mercoledì 6 maggio 2015

Materiale in costruzione.

Non pretendo nulla, tante volte ti ho sentito passare, ti ho immaginato di là dalla strada, soprappensiero, o forse distratto da qualcosa che lentamente si muove sull’acqua del fiume dal greto troppo grande per la sua abituale portata d’acqua, ma solo abituale, non essere frettoloso nei giudizi verso i costruttori di arcate…
Ti ho sentito, ti sento, passare con gli occhi bassi, mentre ti domandi di quale materiale si compongano, a quale materia appartengano quei blocchi che vai calpestando, se si chiamerà basalto, o selce, o porfido… fai bene a domandartelo, anche se credo che dovresti già saperlo, perché in fondo è strano come si possa convivere tutta la vita con materie delle quali si riesce a fatica a conoscere l’origine, il nome.
Sento che ti piace questo annuncio d’estate che il maggio gentile ti sta regalando, lo sento da come socchiudi gli occhi, indugiando mentre doppi questo monumento ai caduti di una grande guerra, di una patria quale che sia, e lasci che la luce del sole occhieggi tra i quadrati che disegna la linea elettrica del filobus.
Ti piace trattenere memoria di questa stagione, di questo tempo, di questa città ovattata nel pomeriggio quasi paesano di passi trascinati lungo i viali.
Aria di fioritura incipiente, di magnolie e di tigli, quella che preferisci, lo sento.
Stai tornando indietro, anche nel tempo, ma senz’altro, più praticamente e semplicemente, sui tuoi passi.
Sarà stato il sole, sarà stato un abbaglio, ma mi hai guardato quasi distrattamente, come se nulla fosse, o come se tutto questo ‘nulla’ non fosse che una trascurabile abitudine.
La fermata del filobus è appena più avanti, ma non salirai a bordo, non sai nulla di costo di biglietti, di bigliettazione automatica a bordo, e soprattutto non sai nulla delle destinazioni di quei mezzi. Se ti dicessero ‘tu sei qui’, non cambierebbe nulla, non sapresti comunque scegliere dove andare, né, tanto meno, perché.
E allora sei tornato indietro, di poco, saranno stati cento metri o cento passi dal punto che avevi raggiunto tu al posto dove ti aspetto io.
Io non posso muovermi. Io sono qui da sempre, e sarai tu a cercarmi, come sempre, come diversamente non potrebbe essere. E’ così, e non ci sono motivi da spiegare o surrogare con argomenti di qualsivoglia natura: io sono qui in un punto preciso, imprescindibile, incontestabile.
Ora guardi verso di me, e dopo tutti questi anni, dopo tutti questi tuoi pensieri sul mio conto, sento che ancora ti fai delle domande, che vorresti sapere perché proprio io e non un altro, o chissà cosa provo, e se ancora provo qualcosa, se il risentimento si impadronisce a volte di me, se protesto contro il cielo, se desidero le capriate così vicine o se lo slancio degli aggetti mi attira…
No, nulla di tutto questo, mi basta che tu torni, di tanto, che ti ricordi di me, di cosa sono stato, se mai sono stato individuato fra i tanti… perché, eravamo proprio in tanti, non immagini quanti, tutti allineati, appena sfornati, dopo essere stati estratti dalla nuda terra, e plasmati al fuoco divino dell’uomo costruttore…
Sì, io sono un mattone, tra milioni di mattoni, e tu passi, ti fermi, e non sai di guardarmi, in questa chiesa spoglia, dove ti fermi a guardare l’esterno, anche quando entri, e col tuo silenzio non vedi che quadri, statue, simulacri vari di santi e di martiri.
Io ti sento, e mi basta: io sono qui, dove tu, pur non sapendo, mi cerchi, tra le arcate e gli aggetti, nel mio posto, squadrato ed a secco, anch’io pietra, a mio modo, miliare.
Altro non posso, io; tu, quando puoi, mi basta un pensiero.