie parti; le attese
del barbiere e dei suoi amici mi sembravano andare deluse dalle mie
frasi quasi appena accennate... - che sì, che abitavamo in quel
paese da qualche anno -, - che però non conoscevamo quasi nessuno -,
e altre frasi ugualmente di scarsa portata; prolungandosi l'attesa,
l'interesse verso la presenza mia e del bambino scemò quasi del
tutto...
Finalmente potevamo
aspettare il turno per il taglio dei capelli, solo infastidito, io,
dall'eloquio un po' sopra le righe di qualche sfaccendato che cercava
di attaccar briga sparlando di questo o quell'altro calciatore, ben
conoscendo le tendenze calcistiche dei destinatari delle frecciatine
che lanciava.
Mi ripromisi di non
metter più piede in quel posto, non accettavo che si parlasse in
quel modo in presenza di un bambino.
Ma ormai eravamo lì,
e ci eravamo, quasi, quando mi accorsi che il barbiere, indicando con
le forbici trattenute a mezz'aria il posto dove sedevo, stava dicendo
che quel tale era seduto proprio lì, al posto di quel signore lì...
cioè del sottoscritto.
Smisi il mio
disinteresse e mi feci attento... colsi nel racconto del barbiere...
che l'uomo - il nome mi era sfuggito - era entrato sorridente, aveva
scherzato, aveva aspettato pazientemente e poi aveva chiesto un
'servizio completo', barba, capelli, shampoo, e anche i peli del
naso, sì, anche quelli... doveva farsi bello, mettersi in ordine,
non voleva sfigurare, - così disse -, per andare a buttarsi sotto il
treno.
Certo il barbiere non
poteva immaginare che un giorno gli sarebbe toccato di dover
raccontare questa storia, certo che no. Nessuno aveva creduto a
quella che di lì a poco si sarebbe rivelata essere una dichiarazione
inappellabile, precisa.
Intanto mi sono alzato
da quella sedia: fortunatamente, un po' distanti, su un tavolino di
vimini c'erano dei giornali...
A un centinaio di metri si sentiva
il fischio del treno, come un brivido ripetuto.
Io non l'avevo avvertito,
mi ero distratto, e non avevo capito che quel fischio che non
smetteva aveva richiamato quel ricordo alla mente del barbiere: era
lo stesso fischio di qualche anno prima; anche l'ora, e il luogo, erano gli stessi, più o meno.
4 agosto 2010
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