martedì 31 dicembre 2013

A varca, La barca.



N’atu pocu e s’appiccin i luci
s’astùtin i gridàti di marinàri
e ncuna lampàra sinni scìvula
queta si stricannu
subb u grassu di travèrzi
e verz l’unna,
e già è nta maru
Jè minni staju oramà
Votata, u funn all’aria
E subba a riva chjanu chjanu
Sentu ca minni scilu
Jurnu doppu jurnu.

Nu mmi lamèntu
Ca n’he visti genti
Fìmmini ca m’aspettàvinu
Cuntenti e l’omin nta l’occhj
Chjari com a stidda polara
o nìvuri com a timpèsta
certi jurni mmenz u maru.

Erin' i megghj anni
E su’ passati
Mo’ mi sentu com na vecchja cumpàgna
o  ati voti com na nzìpida cunnànna.

Guàrdu a si guagnùni
E mi riànimu

E’ sira, e te’, n’arriva unu:
l’he vistu crìsciri
ccu si magghjcèddi a righi
‘e tanti culùri ca parìa nu gaddu
e mo’
mo’ s’apprisènta ccu a sigarettèdda
e sa guagnùna, nivura, bedda
ccu occhj ‘e zzingarèdda.

Su ancòra duj ciotarèddi
Si mìntini ddoc’arrètu
E pàrrin, pàrrin
Fin a quann  u cannaròzzu li si sicca
E allùra, ccu sa šcarda
U giùvinu s’accàla
E idda sinn fuìssa mmenz u maru
A mossa ‘e s’ammucciàre, si ci fòssin sipàli.

Ma u russùru passa
E suli suli i vasi arrìvin
E leggi leggi i paròli
Ncuna carìzza
E tanti sonni e riminìzzi

Su duj criatùri
E mi l’ammùcciu stritti
Sutta sa varca, e lassu ca li pìja u sonnu
Fin a quannu bussa u jurnu
Ch’i rišpìgghja,
Unu ncapìzzi, l’ata ara perìzzi.

La barca. 
Fra un po’ si accenderanno le luci
Si spengono le grida dei pescatori
E le prime lampare scivoleranno
Quiete sfregando
Sul grasso dei legnami
E verso l’onda
E già è nel mare
Io me ne sto oramai
Rivoltata, scafo all’aria
E sulla riva, piano piano
Sento che lentamente slitto
Giorno dopo giorno
Non mi lamento
Ne ho vista di gente
Di donne che mi aspettavano
Contente dei loro uomini negli occhi
Chiari come la stella polare
O neri come la tempesta
Certi giorni in alto mare
Sono stati gli anni migliori,
e sono passati
ora mi sento come una vecchia compagna
e altre volte come una insipida condanna
guardo questi giovani
e mi rianimo
è sera, ed ecco
ne arriva uno:
l’ho visto crescere
con quelle sue magliette a righe
di tanti colori che sembrava un gallo
ed ora
ora mi si presenta con la sigarettella
e la ragazzina, mora, bella
con occhi da zingarella
Sono ancora due sciocchini
Si siedono qua dietro
E parlano, parlano
Fino a quando la gola gli si secca
E allora, con la scusa
Il giovane si avvicina
E lei scapperebbe in mezzo al mare
A fingere di nascondersi, se ce ne fossero, dietro siepi
Ma il rossore passa
E soli soli i baci arrivano
E lievi lievi le parole
Qualche carezza
E tanti sogni e pensieri contorti
Sono due ragazzi
E me li tengo nascosti, stretti
Sotto questa barca, e lascio che si addormentino
Fino a quando busserà il giorno
Che li risvegli
Unu ncapizzi, l’ata mperizzi.*

*uno dal lato della testa del letto... improvvisato, l'altra dal lato dei piedi.






domenica 29 dicembre 2013

Excerpta dalle traduzioni dei poeti erotici dell'antologia palatina di Luigi Siciliani.



'Avrei potuto tralasciare nella stampa qualcuno di questi epigrammi: quelli che i traduttori stranieri per solito omettono o rendono in lingua latina; ma non l'ho fatto, ritenendo ciò un atto di mediocre ipocrisia. Il secolo della cocaina e del più sfacciato arrivismo morale e politico che sia esistito nella storia, non mi fa obbligo di tanto pudore fisico. Né Afrodite fu mai tanto bella come quando si levò ignuda dalla spuma del mare.' 
(Nota alla traduzione degli 'Erotici' della Antologia Palatina, Quintieri, Milano, 1921).
Luigi Siciliani (Cirò 1881- Roma 1925).
Filodemo..............A Eliodora
L'anima mi consiglia l'amor tuo di fuggire, Eliodora;
      essa che gli antichi pianti conosce e i crucci.
Dice; ma di fuggirti io già non ho forza: impudente
      l'anima mi consiglia, e consigliando t'ama.
 Bello, vero? E profondo, sempiterno... Ma anche:
Anonimo...............Il segreto
Arsi, chiesi, ottenni: io l'ho posseduta, ella m'ama;
   chi, di chi, come, Cipride lo sa solo.
Oppure:
Rufino.........................Giudizio primo.
Giudice dei tre culi io fui, però ch'esse stesse
   mi scelsero, mostrando la splendidezza ignuda.
Uno da tondeggianti pozzette portava segnate
   le candide, a toccare, natiche soavissime;
l'altro, divaricato, in mezzo alle carni di neve
   faceva rosseggiare una sanguigna rosa;
l'ultimo in calma, con un silenzioso fluire,
   da sé sotto la pelle morbida palpitava.
Se questi culi avesse veduto chi fu delle dee
  giudice, rifiutava ogni giudizio ad esse.
Infatti, sempre lui,
Rufino.......................Giudizio secondo.
Ròdope e Rodoclèa insieme con Mèlita a lite
   vennero su chi avesse inguine più perfetto.
Giudice ne fui scelto, e come le tre somme dee
   stettero esse ignude, nettare respirando.
E di Ròdope il pube, d'onore assai degno, splendeva
   come rosaio mosso da sereno zeffiro.
Ma in Rodoclèa cristallo pareva, di fresco lustrato,
   come in un tempio la recente statua.
Bene io sapendo quanto Paris soffrì pe' l giudizio
   tutte e tre le cinsi d'un immortale serto.
E addirittura, in un crescendo ‘porno’:
Gallo..................Autopresentazione
- Lyda ad un tempo stesso tre uomini svelta soddisfa,
  uno, più su del ventre: gli altri, uno sotto e un dietro:
  pedica questo e fotte il secondo, ed il primo m'irruma.*
     Riguardi non avere, se in tre venite, e hai fretta. -
*Dài, che sotto sotto quel catulliano 'pedicabo ego vos et irrumabo' a qualche anima candida sarà pure, per quanto reconditamente, rimasto impresso.
E giusto per 'épater' un po':
Dioscoride........................Ammaestramento.
Non reclinare mai la donna ch'è incinta sul letto,
   godendo volto a volto Venere geniale:
poi che grande un'onda starà tra di voi, con fatica
   ella dovrà remare, tu sopportare il flutto;
ma rivolgila, e godi le cluni che sembrano rose,
   credendo la consorte Venere fatta efebo.
Ma non storcete il nasino, e muoviamo indietro il passo:
Marco Argentario...............Melìssa.
Tutto, Melìssa, fai come ape che gode dei fiori;
   bene io lo so; nel cuore, donna, lo porto scritto.
Anche miele distilli dal labbro, se dolce mi baci;
   ma, quando vuoi, ferisci con pungiglione iniquo.
Poiché:
Meleagro...........................A Eros
Quante volte nel fuoco tu l'anima, Eros, mi bruci,
tante ne sfugge, o stolto, essa che pure ha l'ali.*
*Sembra che il destino aspetti sulla strada fatta per evitarlo, no?
Ma cosa vuoi farci? Cosa non si fa per amore (amore… faccio per dire), potendo?
Anonimo.....................Ambiguità
Aquila Zeus si fece per il pari a un dio Ganimede,
   cigno divenne per la bionda madre d'Elena.
Bene così non si scerne: e per questo d'entrambe le cose
   c'è chi ama l'una o l'altra; io l'una e l'altra bramo.
E a quali sotterfugi non si ricorre, se:
Anonimo.......................Un desiderio
Oh, diventassi vento, perché tu andando alla spiaggia,
   nel tuo seno ignudo ne raccogliessi il soffio.
Il desiderio, il soffio, il respiro, l'attimo in cui tutto deve realizzarsi, come:
Platone.................Baciando Agatone
Nel baciare Agatone io l'anima avevo sul labbro,
   misera, salita come per trapassare.
                                                        *********************
Qui concludo questo excursus, sperando di aver colto e trasmesso una idea degli equilibri dell'erotismo e degli equilibrismi delle sue... evoluzioni, come dire? da eros a porno.
Ad ogni modo ci tengo a sottolineare la risolutezza e l'indipendenza culturale - vedi il rifiuto dell'ipocrisia nella nota iniziale del post- con le quali Siciliani decise di affrontare le traduzioni più 'spinose'.

lunedì 16 dicembre 2013

Estratto da 'Minchia, Missone, ancora continui...' (Titolo: Catene.)

 
Minchia, Missone, ancora continui!...': era quasi un modo di salutarsi, quando ci incontravamo, come passeri infreddoliti, ad aspettare che aprissero la porta del 'palazzu 'e Pignatari', dove ci avevano infilati, un po' come si fa oggi nei centri di prima accoglienza, per frequentare la classe seconda della scuola media statale di C.M., credo una delle poche scuole senza nemmeno uno straccio di denominazione, in tanta retorica italomeridionale.
......omissis.............
Seconda media, plesso Pignataro, e Gino che aspetta, e mi dice 'cià, compà!
'Che?!'
'Cià, compa Catà!'
Noto che sa che compà, univerbandosi col nome seguente, da tronca che era, diventa parola piana ... e un po' mi preoccupa:
'Missò, cos'hai combinato? Hai sparato a qualcuno con la carabina, hai sbagliato la mira e lo hai colpito?'
No, Missone non ha colpito nessuno, almeno non allora e non per errore.
Mi indica una grossa catena, una catena con la quale ha chiuso il cancello in ferro arrugginito del cortile del palazzotto, un'altra grossa catena con cui ha chiuso il portone in puro legno marcito della scuola e mi dice che con altre sei catene ha chiuso le porte delle sei aule che avrebbero dovuto accoglierci.
O meglio, mi dice che anche quel giorno lì ha provveduto a chiudere ogni accesso, e che solo io che sono il suo unico amico lo so.
E so anche che lui ha tredici anni e non ha paura dei fantasmi e riesce a intrufolarsi in quella casa degli spiriti e a chiuderla durante la notte, con rumore di catene.
Come ha fatto nei giorni precedenti, cosa che sappiamo solo noi due, anche se a me spiace, soprattutto perchè non potrò godermi la lezione del professore di italiano, il mio venerato - e non sto esagerando - professore Domenico A., da Cittannova (non riusciva a dirlo 'Cittanova', era più forte di lui e della sua cultura che intuivo vasta), quell'enorme sant'uomo, troppo grande per quella sedia sulla quale, dietro la cattedra, era costretto a contorsioni indicibili, per raggiungere un po' di comodità e stabilità, chissà, forse si trovava meglio sulla sua giulia alfa romeo 1300 bianca, targata Reggio Calabria, con due erre, comu dìnno a Rrìggiu.
-E voglio proprio vedere se il professor Tarzan (con evidente storpiatura del nome dell'atletico professore di matematica, sciupafemmine instancabile), riesce ad aprirla la scuola, voglio vedere se anche oggi riesce a scavalcare il balcone e farci entrare, come l'altro giorno, che però ci ha messo due ore, e poi era tutto contento, e se lo mangiavano con gli occhi, insegnanti e supplenti...
E infatti poco dopo lo vide, il professor Tarzan, che si era evidentemente preparato per tempo sul da farsi, mentre affacciato al balcone di palazzo Venezia mostrava alla folla di professori e autorità plaudenti - gli alunni un po' meno - le tronchesi di cui si era munito, e che aveva preso dal cofano della sua auto, con un colpo di scena impressionante per ritmo e icasticità, il maledetto nerboruto essendosi sollevato con la forza delle sole braccia fino al balcone e con un colpo di reni avendolo scavalcato, quel maledetto!, che sarebbe potuto semplicemente entrare dalla porta principale, dopo aver fatto scempio delle catene... ma una prova di forza era ormai da tempo necessaria, povero Missone che continuava a sognare mentre guardava da sotto la cattedra le gambe accavallate della supplente futura signora Tarzan, con incipiente panza da lezioni d'equazioni mal calcolate, della qualcosa ricordo chiaramente che Gino disse: 'se sapevo che si fregava da solo, non stavo a crepare di paura per fargli dispetto, a su ciotu fricatu (a questo scemo fottuto) !...'
Sicchè fu presto ora di entrare in aula, il teatrino essendo già finito, l'oro per la patria già raccolto e contabilizzato, Tarzan al balcone, corpo docente femminile adorante, e noi chiamati a piegare la testa: tra noi e Tarzan, le asperità delle forche caudine, piegarsi ad uno ad uno, a capo chino... qui ci crofiggeranno ai pali della luce lungo la via Appia, Spartaco, Spartaco fa' qualcosa, abbi pietà di noi!

domenica 15 dicembre 2013

Ab ovo.

Ab ovo, dall'inizio e tanto per darmi un tono, cosa che ho sempre rifuggito. I poeti non fanno la poesia, tantomeno la poesia fa i poeti. E' un rapporto che trovo inevaso, inconcluso, questo dare ed avere tra la forma e il sentire. Certo è possibile saper scrivere poesia, farne critica ed esegesi, anche senza troppo spendersi e con qualche guadagno in termini di visibilità e apprezzabilità; interpretare poesia è altro, e questo non paga, quasi mai. Se la poesia ti cerca, prima o poi ti trova. Se la cerchi, allora cercala nelle parole di altri che ci sono passati, forse ti sarà più facile incontrarla, certo sarà stato un altro a saperla proporre - magari un letterato, un mestierante, nella peggiore delle ipotesi - ma cosa importa... a questa fiera non si vince nulla, al massimo un altro giro di giostra. Come mai se vi aggirate per blog ed editoria varia non trovate mai qualcuno che vi spieghi cosa volesse dire con quelle parole spezzate prima che finisca il rigo? Nella peggiore delle ipotesi si tratta del guadagno che chi scrive può ricavare dall'essere sopravvalutato dal lettore... che poi questi ruoli, ovvero chi è colui che scrive, chi è colui che legge, sono assolutamente arbitrari, casuali, dipendenti da scelte personali... Bisogna avere quell'onestà di dichiarare cosa si voleva dire con i cosiddetti versi e meravigliarsi di cosa il lettore abbia capito, che, spesso ma non sempre, va oltre le intenzioni del 'poeta', e magari renderne merito... a chi legge, dirgli 'ah, non l'avevo capito!' e ringraziarlo.
Ora non ho tempo né voglia di dire per filo e per segno cosa c'è scritto qui sotto, sono cose molto personali (!!!) che parlano di timori e paure dell'infanzia, di ammonimenti e insegnamenti popolareschi, rudimenti accolti senza filtri di alcun genere... e poi spero che ci sia quello che l'eventuale lettore  potrà capire meglio del sottoscritto: a lui sono riconoscente e dico: Ah, l'ho scritto ma non l'avevo capito!... Grazie.
Le mani pronte
a ripetere
chirieleisò, chirieleisò
- dillo con me, non so cosa sia -
lo dico, non aver paura
forse è il treno delle notti tutte
o il tuono, lo hai sentito? Hai visto il lampo?
Poteva risucchiarti, se solo sull'uscio...
entrare e con te in braccio vederlo volare

no, nessuno è tornato
ci hanno lasciato solo le mani, sudate
dammi un bacio, piccolissimo
tra le cortine
ora,
sembrano quasi barricate, sì
ridiamo... tienimi la storia:
ti ripeto le cinque giornate
già...

ma capire quel tempo
abitarne l'intercapedine
saggiarne lo stacco
c'era uno così, sai? Nell'altra stanza
tra il carapace e la materia
molle

il piccolo vuol sapere tutto

ma non so come finisce, l'ho scordato
forse
sognavamo
e ripetevo
con te christeleisò, christeleisò
tutta la notte ho baciato il santino
ma non t'ho svegliata, non io
forse era la paura chi veniva a toccarti
a sfiorarti sugli òmeri sommandosi
a quanti eravamo, a capo e a piedi nello stesso letto
a una distanza che non muta
quale non so...
forse questa cesura dal giorno
o dalle paure
o dai ricordi dai precetti dagli insegnamenti
dalle piccole note spacciate per comandamenti
dai non guardate le mani di chi ha, dai non chiedete nulla
o dai meglio una febbre che vi porti
per quanto vi ami
piuttosto che ladri
o infami

chirieleisò, christeleisò
guarda le mani, guarda le mani
e i cocci del rosario
il primo morto della nostra vista
e quasi con gli occhi
si muovono ancora e le dita e le nari.

giovedì 12 dicembre 2013

la lucertola

mercoledì, 04 maggio 2011, da Catablogario (Splinder)
solevo a passi
scompagnare ànditi
oltre sempre
quasi a campitura
di note a mare
di mai più scordare
imponderati, gli equilibri

e poi
non oltre, passare
la linea segnata a gesso:
di piccole bocche urlare
su una sola zampa
ibis nel giorno di festa
portano vestine a colori, plissè:
oltre le ginocchia
un breve sole
ne illumina il gioco
risuona, allora, splendida
la campana

è terra che mi rimanda
immagini di gote rosse
e bocche senza pretese
sono i piccoli i segni di allora
le risposte non colte al mio dire
''siete voi il mio tempo''

e domandare, scuotendomi
dove sono gli angeli che li cercavano
con occhi radenti
dove, gli sguardi dai ballatoi
delle madri, sirene
chiamavano chi amavano
figli, uomini
parlavano di desideri
di nodi di grembiule appena avvinti
di capelli riavviati in fretta
di vetri oscurati e porte di camere da letto
sfuggenti, riaperte

a volte mi siedo
ai piedi del cielo
e con un filo d'erba cerco
in volti che non afferro
una lucertola che mi sfugge senza fretta.




postato da: catamor alle ore 20:49 | Permalink | commenti (7)
Commenti:

#1  04 Maggio 2011 - 20:49

bella la citazione in apertura. l'amo molto.

ofeliadietrolafinestra
#2  05 Maggio 2011 - 10:26

complimenti cat, hai lasciato il segno. Tutt'altro che facile tradurre la nostalgia in versi -o anche in prosa - senza scadere in sensazioni banalmente suadenti. Ci sono passaggi che sono per quanto mi riguarda capolavori assoluti.

RottamieViolini
#3  05 Maggio 2011 - 16:26



l'ho trovata
è di un mio amico che fotografa la natura
gli ibis mi danno un gran senso di libertà
trovo siano bellissimi
delle creature quasi magiche
difficili da avvistare
eleganti
con quel becco lunghissimo
come una maschera
non so mi affascinano in modo particolare

a parte questo
nella tua poesia ritrovo molte cose andate
dell'infanzia bella
quelle madri ai ballatoi come sirene
bella tutta
il finale
ai piedi del cielo
beh! è metafora azzurra e vasta

ciao e grazie cataldo
barchedicarta
#4  07 Maggio 2011 - 21:41

ma la foto non è venuta fuori?
molto probabilmente in quel sito c'è il copyright
beh! lascio questa
che non è la stessa cosa ma quasi

cercavo un tuo nuovo scritto...

arriverà
ciao cat
buona domenica


barchedicarta
#5  08 Maggio 2011 - 01:51

grazie...
catamor
#6  09 Maggio 2011 - 16:55

"a volte mi siedo
ai piedi del cielo"

davvero magnifico questo sedersi.
imaginaire
#7  11 Maggio 2011 - 09:28

Chiusa spettacolare!!!
Un sorriso
Chiara
chiaramarinoni

I giorni impassibili.



I giorni impassibili
I varchi
Da superare
Suddividendo con cautela
Nel nulla da dichiarare
Gli ostacoli accettabili
Dai mostri inevitabili
Gli occhi in attesa
Dagli sguardi orrifici
Separare la mela dai veleni
E raccogliere dalle tasche le mani
Come per un rosario
O una teoria di gesti
Che discostino
Anime e corpi
Dal fango fuori e dentro
Dal male dell’edera che tentacolare
Risalta
Come da crepe ritenute a stento

Sono giorni impassibili
Che non ammettono tregue
Né sconti
E contrattare è già
Come un mattino perso
Un giorno disatteso
E troppo presto, forse
Anche agli abbandoni.

mercoledì 27 novembre 2013

Di mia madre.

Una vecchia 'cosa' ripresa dall'ormai estinto blog ospitato da 'Splinder', una piattaforma poi chiusa dall'editore, gestore del sito, o quello che era.

martedì, 15 febbraio 2011


E' notte, e tu sai, nel dialetto dei silenzi
lo spegnersi dei respiri
sai dei muri e della calce viva
- solo, talvolta,
la tua ombra a pezzarla di nero -
quando tu, fatta muro
con un fremito al labbro contavi
gli anni del lutto
e scoprivi che in fondo
a vestirti a fiori non era più cosa
non ne eri nemmeno capace
così dichiaravi.

Non hai mai sbagliato quel conto
nemmeno ora
che il tempo ha la meglio sul nero dei capelli
ora che mostri i nei sulla fronte
e dici
sono tutti tumori, ma piccoli
e ne ridi, quasi a perdonarli.

Mena mi tocca
dice che ti trattieni a stento
che corri verso il bagno e il tuo corpo ti insegue.

Mi torna l'odore di crine
acre
di urine tramandate
di sonni amari e sogni
troppi
costretti in fila ad aspettare
e un cigolìo di buio metallo che sentivo
prima che tu
quasi risorta da quei ritmi ignoti
venissi ad asciugarmi in volto.








postato da: catamor alle ore 03:00 | Permalink | commenti (11)
Commenti:

#1  15 Febbraio 2011 - 09:48

Toccante,
infinito
amore.
Molto sentita
un sorriso
un abbraccio
Chiara
chiaramarinoni
#2  15 Febbraio 2011 - 11:42

è una poesia strordinaria!
se il tempo sedimenta in versi come questi e una mente ne fa poesia, allora la vita è molto altro.



utente anonimo
#3  15 Febbraio 2011 - 16:06

Ho chiaro, adesso in ritorno, l'odore acre del crine.

PannychisXI
#4  15 Febbraio 2011 - 20:07

vedo che amiamo le stesse atmosfere intime e poderose della vita difficile.
E' molto bella, complimenti
esplanade
#5  16 Febbraio 2011 - 00:14

le tue canzoni sono un continuo crescendo. Ammirato.

RottamieViolini
#6  16 Febbraio 2011 - 18:43

Un grazie sincero per i vostri complimenti, che vanno ben oltre le qualità -per così dire- di queste cose che vado appuntando.  In fondo si tratta di parole che passano, a volte qualcuna si posa proprio nello stesso luogo, succedaneo alla carta, per il quale mi trovo a passare -o posare. A ben guardare, chiedo scusa a voi che leggete, e anche a ciò che scrivo...non voglia il cielo che vergare parole sia come recidere uno stelo.
Ciao, grazie ancora.
Catamor.

catamor
#7  19 Febbraio 2011 - 16:15

vergare parole.. è sempre il frutto di un'intensa emozione alla quale vogliamo dare voce, e tu sai farlo in modo intenso ed elegante e l'eco si sente fin qui..

è davvero molto bella e mi piace molto lo stile con in quale ti cali in queste atmosfere

albafucens
#8  21 Febbraio 2011 - 18:43

una preghiera intensa....
non devi chieder scusa di nulla
mai...
siamo felice di riaverti nelle parole...

barchedicarta
#9  24 Febbraio 2011 - 18:53

è una incantevole sorpresa leggerti... davvero emozionante!

Ecatmel
#10  07 Marzo 2011 - 07:57

ne rimango incantata, catamor.

mere2
#11  07 Agosto 2011 - 12:39

Accipicchia a te: mi hai commosso.
Adesso devo smaltire questa cosa che ho in gola e penso mi ci vorrà tempo.
Ritorno....
Carla

NATACARLA