sabato 30 giugno 2012

farsi violenza

farsi violenza
dire
di questo sangue che più
non giunge
che non rinnova l'ardire
che si è diviso
e perso
in rivoli di paura
che più forte
è stato temere
e dimenticare

un silenzio di rupe accoglie
lo sciabordare sottovento
tutto un misero sussurro
che nelle chiglie è un farsi asciutto,
e una riva e una ripa, costa
risalire,
il gioco si spegne
svelto
come una candela al vento
troppo a lungo atteso

pure, ho saputo di corolle
e il petalo, indolente a caso
s'apriva ai palmi, al parlare delle dita
ora, quel suo stelo appare
come un peccato ricamato
nel punto esatto dell'ultimo distacco,
labbro o pacca.

venerdì 29 giugno 2012

di quassù

di quassù,
e le valli non dicono
che di un fluire ovattato
verso un diporto od ombelico

viene da rinserrare gli occhi
e nelle gole del fiume
separare aperte le visioni, ampie
dagli orridi
impenetrabili
ànditi a circoscrivere
come isobare
o isoipse
le stesse anse, e le ansie che disegna
il torrente e la sua piena

ma qui, a pelo d'erba
le parole si inchinano
sono portatori di labbra e schiusure
d'albe
sono acqua ai fianchi generosi
e al monte
sono lagrime di veneri, pronte

lui la tocca nelle radici

lui la tocca nelle radici
e più alto è il movimento
nei rami
lei si piega
nella tenerezza del giunco
e la delizia è verde
sale senza tregua
la piena delle tempie
e a martello sconfigge
argini e dita

in silenzio riprendono
linea i corpi,
si fa cedua l'ombra foresta
che li sconvolgeva
lui la accarezza e nel muschio
lei ancora lo avvince.

lui scava

lui scava
con parole meravigliose
sceglie i tempi
appena
sotto i lobi
sussurra
penetra
si fa vento
come carezza
dilegua
poi
giù nel ventre
si fondono
splendore nell'ora d'oro
parole che mai più
si staccano

essi sono
foglie che non sanno
come un amalgama abissale
li stordisce
la terra umida
il corpo ventrale.


perché continua

perché continua
perché la fine
non sarà quella
striminzita e corporale
non sarà il ricomporsi
orrido e abituale
no
continuerà nei pensieri
nel verso dei fogli
nei dorsi delle mani
nelle schiene
no
la fine non è semplice, abituale o listata a lutto
i tre giorni sono il meno
è l'amaru è iddu ch'è mort'
è l'eternità sgraziata di Erostrato
è la Efeso sorpresa e incolpevole,
innocente, forse
no
la fine non è mai da poco o perbene
o poco più che un lamento
o un rimando ad altri tempi

la fine è, o non sembra
ché troppo la inguantava il tempo.

sono fiori di tempesta

sono fiori di tempesta
i ferormoni che aprono corolle
le ante irrefrenabili
vengono con ali
sospinte dal maestrale
sono gonne e fiori
i gonfaloni che spudòra il vento

un'altra estate s'apre ai sensi
il corpo della magìa si perde
è solo un soffio
o lieve, una follia

hanno pensieri di sabbia
queste maree che salgono
languenti a lambire
sono seni e labbra
e cernite di moti a risalire
linee di corpi
e folli ridiscese

sono volti di sale e rivoli di mare
dove l'onda alla quiete
del solco, disappare

per le parole non date

per le parole non date
per le mani che non si sono posate
e per le spalle rivoltate

i rivoli acquistano qualcosa
come di definitivo

perdersi non basta
non rimane,
ma ora,
alla vista
che cercare negli infiniti rinascere

gli alveoli non si sottraggono
al dolore e all'attesa
quasi di sollievo
come di un qualcosa che smuova
una classifica avulsa per quanto
possibile dai giorni, dagli atti

nelle pozze illuni
è un sorriso che affonda
un guizzo irrisolto
tra la sosta e la ripartenza
-nulla di definitvo-
rotola sul piano
leggermente incline
una biglia
a nascondere i colori:
confonde, alternando strìe
la precisione del procedere 

ma è poco, è nulla
è solo la fase alterna
non concessa che diluna.

lunedì 25 giugno 2012

si irrigidisce

si irrigidisce
sui margini il tempo
cautela regge foglie d'uomo
e la sua ombra
nel percorrerli
ché muto è il fanale
e l'insistenza vana
su numi
e santi stretti a tutelare

un lieve prodigio diventa
incrociare per strade
occhi
scansare rabbie
e da quegli occhi
sabbie

si corrodono a forza
e di cose i margini
portano i segni
nel delirio la forma
che si ricompone è coda
di rettile scomposto,
scìa
abbrivio di filari
un seguitare di segnali
la falsità di un finale

eccola, la meta
tonda, indivisibile
buia, solare
scivolare nel corso della vita
così bava da caracollare, tutto

e lasciarsi seguire

come iniziata appena
o per sempre nuova, ridisegnata
con margini fulgenti
il campo lustro, un'altra vita.

venerdì 22 giugno 2012

come la pioggia

come la pioggia in un bacio
capaci labbra
di sorprendere, trattenere

risalire tratti
che acclivi sanno
riportare di sembianti

assisi, lenti, lenti
mondi che dischiudono sorrisi
come fili dentro
che riuniscono
anime, visi
e corpi mai più
taciuti, dita
che hanno scorso
lenzuola inumidite
di pelle che chiamava
l'altra pelle
quella del sogno che copriva
umori, odori
silenzi
con polveri di rosa
e steli
che il tempo ormai inargenta.



non la rileggo, com'é? anzi, cos'é?

giovedì 21 giugno 2012

si sconvolge

si sconvolge
la vita per una rientranza
spume fragili carezzano
ne ammiro il gioco
intatto nel disegno
d'acque, e arenili
i sogni scalzi, lievi
ed altre,
isolate con cura
ricordanze

le bitte indomite
attendono e purché sia
legno incognito, bandiera battente
o vento che passa
d'uomini e banderuole

una manica a vento sottolinea
a perpendicolo intenzioni

le seguo, a volte
accarezzando cirri
e lembi, fragmenta
di un tempo assordante di sirene,
e assurdo, un vuoto di donna e di banchine.

para nent

para nent
pàrin i man 'nta sacca
c'un pàrrinu, vacanti
ma c'è passat u tempu
e chiss è u signu
c'un passa jurn senza
c'un scùrrinu 'nti jiti i petr amari du rosàru

tu ancòr' u và dicenn
e a vucca 'unn u sa cchjù
si rìdir
o mumuliàr, queta
nta lingua d'i santi ca volìssin jestimàre.

sembra nulla
sembrano le mani in tasca
non parlare, vuote
ma c'è passato il tempo
e questo è il segno
che non passa giorno senza
che scorrano per le dita i grani amari del rosario

tu ancora lo vai ripetendo
e la bocca non lo sa più
se ridere
o mormorare, quieta
nelle parole dei santi che vorrebbero imprecare.

domenica 17 giugno 2012

altre parole (mi spiego, forse.)


altre parole
per dove partono i sogni
e vie, nella distanza


vorrebbe dire: inizia il flash, o ricordo, ancora indeciso, poiché non ho un modo di scrivere, perlomeno nel senso che nessuno mi ha mai insegnato come farlo, né -tantomeno- ci riuscirebbe; è notte, tra sabato e domenica il lavoro non richiede un impegno eccessivo, tra un treno e l'altro decido che posso darmi appuntamento, ovvero tornare incontro alla parte di me che affiora da questi flash, se vorranno accendersi...mi incammino, quindi, verso un tempo che trattengo in parte e da parte, in qualche luogo della mia geografia;



forse l'allodola
non spreca il volo
se rifugge i rami e azzurro
è perdersi
di maggio in maggio
come in un cielo saturo d'auguri


se vuoi scrivere, se una immagine, un frame (figo!!!, un frame!!!), ti insegue, se vuoi dire qualcosa senza intenderne apparentemente il motivo, prova a dirlo...se ne sei capace, ci riesci, anche senza rendertene scientemente conto...significa: da tempo mi ronza nella testa l'idea dell'allodola che, scoperta casuale sul Devoto-Oli, non si posa mai sugli alberi...vuole dirmi qualcosa? allora: allodola quanto basta, il tutto condito con una particella di visione, oleografica, lo ammetto, di rami, cieli, azzurri, e mese di maggio che non guasta mai (come il cuore, le rose, l'amore, il dolore, l'anima...oh, l'anima, non me parli: non guasta mai...il prezzemolo del poeta!)....mi sto buttando troppo a terra? no, è pretattica...
 
partono i sogni in verticale
e a ritroso si perpetua dalle labbra
il mormorio del rapsodo sinuoso



ovviamente, solo in verticale possono partire, questi sogni/ricordi (lagnanze?), come le allodole, e seguendo questo volo a ritroso ricomincia il sussurro, il mormorio del rapsodo che scivola nel corpo, nei pensieri, attraverso le labbra, di qua e di là delle stesse; rapsodo, ma anche -o quindi- epigono...



mi ricordo
il carretto e il cantastorie
oh sì, accorremmo, ch'era ormai raro
alla nenia a quadri:
Orlando, Orlando!



vado allora a calarmi in questi sogni/ricordi, con un inizio quasi infantile: mi ricordo; e in effetti sto riivivendo -quante volte, poi- il realizzarsi della presenza di un cantastorie siciliano, con tanto di teatrino ambulante e quadri di cartone con le storie di Orlando e la Barunissa di Carini: dalle mie parti, che io sappia, fu la sola volta che ciò avvenne...e questo mi ricorda un po' l'arrivo degli zingari a Macondo, come direbbe mio figlio quando mi dice, del mio paese: la immagino così, la Colombia, e gli rispondo che non so se i colombiani gradirebbero (ma questo è un discorso lunghissimo, al quale ho dedicato tanta parte delle mie fantasticherie); 


forse era il punto di parvenza dei sogni
in fila indiana sfilacciavano
uno ad uno all'appello i volti
sparivano
e anche i corpi
riaffioravano 'nta Sbìzzira o 'nta Brianza
nelle camere tutto compreso
nei no grazie, nei fa niente, alla prossima, e salutami tutti



sicché: ho raggiunto il punto di parvenza dei sogni, poveri, minimi, dacchè sembrava che tutto dovesse bastare, essere meglio di quanto avessimo a disposizione: i volti, i corpi, sono solo momentaneamente in quel luogo, meravigliati dal cantastorie: in realtà già sanno del destino che li avrebbe portati lontano, per farli riapparire in un qualsiasi luogo, casuale, della non appartenza, o della diaspora: avevo scritto Wolfsburg, dove si trova la Volkswagen, e Gallarate, poi ho cambiato con Busto (Arsizio), infine c'ho sparato in dialetto 'Sbìzzira' e  'Brianza', le cui sonorità mi sembravano fredde al punto giusto, eccedendo anche un tantino nel piagnisteo della vita dell'emigrato isolato (le camere, i no, i fa niente, alla prossima, e salutami tutti, anzi: fino a qualche tempo fa si sentivano frasi del tipo salutami la Calabria, o la Sicilia, proprio come si fa anche coi morti, quando -parlo di prefiche, soprattutto- si chiede al defunto di salutare il parente o l'amico nell'aldilà...)...chusa parentesi!


per ora, per allora
i sogni erano il solo punto d'appoggio
leggere negli atrii solo le partenze
e mai un arrivo che valesse il viaggio



qui avviene uno stacco, non vorrei esagerare, solo un altro colpetto, magari un po' polemico, anche se mi ci rivedo in quella ricerca degli orari delle partenze, delle ripartenze, cercando di eliminare questa specie di 'sosta' o permanenza che è, invece, il dato costante dell'esistenza: della mia, purtroppo e perlomeno;


ma intanto partire, compartire
un bottino di bugie lievi, di labbra
e occhi intravisti appena
di sussurri irripetibili e sorrisi affetti dalla pena



questa parte mi riporta a quelle piccole bugie di sognate conquiste che non mi hanno mai visto protagonista, ma insomma, tornando dai rispettivi luoghi della diaspora potevamo raccontarci qualsiasi sogno, ben consapevoli che di questo si trattava, ovvero di fole che aiutavano a vivere...


altre parole,
per dove partivano i sogni
a schiantarsi nei dinieghi
a sciogliersi nei retrobottega
dove anche i sogni contrattano
e le mani dell'uomo scadono a patti,
i seni cercano
caldi come un pasto
o assoluti,
come una condanna



qui riprende il refrain, scado volutamente, ma insomma, se sapessi come si fa a dirlo, parlerei di immedesimazione, di metalinguaggio o metapoesia, ma non è il caso, dal momento che non c'entra nulla ma mi piaceva dirlo...poi magari scopro perchè; va bene, dài, anche la poe...ops! la scrittura si avvale di 'spazi connettivi'...


l'allodola no, lei non posa
i rami attendono e fischia
qualcosa che sa di vento
ma è solo il tempo dalle imposte
gli occhi del rapsodo che untuoso risospinge
in gola doppiando i groppi
i mormorii, i sussurri
e
ma più lontane, lontanissime
qualche parola d'amore



forse è arrivato il momento del confronto; certo, confrontarsi con un allodola non è così agevole o quotidiano...allora abbandoniamo la contrapposizione(ma che è? parlo col plurale majestatis?!)...volevo dire che qui si giustappongono l'allodola nella sua semplicità senza deroghe: la caratterizzano il volo verticale e il non posarsi sugli alberi (anche la zampa, in effetti, è particolare), intanto che i rami attendono l'avvenimento che non si realizzerà, e il vento offre il suo fischio, quasi a marcare l'indifferenza dell'una-l'allodola- e degli  altri- i rami degli alberi, le sedi rifiutate-. A questo punto il disvelamento: dietro a tutta questa visione insiste la presenza del rapsodo che da sinuoso si è fatto untuoso, ancorché sofferente nel mandar giù, a forza, i mormorii, i sussurri, concedendo o barattando parole d'amore...


soprattutto rugiada
o mare
o seni
o non andar via
dalle labbra dove penzola
indolente un sogno
Ripete:
Thou Art So Truth
Thou Art So Truth...



...parole che sono non tanto le solite o quelle consigliate, ma le prime che vengono in mente, quelle che fanno al caso: il rapsodo si rivede e ripensa, gli torna in mente qualcosa, di sole parole, che è superiore a tanta visione del giorno, e che va oltre le comuni possibilità: il sogno si fa raro, e sforzandosi prova a inanellare quelle parole che lo descrivono, 'Il sogno', 'The dream', perché in fondo, sente che tutti i ricordi, senza attrito, si sono amalgamati in quel sogno che poteva essere la vita...che a volte ha rappresenato la vita...ehm...
saluti,
Cataldo.
La lascio così, errori compresi.
Ah, il titolo...mi ronzava nella testa 'Le piace Bramhs'...col dovuto rispetto, ovvio.

altre parole (Le piace Donne?)

altre parole
per dove partono i sogni
e vie, nella distanza



forse l'allodola
non spreca il volo
se rifugge i rami e azzurro
è perdersi
di maggio in maggio
come in un cielo saturo d'auguri



partono i sogni in verticale
e a ritroso si perpetua dalle labbra
il mormorio del rapsodo sinuoso



mi ricordo
il carretto e il cantastorie
oh sì, accorremmo, ch'era ormai raro
alla nenia a quadri:
Orlando, Orlando!



forse era il punto di parvenza dei sogni
in fila indiana sfilacciavano
uno ad uno all'appello i volti
sparivano
e anche i corpi
riaffioravano 'nta Sbìzzira o 'nta Brianza
nelle camere tutto compreso
nei no grazie, nei fa niente, alla prossima, e salutami tutti



per ora, per allora
i sogni erano il solo punto d'appoggio
leggere negli atrii solo le partenze
e mai un arrivo che valesse il viaggio



ma intanto partire, compartire
un bottino di bugie lievi, di labbra
e occhi intravisti appena
di sussurri irripetibili e sorrisi affetti dalla pena



altre parole,
per dove partivano i sogni
a schiantarsi nei dinieghi
a sciogliersi nei retrobottega
dove anche i sogni contrattano
e le mani dell'uomo scadono a patti,
i seni cercano
caldi come un pasto
o assoluti,
come una condanna



l'allodola no, lei non posa
i rami attendono e fischia
qualcosa che sa di vento
ma è solo il tempo dalle imposte
gli occhi del rapsodo che untuoso risospinge
in gola doppiando i groppi
i mormorii, i sussurri
e
ma più lontane, lontanissime
qualche parola d'amore



soprattutto rugiada
o mare
o seni
o non andar via
dalle labbra dove penzola
indolente un sogno
Ripete:
Thou Art So Truth
Thou Art So Truth...



(in effetti il sogno sarebbe e proseguirebbe così: tu così vera, che pensarti basta per far veri i sogni e le favole storia...entra fra queste braccia e se ti parve meglio per me non sognare tutto il sogno, ora viviamo il resto!... questo, secondo quello che mi resta di memoria, è John Donne...ci voleva un prete con una barca di figli per scrivere quella che forse è la più bella e perfetta poesia d'amore? )

venerdì 15 giugno 2012

conoscere per mano

conoscere per mano
la cavità e gli alveoli
il dolore recondito e la persistenza
del fiore, la polvere
profonda e secca alla vista
asciutta,
come una ridondanza
doppia l'attrito insapore di granuli
la gola: s'apre e ingerisce
speranze che azzurra dentro,
ché taciuta è la voglia della ripartenza

solo un filo si è piegato
di voce
da non dare a vedere
da non spartire né udire
un filo di voce che rientra
come una lama di luce
nel suo  luogo inconcluso
tra la soglia e i battenti

ma ora
ma ora le dita
sapienti giocano
che da tempo attendevano
il tempo e il luogo
di una ricomposizione
da sé riprende l'ordito
e il ragno si spaèsa
o quasi indifferente
figlio del tempo e d' angoli
in alto si rialloca

ogni via ho trascorso
nelle due dita che rassettano
silenziose sogni nel nero dei cassetti

provo a spiegarla
una gioia ineffabile
a fiori
come uno scialle o una tovaglia
carica di promesse
ai margini dei rovi
un gioco di ragazzi

ne rimangono risa
e graffi da dimenticare
minimi depositi, infinitesimali
già esigono a qualifica di essere ricordi

ma allora
ma allora conoscere per mano
e a ritroso percorrere
lo svanire delle attese
sapere che non serve
a dare corpo all'ombra
nascondere il sapore d'oggi
nella nostalgia di un altro tempo
...
il ragno in alto scuote la tela
è una lenzuolata fredda
concentrica
un po' ipnotica
o sono solo        gli occhi
a divagare in una danza
immobili.









domenica 10 giugno 2012

saprai di sale

saprai di sale,
e dirti che il ricordo
in me si continuava
come uno svettare dalle siepi
d'occhi che curiosi
frugano le vesti, adescati
da suoni che latenti inducono al risveglio
i sensi                 stanno alle labbra
come acqua
inarrestabile e quieta
le pietre delle miglia segnano
ricordi di passaggi
sono i punti delle storie, umane
di ripartenze, di più non torno, svolte

saprai il sale della pelle
a lungo amata di parola che lasciava
il segno, il senno

saprai l'anafora e il dèmone
della lingua
la rosa che addento, macabra
la discesa e gli inferi irregolari
se a caso declino
in nome di fiore, di frutta, di cosa
se il gioco incatena di scatola in scatola
le ombre che si fanno aliene...

alle notti

alle notti che portano
via con le note
sospensioni di speranze
alle notti che solo
mi incorpora la sostanza
l'essere corpo dell'ombra che s'avanza
mio, come cosa sola
di cui dar conto
a me stesso
dei mali
degli abbandoni
della desperanza



alle notti che ho vissuto
con tutto il corpo
eretto
e irto
aggraffato a un'erta
a un culmine d'occhi
a traguardi che lentamente delirano
e nel solco ascondono
sogni impassibili
mancati doni
trascurabili guadagni



alle notti dei pareggi inanellati
dei ritagli di sonno risicati
dei risultati non pervenuti
delle medie falsate nelle penombre precedenti



alle notti delle lune mezze piene
dei bicchieri e dei pozzi rovesciati mezzi vuoti
alle notti dei transiti e delle corolle assidue e degli steli alle finestre
alle ali che non si sono levate oltre



alle notti sfinite nell'alba
e al nero che impania i pensieri

alle notti che è nulla
o quasi o solo il desiderio d'albe
in quest'ora che sogno lo sbocco
la luce in fondo al tunnel
in quel mare irridente quasi
di denti giovani, di sud brillare
in fondo all'istmo e ai due mari
un piccolo treno che mi conduca
basso, incaponito tra gli aranci
qui dove era il casello di Sellìa, tu eri piccolo
avevi un anno, parlavi
e com'ora tuo fratello ti tirava  via
proprio in quel punto tra le pietre
prima del treno che fischiava
il treno che portava l'acqua
chissà a quel tempo
il macchinista il frenatore
la garitta i fischi da contare
e il padre attento tra le sbarre chine

(potrebbe continuare
la litania si svoglia
si fa pianta, ma benché
remissiva
infestante
si scioglie, perde presa
staccano i ricordi)



alle notti che ho temuto che il buio potesse
non finire e che ho intessuto
di trame celesti
fitte fitte di desideri, a intercettare paure
(alla fine ricordo ancora: un calesse e un ragazzo
che scopro con le mie stesse ansie
-stringi l'immagine di Gesù, sotto il cuscino
pensa cose belle, e dormi
non piangere non chiamare i grandi-)



alle notti in cui ho pregato e temuto
alle paure, agli incubi che mi hanno abbandonato
al terrore fisso che non passa più a trovarmi
alle notti che ho deluso orizzontale
nei timori dell'ipocondria -finché vince-
rappresa in parti varie

alle notti do grazia
di tutte le negazioni sepolte nel buio
e dei silenzi, dello stormire
tacito
indifferente
di pianta in pianta
come un solo giardino che emerga
da tutte le notti da tutti i confini
dalle incorrotte paure e dalle lacune
che in sogno mi crescevano.