domenica 10 giugno 2012

alle notti

alle notti che portano
via con le note
sospensioni di speranze
alle notti che solo
mi incorpora la sostanza
l'essere corpo dell'ombra che s'avanza
mio, come cosa sola
di cui dar conto
a me stesso
dei mali
degli abbandoni
della desperanza



alle notti che ho vissuto
con tutto il corpo
eretto
e irto
aggraffato a un'erta
a un culmine d'occhi
a traguardi che lentamente delirano
e nel solco ascondono
sogni impassibili
mancati doni
trascurabili guadagni



alle notti dei pareggi inanellati
dei ritagli di sonno risicati
dei risultati non pervenuti
delle medie falsate nelle penombre precedenti



alle notti delle lune mezze piene
dei bicchieri e dei pozzi rovesciati mezzi vuoti
alle notti dei transiti e delle corolle assidue e degli steli alle finestre
alle ali che non si sono levate oltre



alle notti sfinite nell'alba
e al nero che impania i pensieri

alle notti che è nulla
o quasi o solo il desiderio d'albe
in quest'ora che sogno lo sbocco
la luce in fondo al tunnel
in quel mare irridente quasi
di denti giovani, di sud brillare
in fondo all'istmo e ai due mari
un piccolo treno che mi conduca
basso, incaponito tra gli aranci
qui dove era il casello di Sellìa, tu eri piccolo
avevi un anno, parlavi
e com'ora tuo fratello ti tirava  via
proprio in quel punto tra le pietre
prima del treno che fischiava
il treno che portava l'acqua
chissà a quel tempo
il macchinista il frenatore
la garitta i fischi da contare
e il padre attento tra le sbarre chine

(potrebbe continuare
la litania si svoglia
si fa pianta, ma benché
remissiva
infestante
si scioglie, perde presa
staccano i ricordi)



alle notti che ho temuto che il buio potesse
non finire e che ho intessuto
di trame celesti
fitte fitte di desideri, a intercettare paure
(alla fine ricordo ancora: un calesse e un ragazzo
che scopro con le mie stesse ansie
-stringi l'immagine di Gesù, sotto il cuscino
pensa cose belle, e dormi
non piangere non chiamare i grandi-)



alle notti in cui ho pregato e temuto
alle paure, agli incubi che mi hanno abbandonato
al terrore fisso che non passa più a trovarmi
alle notti che ho deluso orizzontale
nei timori dell'ipocondria -finché vince-
rappresa in parti varie

alle notti do grazia
di tutte le negazioni sepolte nel buio
e dei silenzi, dello stormire
tacito
indifferente
di pianta in pianta
come un solo giardino che emerga
da tutte le notti da tutti i confini
dalle incorrotte paure e dalle lacune
che in sogno mi crescevano.




















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