venerdì 28 dicembre 2012

Quel che dice lo stame nel vento.



Quel che dice lo stame nel vento
È sussurro, respiro
Lo stelo che insiste e di terre riverse
È il ricordo che spinge
Nell’alto le foglie e le ali non sono
Che un unico mezzo
Un ascendere lento, un ingresso nell’aria
Un fatto d’intenti
Un picco di tetti, un fumigare d’inverni
Un’anima avvolta tra dita
         Scollina
Poi torna, per via
Il non detto dell’aria nel fiore
E riposa, lo stelo incoccato,
lo spino,
la rosa.

giovedì 27 dicembre 2012

Bella 'ca partenza... / Bella che la partenza...



Testo: Anonimo popolare;
Musica: Carlo Alberto Malito; Mandolino: Pino Coschignano; Chitarra: Elio Curto; Tastiere: Adolfo Cappello; Basso: Adolfo Cappello; Percussioni: Carlo Alberto Malito; Cori: Cantannu Cuntu.
Rinnovo i miei ringraziamenti a Riccardo Venturi che ha avuto la pazienza di lavorare su questo post e riproporlo alla seguente pagina: http://www.antiwarsongs.org/canzone.php?lang=it&id=43166&all=1#last
   Sono andato a rovistare nella memoria e su qualche ripiano. Ho scelto questo canto popolare del gruppo ‘Cantannu Cuntu’, che mi ritrovo per casa quale frutto del fortunato acquisto di un cd (‘Canzoni di campagna, di mare e d’amore’) allegato ad un numero della rimpianta rivista ‘Avvenimenti’ di qualche (…eufemismo) anno fa. Il nome del gruppo, ‘Cantannu Cuntu’ significa ‘Cantando Racconto’ e mi sembra che renda abbastanza bene la funzione del canto di estrazione popolare, che è sempre partecipativo e corale ed in certe realtà uno dei pochissimi mezzi di aggregazione concessi al popolo da parte dell’organizzazione padronale, chiamiamola così.
    Il gruppo ‘Cantannu Cuntu’ è nato ed opera ad Acri, quello che si può comunemente definire un ‘popoloso centro silano in provincia di Cosenza’. Io sottolineerei, invece, che Acri è il paese natale di Vincenzo Padula (1819-1893), prete, patriota e rivoluzionario, e che, nonostante tutto, questo paese è abbastanza popoloso, forse perché ha avuto miglior sorte rispetto a comuni vicini e che trovo ad esso assimilabili come San Giovanni in Fiore o Petilia Policastro. Sono luohi d’emigrazione ai quali il tempo ha concesso poche opportunità, fatti salvi i natali o la presenza di qualche personaggio illustre, vedi il Padula stesso e Gioacchino da Fiore, e la bellezza e salubrità dei luoghi. Non mi soffermerei sull’etichetta che qualifica l’altopiano della Sila come ‘Svizzera d’Italia’, piuttosto ribadisco che questi sono luoghi d’emigrazione ai quali ‘i padroni’ vicini e lontani hanno tolto tantissime vite e possibilità di crescita: le gallerie autostradali italiane mormorano ancora, almeno per chi ne è a conoscenza, il dialetto delle maestranze petiline cadute sul lavoro, come le miniere di tutto il mondo rilasciano, per chi non vuole dimenticarli, i richiami dei minatori sangiovannesi periti ovunque ci fosse da scavare, in Belgio come a Monongah. Cantare tutto questo e fare in modo che questo patrimonio intimamente culturale non vada smarrito è compito precipuo dei ‘ricercatori musicali’, con ciò non sminuendo la componente ludica del canto, specie quando associato al ballo popolare.
   Trovo normalissimo, concludendo, che i canti di Calabria in buona parte vertano sugli aspetti disperanti che derivano dalla separazione e dalla lontananza, vale a dire emigrazione, brigantaggio, guerre e conseguenti ostacoli alla realizzazione di quelli che si chiamano, senza dubbio né vergogna, ‘amori’, quali che siano, in questa terra indurita dai millenni ma che riesce sempre a sorprendere, anche in positivo. Una terra chiusa in sé stessa, pensierosa, che nel proprio dialetto non contempla un equivalente dell’italiano ‘ti amo’, un dialetto che ha scientemente omesso un tempo che in altre lingue si chiama ‘futuro’: in calabrese non c’è, non cercatelo questo ‘tempo’.

Ho ricopiato il testo della canzone dal sito dei ‘Cantannu Cuntu’ e l’ho tradotto e annotato per quanti volessero leggerlo.

BELLA CA A PARTENZA E’  CERTA E CHIARA         bella che[1] la partenza è certa e chiara
E NI PARTIRI NUA E' VENUTA D’URA                        e[2] di andar via è venuta l’ora
NA NEAVA MMIENZU U MEARI SI PRIPARA            una nave[3] in mezzo al mare si prepara
PENSA A SU CORI MIA NA DOLURU                        pensa al cuore mio che si addolora[4]
PENSA A SU CORI MIA NA DOLURU                        pensa al cuore mio che si addolora

E VUA STAVITI BUONI AMICI E FREATI CARI         e voi statemi bene amici e fratelli[5] cari
CA PARTU DUVU VO’ LA MIA SVENTURA               ché vado dove vuole la mia sventura[6]
CA PU MI VUATU E DICU MAMMA CARA                ché poi ritorno e dico (6bis) mamma cara
BENEDICEMI I MUMENTI E L′URA                             benedicimi i momenti e l’ora (6ter)
BENEDICEMI I MUMENTI E L′URA                             benedicimi i momenti e l’ora


CA PARTU SUPRA MEARU E JACCU DUNNA          ché parto sopra mare e fendo l’onda[7]
CA FAZZU A MIA PARTENZA DACRIMANNU         e affronto[8] la partenza lacrimando[9]
CA APPENA ARRIVU A CHILLU MEARU FUNNU   e appena arrivo a quel mare profondo
SUBITU SCRIVU E DITTARA TI MANNU                   subito scrivo e nuove mie ti mando
SUBITU SCRIVU E DITTARA TI MANNU                    subito scrivo e nuove mie ti mando


SI VIU A ′NCUNU DE LU TUA PAISU                           se vedo qualcuno del paese tuo[10]
CU LLI LACRIMI ALL′UOCCHI L′ADDIMMANNU     con le lacrime agli occhi gli domando[11]
SI UNN′E′ AMICU MI LU FAZZU AMICU                     se non è un amico me lo faccio amico
GIOIA PPE TI MANNARI SALUTANNU                       o gioia, per mandarlo a salutarti[12]


SI GIUVANI TU VIDI CUMI E MMIA                             se giovani tu vedi come me[13]
TU VASCIA L’UOCCHI E U LLU GUARDARI                tu abbassa gli occhi e non guardarli
CA SI GESÙ CRISTU MI NNI FA VENIRI                      che se gesù cristo mi fa tornare

UGNE GUSTU CHI VU TE AJU E CACCIARI                ogni tuo piacere ti devo soddisfare.[14]



[1] L’incipit ‘bella che…’ sembra la ripresa di un discorso che ‘l’anima poetante’ sta intrattenendo con l’amata, una attitudine normalissima nel nostro modo di 'pensare calabro'.
[2] Nel testo ‘’E’’, secondo me andrebbe preceduto da un apostrofo, poiché ritengo che significhi ‘di’, che si pronuncia esattamente come ‘’e’’ congiunzione, ché, se tale fosse, necessiterebbe di un ‘de’ che completerebbe il significato che ho appena espresso.
[3] L’esito linguistico ‘neava’ da nave, ‘meari’ da mare, mi ha stupito, credo che farebbe (e magari l’ha fatta) la felicità di Gerhard Rohlfs, il grandissimo filologo e glottologo  studioso dei dialetti italiani, calabresi e salentini in particolare
[4] Traduco a senso, perché la costruzione non mi è chiara, o è diversa da quella che mi aspettavo: presumevo di trovarmi di fronte un ‘pensa a su cori mia ca n’ha doluru’, ma trovo senz’altro stimolanti queste differenze tra dialetti (Cirò, il mio paese, è un po’ distante da Acri).
[5] Per ‘freati’, fratelli, vale quanto detto sopra, ma al di là di questo dato, siamo ad una svolta, nel testo: nella prima strofa è stata espressa quella inevitabile ‘condanna’ alla partenza, ora è il momento di raccomandare a chi rimane, fratelli ed amici, le cure verso l’amata.
[6] Sventura, sua accettazione, e un filo di speranza, un empito fugace: parto verso l’ignoto, ma poi torno; tu intanto benedicimi, mamma.
(6bis) Forse c'è una separazione, ineliminabile per motivi ritmici, tra 'dicu' e 'mamma cara', nel senso che 'dicu' significa 'vi racconto', 'vi informo', al mio ritorno, ma quel 'dicu' si lega al vocativo seguente 'mamma cara': se fosse in fine di verso si potrebbe leggere come un enjambement, almeno credo. Diversamente avrebbe poco senso chiedere la benedizione dopo il ritorno, dal momento che quella benedizione deve il viatico per la partenza.
(6ter) Qui e nel verso seguente, nel testo calabrese si riporta 'l'ura', a differenza di 'd'ura' come nel 2° verso della 1a strofa; non so se sia casuale o dovuto al fatto che la 'l' è preceduta da una 'e' che le impedisce di trasformarsi in 'd'.
[7] ‘E benedicimi per ogni istante, per ogni ora’, perché il mio viaggio è fitto di insidie: parto ‘sopra mare’ (che Acri si trovi parecchio all’interno ha un suo significato: il mare fa ancor più paura), e ‘jaccu’, cioè letteralmente ‘spacco’ (come direbbe esattamente e giustamente un boscaiolo silano; questo mi ricorda il moto di speranza richiamato alla nota precedente) l’onda. Credo che ‘dunna’ potrebbe scriversi pure staccato, anche se mi piace leggere questa fusione dell’articolo col sostantivo: la ‘elle ’ di ‘la’ con l’elisione è diventata una ‘d’: ‘l’onda’ diventa ‘d’unna’; questo fenomeno della trasformazione della ‘l’ in d è molto diffuso in provincia di Cosenza, come pure la trasformazione di ‘l’, ‘ll’, in ‘u’, ad esempio in Rogliano (lampadina, uampadina; gallina, gauina, con una ‘u’ più marcata).
[8] ‘Fazzu’ sarebbe ‘faccio’.
[9] E infatti, ‘lacrimando’diventa ‘dacrimannu’ e poco oltre ‘lettere’ produce ‘dìttara’.
[10] L’innamorato si rivolge all’amata promettendole che appena arriva, manderà notizie di sé, e appena incontrerà qualcuno del paese di lei, evidentemente diverso, se lo renderà amico, se già non lo fosse, per farne un messaggero d’amore e latore di saluti… altro che sms!
[11] ‘L’addimmannu’ è costrutto tipico: lo domando, nel senso di ‘gli domando’, con una soluzione semplicissima: in questo dialetto ‘addimmannar’, in questa accezione, è un verbo transitivo, tutto qui, con buona pace di chi storce il naso di fronte a un ‘t’u ‘mparu iju’, ‘te lo insegno io’ , dove basterebbe dire che ‘insegnare’ si traduce ‘mparare’… i false friends esistono anche tra italiano e dialetti…
[12] Anche questa è una costruzione idiomatica: ‘ti mannar a salutar’, che letteralmente sarebbe ‘mandare te a salutare’…
[13] Qui il discorso si fa per così dire più intimo, sanguigno: finora si è parlato di distanza, solitudine, amore materno, tentativi di stabilire un contatto ‘alto’, ma poi la carne, la gelosia e il desiderio intervengono: se vedi qualche (bel) giovane come me, abbassa gli occhi e non guardarlo, che se Dio mi concede la grazia, torno e… ogni tua voglia la soddisfo io. La traduzione letterale sarebbe ‘che se Gesù Cristo me ne fa venire a casa, ogni desiderio che vuoi te lo devo cacciare’.
[14] Nel testo in dialetto aggiungerei l’apostrofo dopo vu (vu’) e prima di e (‘e cacciari).

martedì 25 dicembre 2012

'Riturnella', 'Rondine', traduzione e note.

Questo post è stato successivamente modificato, vedere alla pagina :
http://krimisa.blogspot.it/2013/01/riturnella-traduzione-e-note-di-ca.html
http://krimisa.blogspot.it/2013/02/riturnella-nota.html

Grazie alla cortese attenzione e sensibilità di Riccardo Venturi, la traduzione di 'Riturnella' si trova anche a questo link:

Nota successiva: questo post ha raccolto migliaia di visite, diversamente dalle altre cose che annoto su questo blog, e questo mi fa piacere, non per visibilità personale, ma perché, evidentemente, ci sono parecchi appassionati che vogliono saperne di più a proposito di questo testo poetico (di musica non so nulla, e infatti non ne parlo, tutto sommato). Anch'io vorrei saperne di più, e se mi lascerete dei segni dei vostri graditi passaggi e dei vostri pensieri in merito, mi farete cosa graditissima... 
Grazie.
                                       *************************************************

'Riturnella' è un canto popolare calabrese, molto meno noto di 'Calabrisella mia', riscoperto sul finire degli anni '70 (del '900) dall'etnomusicologo cirotano Antonello Ricci (vedi video), di cui, nella mia poca conoscenza della materia musicale, segnalo 'La capra che suona', libro scritto con Roberta Tucci. Successivamente questo 'canto popolare' è stato reso relativamente famoso da Eugenio Bennato, con l'album 'Musicanova'. Credo di poter dire che 'Riturnella' è un canto di estrazione popolare, ma non 'popolaresco' come 'Calabrisella mia', considerando tra l'altro che 'Riturnella' è stato riscoperto dal Ricci grazie alla memoria di una anziana donna di Cirò, la signora Manciulina Pirito, che ne ricordava le parole, mentre 'Calabrisella mia', ad esempio, io la conoscevo perché alle elementari me la fecero imparare a memoria. E fecero bene, tra l'altro.
AGGIUNTA NOTA IN CALCE AL POST.
Cliccando in alto, vicino alla barra del nome del blog, alcuni collegamenti a video di 'Riturnella' su Youtube.
Mi permetto di riproporre una traduzione annotata del testo,cercando di spiegare il perché di talune interpretazioni. Segnalo inoltre questo ottimo sito web: http://www.antiwarsongs.org

Tu rìnnina chi vai                                      Tu rondine che vai
Tu rìnnina chi vai                                      Tu rondine che vai
Lu maru maru                                          Per mari e mari[1]
Oi riturnella                                             O[2] rondinella
Tu rìnnina chi vai lu maru maru                 Tu rondine che vai per mari e mari

Ferma quannu ti dicu                                Ferma quanto[3] ti dico
Ferma quannu ti dicu                                Ferma quanto ti dico
Dui paroli                                                 Due parole
Oi riturnella                                              Oh rondinella
Ferma quannu ti dicu dui paroli                 Ferma quanto ti dico due parole

Corri a jettari lu                                        Corri a gettare il
Corri a jettari lu                                        Corri a gettare il
Suspiru a mari                                          Sospiro a mare
Oi riturnella                                              Ohi rondinella
Corri a jettari lu suspiru a mari                  Corri a gettare il sospiro a mare[4]

Pe' vìdiri se mi rišpunna                             E guarda[5] se mi risponde
Pe' vìdiri se mi rišpunna                             E guarda se mi risponde
Lu mio beni                                              Il bene mio[6]
Oi riturnella                                              O rondinella
Pe' vìdiri se mi rišpunna lu mio beni           E guarda[7] se mi risponde il bene mio

Non mi rišpunna annò,                                 Non mi risponde, no[8]
Non mi rišpunna, annò                                 Non mi risponde, no
È troppu luntanu,                                          E’ troppo lontano
Oi riturnella                                                  Ohi rondinella
Non mi rišpunna, annò, è troppu luntanu    Non mi risponde, no, è troppo lontano

È sutt' a na frišcura                                      E’ sotto una frescura[9]
È sutt'a na frišcura                                       E’ sotto una frescura
Chi sta durmennu,                                        Che sta dormendo
Oi riturnella                                                  O rondinella
È sutt'a na frišcura chi sta durmennu           E’ sotto una frescura che sta dormendo[10]

Poi si rivigghja cu                                          Poi si risveglia con
Poi si rivigghja cu                                          Poi si risveglia con
lu chjantu all'occhi                                         Il pianto agli occhi
Oi riturnella                                                    Oh rondinella
Poi si rivigghja cu lu chjantu all'occhi           Poi si risveglia con il pianto agli occhi[11]

Si stuja l'occhi e li                                          Si asciuga gli occhi e gli
Si stuja l'occhi e li                                          Si asciuga gli occhi e gli
Passa lu chjantu                                             Passa il pianto
Oi riturnella                                                   Oh rondinella
Si stuja l'occhi e li passa lu chjantu               Si asciuga gli occhi e gli passa il pianto[12]

Piglia lu muccaturu                                        Prendi(gli)[13]  il fazzoletto
Piglia lu muccaturu                                        Prendi(gli)[14] il fazzoletto
Lu vaju a llavu                                               Vado a lavarlo
Oi riturnella                                                    Oh rondinella
Piglia lu muccaturu, lu vaju a llavu               Prendi(gli) il fazzoletto, vado a lavarlo

Poi ti lu špannu a nu                                       Poi te lo stendo[15] ad una
Poi ti lu špannu a nu                                       Poi te lo stendo ad una
Peru de rosa                                                  Pianta[16] di rosa
Oi riturnella                                                   Oh rondinella
Poi ti lu špannu a nu peru de rosa                   Poi te lo stendo ad una pianta di rosa

Poi ti lu mannu a Na                                        Poi te lo mando a Na
Poi ti lu mannu a Na                                        Poi te lo mando a Na
puli a stirare                                                     Poli a stirare
Oi riturnella                                                    Oh rondinella
Poi ti lu mannu a Napuli a stirare                     Poi te lo mando a Napoli a stirare

Poi ti lu cogliu a la                                           Poi te lo piego alla (16 bis)
Poi ti lu cogliu a la                                           Poi te lo piego alla
Napulitana                                                        Napoletana
Oi riturnella                                                      Oh rondinella
Poi ti lu cogliu a la napulitana                          Poi te lo piego alla napoletana

[ Poi ti lu mannu cu                                         [Poi te lo mando col[17]
Poi ti lu mannu cu                                            Poi te lo mando col
Ventu a purtari                                                Vento a portare
Oi riturnella                                                    Oh  rondinella
Poi ti lu mannu cu ventu a purtari                     Poi te lo mando a portare col vento[18]

Ventu va' portacellu                                         Vai vento e portaglielo
Ventu va' portacellu                                         Vai vento e portaglielo
A lu mio beni                                                   Al mio bene
Oi riturnella                                                     Oh rondinella
Ventu va' portacellu a lu mio beni ]                Vai vento e portaglielo al mio bene[19]]

Mera pe' nun ti cara                                          Attenta[20] che non ti cada
Mera pe' nun ti cara                                          Attenta che non ti cada
Pe' supra mari                                                   Di sopra al mare
Oi riturnella                                                       Oh rondinella
Mera che nun ti cara pe' supra mari                   Attenta che non ti cada di sopra al mare

Ca perda li sigilli                                              Ché perdi i sigilli[21]
Ca perda li sigilli                                              Ché perdi i sigilli
De chistu cori                                                   Di questo cuore
Oi riturnella                                                      Oh rondinella
Ca perda li sigilli de chistu cori.                      Ché perdi i sigilli di questo cuore.





[1] Il raddoppiamento lessicale è di uso comune e naturalissimo nei dialetti calabresi, sia nella formazione di superlativi di aggettivi, come in italiano, ma anche, diversamente da questo, nella formazione di complementi di moto per luogo, del tipo ‘u maru mar’, lungo il mare, ‘a riva riva’, lungo la riva, ‘a rasa rasa’, 'camminare seguendo una linea radente i muri delle case, con circospezione, ‘a ruva ruva’, per le strade del rione...
[2] Nel testo in calabrese appare solo l’interiezione ‘Oi’: ritengo che ‘Oi’ si disponga a diverse interpretazioni, relativamente alla diversa intonazione delle richieste rivolte alla rondine; questo ho creduto di fare traducendo talvolta con ‘O’, talaltra con ‘Ohi’, e ancora con ‘Oh’, a segnalare passaggi più o meno dolenti.
[3] La lezione ‘quannu’ non mi trova d’accordo, nel senso che ritengo ‘quantu’ molto più coerente col testo e con la parlata calabrese:  quel ‘quantu’ significa ‘giusto il tempo di’, ‘solo il tempo che mi serve per…’ e collima secondo me perfettamente con il tono invocativo del testo.
[4] Nel ‘gettare il sospiro a mare’ trovo non del tutto peregrino un richiamo alla disperazione; del resto la rondine non ha bisogno del mare per farsi portatrice del sospiro della voce della amante che parla, ma è il mare nella sua immensità anche paurosa e distanziatrice che deve farsi ‘mezzo’ di quel sospiro. Annoto che mi sarei aspettato, in luogo di 'lu suspiru', ('il sospiro'), un 'su suspiru', ('questo sospiro'); tra l'altro l'uso di 'su', dimostrativo, è talmente diffuso che si preferisce e sovrappone all'articolo determinativo 'il', 'lo'.
[5] ‘Pe' vìdiri’, in realtà il raddoppiamento fonosintattico è inevitabile, raddoppiandosi la ‘p’ iniziale, e trasformandosi la ‘v’ in una ‘b’ (ppe' bìdir), altrimenti l’accento si sposta sulla seconda ‘i’ con raddoppiamento della ‘v’: pe' vvidìr, fenomeno che posso attestare senza ombra di dubbio nel dialetto di Cirò/Cirò Marina. Il significato di ‘vidir ca’ è ‘vedi che’, ‘stai attento, bada, guarda, controlla che…’
[6] ‘Lu mio beni’ è forma ‘culturale’, dal momento che la dizione comune è ‘u benu meju’, ‘u benu mè’. Come dire: ‘mio’, in calabrese, non credo esista.
[7] Ritorno un attimo sul dialetto in uso nel testo: date per scontate contaminazioni tra varie parlate di Calabria, quel verbo all’infinito retto da un ‘ppe'’ restringe alquanto l’areale dialettale, escludendo tutta la Calabria a sud di Crotone, dove, come già attestato nella grammatica di D’Ovidio e Meyer-Lubke, inizi '900, si dovrebbe leggere un ‘ppe' mu’ oppure 'ppe' ma', quindi ‘ppe' mu/ma vidi’, ‘ppe' nu mu vidi’.
[8] ‘Annò’ non mi trova assolutamente d’accordo, è solo il legamento, la continuità fonica, tra ‘rišpunna’ e ‘no’, che essendo raddoppiato inizialmente suona come un annò: ‘non mi rišpunna, nnò’ (oppure: ‘umm’ arrišpunna, nnò).
[9] La traduco con ‘frescura’, questa ombra riposante, magari prodotta da un albero o una pergola, dove l’amato lontano è colto dal sonno per le fatiche del corpo e dell’anima, e magari anche per lenire le pene d’amore, considerando il risveglio.
[10] Qui voglio immaginare che la rondinella sia arrivata sul luogo dell’amato e che la voce parlante sia quasi trattenuta, frenata da quel sonno di cui ‘il mio bene’ ha bisogno, anche se costa una nota di malinconia nell’invocazione…
[11]  E infatti il sogno dell’amato era animato e percorso dal ricordo della donna ‘poetante’, sicché egli si sveglia e asciuga le lacrime dagli occhi: è stato solo un attimo quel timore avvertito nelle strofe precedenti, quella paura che la voce non potesse essere udita per la troppa distanza.
[12] ‘Passare il pianto’ è costruzione simile all’italiano ‘Passare l’appetito’, ad esempio.
[13]  Il desiderio si sta compiendo: ora la rondine dovrà prendere il fazzoletto che trattiene le lacrime dell’amato e portarlo alla innamorata perché possa lavarlo, stirarlo e ripiegarlo secondo un preciso rituale, addirittura inclusivo di un viaggio di andata e ritorno fino ad una Napoli lontanissima, a quei tempi irraggiungibile ai più, capitale del Regno.
[14] Non escluderei una lettura di quell’articolo ‘lu’ con un dimostrativo ‘ddu’, quello.
[15] Nel senso specifico di ‘sciorinare’. Quel 'te' di 'te lo stendo' è un dativo etico.
[16]  In dialetto calabrese ‘peru’ è propriamente piede, in tutte le comuni accezioni, e albero, pianta: ‘per(u) ‘e rosa’ quindi significherebbe più precisamente ‘albero di rosa’, ma in questo contesto indica la pianta della rosa, il rosaio.
(16 bis) Còglir, cògghir, cogghjìr, ha vari significati: qui è senza dubbio piegare, come dicesi dei panni asciutti, anche se non è del tutto peregrina una traduzione che preveda il significato di 'raccogliere', nel senso di 'ritirare' il fazzoletto dal rosaio dove è stato steso (spannùtu).
[17] E’ quasi superfluo annotare che i due ‘cu’ corrispondenti, nell’originale, sono sottoposti a raddoppiamento: ‘ccu’, ‘con’.
[18] Altra tipica costruzione idiomatica, dove nell'uso di 'mando' seguito dal verbo all'infinito si potrebbe anche avvertire qualcosa di pleonastico: te lo mando a portare con il vento (complemento di mezzo, ma, volendo modificare la costruzione, si potrebbe leggere come un complemento di causa efficiente, anche).
[19] Le strofe in rosso non sono presenti nella versione musicata dall’ottimo Eugenio Bennato; aggiungo un ‘purtroppo’, in quanto queste due strofe sono altamente esplicative dell’azione: al vento e al viaggio in senso inverso della rondinella viene affidato quel fazzoletto affinché torni dall’amato proprietario, dopo aver provato le cure amorose della donna.
[20] ‘Merar’ è ‘guardare’, nelle sue varie accezioni, come in spagnolo e nel latino da cui deriva con l’italiano ‘mirare’. Ma significa anche ‘guardare’ nel senso di ‘fare attenzione che/a…’. Altra costruzione sintattica richiederebbe un ‘mera ca un ti cada…’
[21] E quindi l’invocazione finale alla rondine risulta essere che la stessa faccia attenzione, in quel viaggio di ritorno, che non cada in mare quel fazzoletto che è il depositario di quei sigilli del cuore della donna. ‘Sigillare’ è un termine di grande portata in dialetto calabrese, come un sinonimo di chiusura totale ad una ‘alterità’ alla quale non è permesso in alcun modo di intromettersi nella vita dei ‘custodi/depositari’ di quei sigilli.
Nota finale, un po' a sorpresa...

Insomma, io non volevo dirlo, facevo finta di non capirlo, ma 'Riturnella' non mi pare proprio che in 'calabrese' significhi 'Rondinella'. 'Rondine' si dice 'rìnnina' (i giovani dicono semplicemente 'ròndina'), rondinella si dice 'rinninèdda', e 'rinninùnu' è un grosso maschio di rondine. 'Riturnella', secondo me, si deve intendere 'A riturnella', dove 'A' non è l'articolo determinativo calabrese per 'la', ma indica una 'maniera di', un particolare tipo di canto, incentrato sulla presenza di ritornelli. Mi sbaglierò, ma credo proprio che sia così. Anche se la crasi, nel senso di fusione, rondinella-riturnella è accattivante, oltre che sapientemente dosata.