giovedì 5 settembre 2013

El Cid sale de Vivar...

Trovo, quello che ne rimane dell'esordio del 'Poema de mio Cid', di una vastità illimitata, un compendio di storia - e anche di storie personali - mirabilmente condensato in poche righe, righe che vanno lette, sentite, intese, interpretate... o, diversamente, accolte anche per semplice diletto, per l'immagine - ma anche il ricordo - di certi suoni e consonanze. E' qui che l'uomo si stacca icasticamente sul deserto che gli è stato fatto intorno... l'esilio e l'isolamento contro i quali dovrà essere più forte. Molta storia d'Europa passa per questo incipit.
Molta storia di parte dell'Italia è qui significata: è l'anima mediterranea, federiciana, quella che risale dalle sabbie di Akragas, sguscia alla presa di Scilla e Cariddi e avvolge tutto il sud dello Stivale, e ovunque riappare, come riappaiono voci e inflessioni che un orecchio attento non fatica ad associare tra di loro, come affiorano facce straordinariamente simili le une alle altre dalle sponde più o meno vicineod opposte di questa nostra matrice acquea... è il Mediterraneo, arabo, ispanico, magnogreco... il mare di Jogale, Giufà, Nasreddin... ma anche il mare dei più fini pensatori, che non oso neppure provare ad elencare...
Vabbè, fisserìj...
Lo spagnolo (il castigliano) del XII secolo era molto più vicino al volgare italiano coevo di quanto non lo siano oggi le due lingue, 'spagnolo' e 'italiano'. Anche questo è un segno di quella forte coesione 'latina' che fa spesso dire 'una faccia, una razza'...
Ad ogni modo, quello che mi affascina del 'Poema', è qui, al di là di qualsiasi altra considerazione, e spero che possiate e vogliate sentirlo:
Spagnolo:
[El Cid sale de Vivar para ir al destierro]
De los sos oios tan fuertemiente llorando,
tornava la cabeça e estávalos catando;
vio puertas abiertas e uços sin cañados,
alcándaras vazías, sin pielles e sin mantos
e sin falcones e sin adtores mudados.
Sospiró Mio Çid, ca mucho avié grandes cuidados;
fabló Mio Çid bien e tan mesurado:
"¡Grado a ti, Señor, Padre que estás en Alto!
Esto me han buelto mios enemigos malos!"
Italiano:
[Il Cid (dall'arabo: signore') lascia Vivar (il Cid è Ruy Diaz, signore di Vivar) per andare in esilio]
Dai suoi occhi così fortemente piangendo,
scuoteva la testa e si guardava intorno;
vedeva le porte aperte e gli usci senza chiavistelli,
le pertiche (da uccellagione) vuote, senza pelli e senza manti (per la cacccia)
e senza falchi e senza astori di muda (la mudanza è un tempo in cui i rapaci cambiano il piumaggio, più o meno).
Sospira il mio Cid che tante ne aveva, di preoccupazioni;
parla il mio Cid, bene, e con tanta misura:
'Grazie a te, Signore, Padre che sei nell'Alto!
Così m'han ridotto i miei cattivi nemici'
(traduzione fatta all'impronta, con molte licenze sui tempi verbali...)
Calabrese:
[U Patrunu nescia du paìsu ppè sinni jìr straviàtu u munnu munnu]
‘E l’occhj soj tantu fortu ciancennu,
toculìjava a capa e sinni jìa guardannu;
vidìva i port aperti e l’anti senza mašcu,
i pèrtichi vacanti, senza peddi e senza manti ppè cacciàr
e senza falchi e senza acuti.
Sušpira u Paţrunu, ca tanti n’avìa preoccupazzioni;
parra u Paţrunu, bonu e misuratu:
‘A tìja Signuru, ti ringrażiu, Paţru ca sì ntu cièlu!
Eccussì m’han arriddùttu i mej nimìci mali’.

4.9.2013

gli occhi che vedono male

gli occhi che vedono male
non sanno se di fatica o gonfiore
portare in croce due ali
e rovinare
su un assito
di panche rovesciate
e barche senza più uno straccio
che ne segnali il fasciame

a calafatare ore
e giorni
e punto punto
e passo passo
aspettare che finiscano tutti
questi sogni da puttana
da traditore quotidiano
di cosa in cosa
come un passero
di ramo in ramo
finché finisce
e spicca un volo
un nuovo attacco
e poi dai
e dai
che tutto va a finire
e non era necessario
era solo spuma
rapida a sparire
e nuova sabbia
inarrestabile
lesta
a ricoprire
tutti questi spini
questi giorni
senza un fine,
una parte
giorni che spiovono
come falde scosse
di gonne
tese
come di cappelli persi
ed acque
acque
maledette acque
d'amate terre
e questi acroliti
nelle rotonde
questi corpi di soli arti e facce
a chiedere
a questi uomini che fottono
fottono soltanto
più lupi dei loro stessi giorni
più assi delle loro stesse gabbie
dove vanno
questi giorni che mi sanno
come il rumore a testa bassa delle nuvole
quello che ho dentro
nella mia testa abbandonata
sopra un letto di lenzuola a fiori
con mia firma d'oleandro
se ci fosse almeno
altro ma
non c'è altro orizzonte che questo
questo nulla impietrito
questo totem di bottiglie vuote

non ho voglia di piangere o di ridere
ho voglia di nulla
un nulla di umano
una briciola d'occhi
una mollica infame di sorriso
un pezzo di pane intriso
d'olio, di zucchero
di casei morte
non ho voglia di nulla
non mi valgono più i cieli
l'azzurro e non mi sarà lieve
la terra
anche il suo peso
sotto le scarpe è grave
e tu scalza, anima da preda
ti allontani
tu
la mia anima da puttana.

5.9.2013

vorrei essere la tua casa

vorrei essere la tua casa
anche quando dovrò aspettarti
anche quando una mano si farà desiderare
di bianco, un muro
quando ti risolvi sola nel pianto
vorrei essere la tua casa
quando torni
e non trovi altro che vuoto
freddo
tele di ragni
e non visto
il sorriso indifeso
interminabile
come un corridoio
muto
e mio, di cui non sai
quando ti sento
nella notte
mentre preghi e non sono
altro che un muro
di te
accanto.

5.9.2013

da qualche parte dorme

da qualche parte dorme
il sole dei tramonti
poi tutto cambia
nuove reti attendono
e altri richiami
una strada riparte,
s'apre,
strappa la voglia di un sorriso
e voglia di chiamarla giorno
di risalita oppure no, rimane
una ferita quasi amica
che s'ostina
si ripete
a cera persa
tra le ali ripiegate e il sole
basso di tramonti
quando di più non posso
e allora va a dormire
con tanta luce anche il ricordo
dove più di te s'increspa l'ora.


5.9.2013