sabato 26 marzo 2016

attraversiamo

attraversiamo
un bisogno di lentezza confligge
coi punti di arrivo
non ci sono approdi
e la certezza sfugge
i mari che ho toccato
avevano tempi
e luoghi d'urto
ma l'onda
oh, l'onda
era malferma
e disegnava limiti
tra la sabbia e il senso
dell'essere che sdrucciola

guarda
mi ripetevo
doppiandomi in immagini
di linee d'orizzonte
che moltiplicavano ai raggi
del sole le parvenze
poi rassegnavano
dismesse
ombre di se stesse

ed io
come una barca in meno
una sartia senza appiglio
mirando, come una bitta
dal basso
l'onda che si abbatte.


Piccoli fiori riposano

Piccoli fiori riposano
Sul fondo senza pace dell’Egeo
Persi alle viste
Degli occhi che li videro
Crescere stretti nelle loro piccole
Spalle più grandi appena
E forse
Del loro stesso nome
Spaurisce
L’onda racchiusa
In un bordo ormai illacrime 
D'occhi di madri
E padri senza pane
Un futuro breve si perde
Sotto la linea immobile
Del Mediterraneo
Rimangono i sogni
Di tanta vita che si spezza
A galleggiare
E minacciosa
E’ l’ombra che tra i palmizi
Rimbomba di tuono,
S’agita di grisaglia.

Equidistanti sono
Le impronte ferite
Dalla speranza, dall’abbandono.

martedì 22 marzo 2016

Ma fuggite sono le parole

Ma fuggite sono le parole
E arcane nell’ombra
Agitano dita in segno di vittoria

Mostri orrendi si compongono
A sorte
Unendosi
Come chiodi cadendo
Insieme
Al tocco di un magnete

Sono rimaste le mani
Sulle tempie
Anelanti a quella quiete
Che le dita non sanno trattenere

Nemmeno ora che si va spegnendo
L’eco di quella vita
Che innalzava parole acuminate al cielo

Nemmeno ora
Che il silenzio cade
In disperante ossequio
Alla legge dei gravi
Il silenzio stesso,

il silenzio che di tutto è peso.

Salire su domani

Salire su domani
Quando passa
E nel chiuso degli occhi
Riannodare
Un sapore di nuvole
Senza luoghi per sostare
Tutti i colori che conosco
Sanno di un posto senza nome
Dove non si estingue mai
La gioia
Né il fuoco
O il poco germe
Da dove sarà il pane
Quando sono uomo
Tutto un mare mi precede
E sempre
Di salsedine è prezioso
Questo vento che mai allenta
Il suo sussurro
La carezza che inguaribile
mi spinge
come un pungolo che m’agita
un rovello di dentro
ché gaia è la scienza
di sapere ogni angolo

del tempo che mi vive inerme.

giovedì 3 marzo 2016

Tu non darmi la gioia...

Tu non darmi la gioia; nessuna gioia cancella il dolore; ma concedimi, Tu dall'alto, rimedio.
Tu sai, Tu che tutto vedi e comprendi, sai che mai ho creduto fino in fondo. 
Non credere fino in fondo è come non credere. Rimane uno spazio, un granello, che tutto travolge, che tutto sconvolge: è il seme del dubbio, è quel punto dal quale parte la marcia della disfacimento, dell'azzeramento della capacità di credere.
Tu colpisci, nel punto inatteso, e la tua forza è inaudita... e dovrei credere, dovrei credere, poiché altra possibilità non mi è data, ad un Tuo disegno più grande, ad una visione totalizzante e che tutto comprenda, non commensurabile con le grandezze degli uomini. Dovrei credere, passando per le immagini stratificate del canone terreno, per le vie tracciante dai Tuoi ministri troppo spesso interessati o distratti, e agire, per questi campi segnati dai praticanti del culto. Occorrerebbe, forse, eliminare quel granello che si oppone al funzionamento, alla fluire dell'ingranaggio, e lasciarmi andare al moto regolare delle cadenze calendarizzate, al conforto governato dalla liturgia, e alle speranze senza dati di fatto, senza punti fermi che non siano la sola fede, la fede senza condizioni.
Passo, talvolta, dalla Tua casa, e con pudore mal dissimulato, Ti domando e Ti chiedo, per sapere e per avere.
Mi muovo a disagio, svagato tra i simulacri che parlano di Te, e sento che la mia faccia rimane sempre nell'ombra, come in una prigione necessaria; sento il rumore dei miei peccati, lo stridore delle mie debolezze, e mi perdo nelle mie braccia che non riescono ad alzarsi verso di Te, verso il Cielo: non esiste un Cielo a comando, verso il quale indirizzare i propri aneliti o dove affiggere i propri desideri.
Tu lo senti, che non oso andare oltre, che ho vergogna, come è giusto, di chiedere a Te, Tu che non puoi confondere la mia preghiera, così esile nel suo scheletro più interiore, così fragile nella sua struttura e incerta nei suoi passi.
Tu mi vedi, però, so che mi vedi, e in quale che sia la forma in cui Ti manifesti, Ti prego e non chiedo nulla per me, poiché Tu sai, infinitamente sai, e possiedi, e concedi, e doni, rimedio.

In questa sera del 2 di marzo, che la paura mi ha aggredito e ho stretto forte a me  questi figli senza peccato, per loro Ti prego, Tu Padre.