venerdì 28 febbraio 2014

Imaginé tu casa y de espaldas tu sonrisa



Imaginé tu casa y de espaldas tu sonrisa
Ho immaginato la tua casa
E di spalle il tuo sorriso
E le grate occhiute
E i davanzali odorosi
Di marzo in arrivo
Nelle mie primavere di pauroso
Sentire più a fondo

Stamani ricominciava il merlo
Quello che viene a prendermi in giro
‘in compagnia dell’alba’
Col suo canto a stridere
Quasi come le chiavi che cioccano nella toppa

Oltre
Immagino cucine
Di sere cacciate vie
Con la forza delle donne
Quando comincia il giorno
E dilegua il nero dai pensieri
E i volti si indirizzano
Irremovibili al da farsi

Allora immagino la notte lontana
E tu di spalle
Oltre le cortine
Col tuo amaro di caffè
Quando t’imponi d’essere
Decisa come il tempo e più
Se pure passa
Come un sibilo il pensiero
Tra le tue dita
E un fiore che t’auguro
D’incipiente pesco.



Non chinarti alla sera



Non chinarti alla sera
E non piegarti, mai

È intero il giorno
Nella lacrima irrigua alla mano
La attraversa lo sguardo
La accarezza un pensiero

E riappari
Oltre
Dove ripara il sogno

Al di là delle mani
Si ricompone, ideale, la meraviglia
E la grazia di te, l’esserci
Anche nei passi
Quelli che decidi
Quando doppi la sera
E mi sembra di sentire
E l’acciotolìo
E il tuo arrivo
Quando perso
Nel mio caleidoscopio, spero.

giovedì 27 febbraio 2014

Tutto sommato.

Tutto sommato credo esista un rapporto irrisolto tra la pena di dare e la miseria di avere. Il risultato è per me vivere in cambio di nulla. Dare in cambio di nulla; provarci, almeno, e non lasciare tracce quantificabili, 'monetizzabili'. Questo vorrei, e so bene che forse è troppo. Non so cosa ho voglia di dire, se qualcosa voglio dire. Se si sceglie di tacere è buona cosa non ricredersi. I silenzi accumulati, come gli errori commessi, come le strade imbroccate in senso contrario od errato, non ammettono ripensamenti, correzioni. Girare intorno alle emozioni, ai ricordi, ai desideri, a tutto ciò che muove l'anima, il cuore, la mente, è importante, a volte necessario, diventa bisogno imprescindibile e umanissimo, aiuta ad unire quei piccoli punti a volte troppo distanti di cui si compone l'esistenza e a farli diventare, quei punti isolati, parti rilevanti di un tessuto connettivo che potremmo chiamare giorni. Solo per questo motivo mi sarebbe piaciuto scrivere.
Oppure no.
E questo significa sfasamento, per qualcuno, forse per molti dramma, non lo scrivere, ma la difficoltà di corrispondere tra quei 'punti' e l'esistenza nel suo complesso. Un dramma a cui troppi si rifiutano di credere.
Bisogna chiudere gli occhi, forse, e andare avanti, rendendo accettabile la consapevolezza delle rinunce, delle perdite, dei sogni mancati, dei desideri solo accennati, dei fallimenti e delle realizzazioni insoddisfacenti.
E non piegarsi alla sera, non chinarsi alle ombre.
Alla fine le cose andranno come abbiamo, in parte, voluto, e perloppiù realizzeranno quel disegno in apparenza autonomo che probabilmente ci siamo rifiutati di interpretare, di individuare, forse per stanchezza, per comodità, per incapacità, per timore che non ci fosse corrispondenza tra i desiderata e quello che con superficialità o forza d'animo chiamiamo destino.
Le cose vanno come vanno, e a ben guardare non c'è nulla da ridire, se quello che ieri era importante oggi è vuoto, e domani sarà dimenticato o irrilevante. La vita è anche così, un problema di appartenenze e corrispondenze, e tanto altro, ma quell' 'altro' è la parte meravigliosa, quella che si porta dentro e di cui non dico, se non a volte, e solo, insoddisfatto di come lo faccio, a stento.
Forse sarebbe meglio un'isola, anche fatta di parole, un'isola per sempre, che cancelli ansie e parole.
Cià.

martedì 25 febbraio 2014

Levanté los ojos



Levanté los ojos
Ho alzato gli occhi
E le mani sono sparse di te
Puntano in alto
Ad un proseguirsi di cieli
E di parole tue
Così leggere
Da fendere i pensieri
Così si rinnova ed annulla
L’attimo che senti
E che dici assoluto

È una linea perfetta
Ha calma d’orizzonti
È il punto esatto
Di quando cedi
E ti chini al mio petto
Bevo i tuoi capelli
Allora
E ascolto il tuo coro di donna
Unica e forte
E la tua mente volta
In alto, in amore.

A volte mi alzo
e verso i tuoi occhi
come un piccolo uomo
felice di dare declino
Il tuo nome e il piacere
Di esserci e amare.

lunedì 24 febbraio 2014

e ti tendo le mani (trad.)



e ti tendo le mani
mi fermo
a pregare così, per le scale
come se tu fossi qui davanti
al mio fare di uomo
e ti dico parole in prestito del dono
di te, frasi brevi che tornano
rapide dal fondo
di quei tuoi mari
ed isole
dove tu affiori
e m’inabisso
del tuo lambire i giorni
silenzioso d’attesa
che s’apra
come un fiore gioioso
il corpo delle tue meraviglie
quando mi sfiorano coi capelli
e il tuo fare è di perla
alla mia tana di conchiglie…

domenica 23 febbraio 2014

I luoghi dell’aria lo sanno (trad.)



I luoghi dell’aria lo sanno
Quel tuo passo lieve
E lo stacco
Preciso di quando
Ti muovi
E i tuoi sguardi cangiano
Di colore in colore

E risali
Come una china amica
E ti seguo
In un’aria che declina
Verso sera
Quando la tua mano è mite
Carezza del giorno

I luoghi dell’aria lo sanno
Il tuo essere donna
E in nessun altro cielo così ti amo
Come questo d’ovunque
che ti respira altrove.

sabato 22 febbraio 2014

A Punta Alice.



Si confonde quell’azzurro
Dove gli occhi si immergono
E oltre, riprendono l’orizzonte
Di spalle, gli alberi
Che hanno atteso
La brezza e la carezza
Il salmastro
E la sete

Si appuntano spere sugli occhi
E ti sa il sole di sempre
Quello irriducibile che attraversa i tempi
E si fa luce

E’ rapido il volo
Bisogna saper cogliere l’astore
E il suo dire in quota, alato
In su, dove il mare si spezza di costa
E si fa seno, vasto da un lato
E cimosa, quieta, dall’altro

C’è un albero invitto
-forse ha radici di mare -
Dove mi sento
E ascolto i canti
E parole di te
Fatte di silenzi ubiqui

Lì non ho bisogno di lenti
Gli occhi vedono
Vedono tutto
E sentono
Gli arrivi
Le partenze
Le chiare lettere
E i trionfi, i singulti
E le gore degli occhi, i sorrisi

Vorrei cantare questo mare di te
Così azzurro di oggi
Questo sereno che avvolgi
In carta da musica
E onde chete di donna
Vorrei averti lì
Dov'è quando non ho
ma così, come tu sei
nel mio mare
protesa.


venerdì 21 febbraio 2014

tradotta senza leggere



Guarderai più a fondo
E capirai il frangersi del volo
L’insistenza dell’onda
Capirai il moltiplicarsi e il luogo
Di spini, di sabbie, di rovine
Dove il respiro irrompe
E sconfina in petto
Un desiderio che si continua
Di te
Di quest’aria immota
Dove percettibile
È il tuo silenzio
E di te
Il pensiero
Non avrai lontananza
Amore mio
Avrai parole che scalzo
Dalle radici più del fondo
E a colorarti un cielo
D’azzurri e venti
Quelli che spirano più alti
Dove mai più rapace il tempo
Cede
Al volo l’eleganza
Sei nelle ali
Stretta
sei recondita armonia
come il mio mondo in sogno
forse
o il mio luogo
di tane, estraneo
dove ti cullo
ti accarezzo
sussurro
e fuggitivo
come un azzurro di nubi, franto.

giovedì 20 febbraio 2014

Sono le spalle delle donne



Sono le spalle delle donne
A parlare
Quando le strade si volgono
E tornano
Rapidi, i pensieri

Le spalle delle donne abbandonano stazioni
E fermate fredde nella sera
Prendono il mondo per mano
E si chinano sul da farsi

Hanno nocche dolenti, le donne
E palpebre ispessite
Di tante attenzioni
E stanchezze
E labbra che misurano i tempi
Sono il porto dispendioso di attenzioni
Poi si tacciono, quando la notte preme

E ammantano, le donne
Come di sera trapungono
Le volte ancorate in fondo al cielo.

Bisogna viaggiare coi loro occhi per sapere
Quanto dista quel cielo
Quanto costa sapere
Cosa scende dall’ombra
In una donna a sera…

mercoledì 19 febbraio 2014

crescono solo parole

crescono solo parole
nel posto che non ho mai avuto
forse sono solo miti
e spettri, senz'altro
e connubi spezzati

mia madre tarpava le ali ai tacchini
non osavo guardare
ma il rumore penetrava
come di morte arrembando
nello schiantarsi forse delle remiganti

oggi mi abita un rumore similare
a volte, come un'assenza
o un filo spezzato di rammendi

non desidero più nulla
solo ali da contare
e voli per farmi perdonare
di un cielo capovolto
per non sprofondare.

Rimango così, con queste cose che sembrano poesie e non sono nulla di nulla, sono solo una abitudine dura a morire. Una abitudine dura a morire, e basta... non può bastare.

Pensé en la lluvia, en el agua



Pensé en la lluvia, en el agua
En sus hilos, en el oro, en tu cara
Miré hacia tus manos, tu cuerpo
Y quise ser gota
Una gota sola, la que baja por tu vientre
La que anda poniendose en ti, por adentro
Como una sonrisa y un pensamiento

Ho pensato alla pioggia, all’acqua
Ai suoi fili, all’oro, al tuo volto
Ho guardato verso le tue mani, il tuo corpo
E ho desiderato essere una goccia
Una goccia sola, quella che scende per il tuo grembo
Quella che va a porsi in te, da dentro
Come un pensiero, come un sorriso
Con la follia di un mancamento
E fluitavo, come alberi
Tra le due rive dei desideri
Li ho visti passare
E i tuoi occhi erano attenti
Forse da qualche parte
Altri rami ingrossano giacenze
E mi dico
il bisogno che hai di vita
E di amarti
Forse non bastano
le linee delle mie mani
se non sono che foglie, poco altro
e a segnarle è un destino che trascuro
me lo ricorda un piccolo dio di fronte
un dio di ripe sdrucciole
e balbettante
di poco più, di nient’altro
nel mio luogo d’amarti
dove tu entri, sola
e nessun dio mi è compagno.

martedì 18 febbraio 2014

un'altra notte e un'altra addosso



un'altra notte e un'altra addosso
mi si cuce a cascata precisa
col suo taglio di cimosa
combaciando con angoli
in similitudini
scure più o meno
ed ampie

ma dove svolta la notte e quando
sarà il tempo a farsi spazio
e crescere a somma
di tutti i luoghi e verticale
a dirlo
in un'altra notte
sotto un'altra volta
sarà il verbo degli occhi
quello che sgombra i cieli
e ricolora i passi, le anime, il vento.

Due notti – cosa siano le ‘notti’ dipende dal punto di osservazione – si sovrappongono, come un taglio preciso: le cimose sono i bordi in tessuto, ma anche gli orli dei litorali… due notti simili, come gli angoli, e più o meno scure, - questo dipende dalla notte -,  e più o meno ampie, come quelle stesse similitudini che alle notti si legano; fin qui la ricerca della perfetta sovrapposizione delle ‘notti’, ma lo stacco, la svolta, il levarsi in verticale di quelle notti congiunte, e quando il tempo riuscirà a trasformarsi in una somma di tutti gli spazi orizzontali, questo lo dirà solo il verbo degli occhi – cioè  tutto quello che gli occhi possono dire e vedere – ma in un’altra notte, in una nuova congiunzione, sotto un’altra volta celeste, e in un altro tempo, quando la visione sarà più chiara e sgombrerà i cieli, ridando colori ai passi – il da farsi –, alle anime – il sentire, – e al vento – il cammino -.
Mah…

domenica 16 febbraio 2014

Mi dirai tu perché t’amo



Mi dirai tu perché t’amo
Me lo dirai come la pioggia
Dopo che a lungo l’ha serbata il tempo
Me lo dirai come il suono delle campane
Dopo che a stento lo ha trattenuto il vento
Me lo dirai a distesa
Come il mare quando i porti saranno lontani
Me lo dirai come un fiore
Quando la terra pazza di gioia lo libera
Me lo dirai coi silenzi di te che so
Quando le tue labbra cancellano
D’un battito i rumori
Me lo dirai quando piove o è sole
Quando è amore o nuvolo
Me lo dirai come sai
Coprendo le mie braccia
Con le tue labbra
Quando entro nei tuoi occhi e mi guardi
Così me lo dirai
come si dice a un povero
Che la vita è bella
Che la vita è tutto
Me lo dirai come te che piangi
E non ho altro da darti che mani.

rimaniamo così (trad.)

rimaniamo così
come la mano a portata dell'ombra
come le labbra accanto al viso
come la luna avvolta nel cerchio mobile del cielo
e con i piedi in gioco penduli nel pozzo

rimaniamo così
con i gomiti al davanzale
a sfiorare i tuoi seni
quando premi sui giorni
e qualcosa comincia,
una voglia di tenerezza
una mano di sogno

tu raccogli i pensieri
li ritiri dalle rugiade minacciose
li sottrai alla notte
e prima che sia sera
fioriranno
come le tue parole
quando con me sussurri
e donna
lotti...

sabato 15 febbraio 2014

Ho seguito le tue labbra (trad.)



Ho seguito le tue labbra
Facendomi strada ho svoltato 
per i tuoi fianchi e risalito per i tuoi seni
ho remato ed urlato
nel tuo ventre inarcato
e giù
dalle tue gambe argentate
E per il tuo grembo
Ho viaggiato
Come una goccia
O un segno di pioggia
Folle
Inabissandomi senza guardare
Ho sentito le tue dita
E il calore della tua pelle
E le tue guance che mi sfioravano
Ci siamo scambiati la deità
Ed esaltati
Abbiamo dolorato e sperato che mai finissero
O che ancora durassero
E il piacere e il dolore
Ci siamo ritratti
In una stanza di cielo e di foglie
Di finestre e di sogni
Abbiamo pagato al nostro tempo un tributo
In moneta d’amanti
Perché diventasse infinito.

Ed ora sei presente, sempre
Dove anch’io sono stato
Dove tu mi liberi dal tempo.

A volte vivrei solo per amarti
Altre,
per farti l’amore
come ora
che da qualche parte mi senti
come qualcosa che si insinua nella primavera.

Ora che so cos’è una città di luci, e tu
e i fili della pioggia inabissarsi,
ora che sei
Dove mi conduci
ma lenta, come una follia goduta.

giovedì 13 febbraio 2014

mi rimane il cielo, e il muro


mi rimane il cielo, e il muro
alto di cinta e fondi di bottiglie
una polvere compagna e i pioppi
bianchi come la strada al sole
questo era un percorso
di scarpe tramandate di figlio in figlio
lo stringevo nelle spalle, quel corso
senza scatti per difendermi, di volpe in volpe
avevo solo gli occhi
bassi
e i passi
lenti da far rabbia
e dita senza nocche
come quelle degli angeli
chini sul volto del bambino

di quel cammino mi restano superlativi
di aggettivi - bellissima! - di modi di dire - piano piano
e un piccolo mondo superstite:
premo sugli occhi
con accanimento
perché viva
o muoia
indifferentemente,
purché mi lasci,
per sempre
come le cose più immerite e belle
non come i pensieri pronti
divorandomi a tornare

è una strada di sole viste
in un destino d'agosto
la rifaccio in silenzio
nella controra più assorta
quando neanche i cani mi ascoltano
e vedo solo code
verticali di gatti predatori
sono passato per queste strade
mille e mille morti di là da venire
che nemmeno sapevo
e già piangevo
per l'ingiustizia estrema
di vivere non come i gatti
avidi nei cassonetti
non come i cani
sereni sui marciapiedi
ma solo di vivere ho pianto
e d'agosto
quando la bocca è secca
e ci vuole cuore
e ci vogliono polmoni
per tirare la vita in secca
come una barca
e portarsene dentro un pezzo
di quella strada sfatta
all'insaputa, insieme.

martedì 11 febbraio 2014

La capinera.


La capinera (1)
Da sempre ti conosco
eri presente nelle mie paure
coi tuoi occhi neri
affondavi sguardi nel mare
lo Jonio senza segreti
hai aspettato per sempre
ed anch’io ho aspettato
che il mio coraggio crescesse
che fosse più grande
di quelle tue feritoie nere come il mare più fondo
poi un giorno, prima di partire
ti ho preso alle spalle
tue di cemento in guerra
sono salito sul tuo cranio di pietra
e ho disceso le tue viscere
in questo punto esatto del golfo di Taranto
da dove, si dice, le capinere arrivino fino ad Agrigento…
quante anime di eroi greci
ho immaginato nascoste in questi buchi
a rammendare vele, a calafatare pali
troppo esili per questa riva di mare
o forse erano piccoli fanti di marina
dalle facce bruciate
sognanti Venere e sigarette americane

nessuno è arrivato
e non ti importano queste zattere straziate
in ritardo di decenni
non ti importano le moto d’acqua

Rimani a guardare
senza nulla che ti occupi
nemmeno i tuoi occhi.


  1. Le capinere sono quei fortini in parte ipogei, in cemento armato, con cupola esterna, ovvero casematte, risalenti alla seconda guerra mondiale, frequentissimi anche sulla costa jonica della Calabria … In realtà non ho trovato riscontri ufficiali al nome “capinera” che ho appreso da mio padre, “da sempre”.

Cortázar apócrifo, por Cataldo Antonio Amoruso y Vitale.

Julio Cortázar (1914-1984)... giuro, non l'ho fatto apposta: domani è il trentennale della sua morte (12 febbraio 1984); rovistando tra i files (preferirei tra le carte) ho trovato questo scherzo, risibile di fronte alla maestria di J.C.; sono righe della cui esistenza non ricordavo assolutamente nulla, le ho rilette e le espongo qui al pubblico ludibrio... una scusa per citare Julio Cortázar, forse; uno dei tanti autori che non hanno avuto fortuna commensurata alle loro grandissime qualità... troppo fine, troppo intelligente, erudito, magistrale, magico, sorprendente... sorprendente, sì: difficilmente i finali di romanzo, racconto, o poesia, di Cortázar non sorprendono...  Uno dei pochi autori che rischio di leggere fino all'ultimo rigo, o dall'ultima riga... o sfogliandone i libri a caso.

Apócrifo.

Un cronopio entra dal barbiere, attende pazientemente il proprio turno, si siede e chiede al barbiere, con la massima naturalezza, un ''servizio completo, per favore, devo andare a buttarmi sotto il treno''.
Il barbiere, che conosce di vista il cronopio, si dispone ad eseguire quanto richiesto, un po' titubante; come presagendo qualcosa di non impossibile, replica che ''oggi c'è sciopero dei ferrovieri e non passano treni, hai sbagliato giornata...''
Il cronopio non si scompone...: ''qualcuno di sicuro ne passerà... è matematico...''.
Barbiere:- ''se così è deciso...''
Cronopio:- ''...così sarà...'', ed esce, lasciando una generosa mancia.
Il cronopio si avvia verso la strada ferrata poco distante, il passaggio a livello ha le barriere sollevate, pensa ''ci sarà da aspettare un po'...'', chiude gli occhi, si siede su una rotaia, non sente nessun rumore... riapre gli occhi lentamente e vede un uomo con una divisa blu seduto sull'altra rotaia che lo guarda...
Macchinista del treno, che ha capito le intenzioni del cronopio: - ''siamo fermi, la locomotiva si è guastata, e comunque per oggi non c'è nulla da fare: c'è sciopero, riprova domani...''
Cronopio:- ''e va bene, crumiro di un barbiere...''

Malauguratamente la storia è vera, a parte il finale, tragico.
Accadde qui, in questo paese di famas senza speranza; dopo questo racconto mi sono comprato un tagliacapelli... del resto, per l'uso che ne faccio...



lunedì 10 febbraio 2014

In un giorno di fili intrecciati



In un giorno di fili intrecciati
Quando anche la pioggia, infine
Deserta, scompare
Tra i gomiti stretti degli innamorati
e le fronde degli ombrelli sollevati dal vento
i rivoli no, la lentezza rimane
fino alla fine delle strade
fin dove si esaurisce il luogo
e ricomincia un tempo avverso di futuri
e bozze a digrossare ore ed impalcati

in un giorno di pioggia riparano
i fili lungo i menti
e nelle maniche sguarnite della gente
fremono i polsi davanti a tanti morsi
e bagnano le carni
questi posti dove non posso
dove mi dolsi

ma continuo ad amarti
come la pioggia, definitiva, complessa
come una donna e un uomo
sotto la pioggia
dopo un amplesso
di anime, di coraggio, di risoluzioni

e non smette, la pioggia
la rivoluzione
eterna, dentro, stretta negli occhi
come una luce, una fiammella.


domenica 9 febbraio 2014

Mi torna un tempo.



Mi torna un tempo
Di strade traversate in fretta
Di ritorni controvento
Di sguardi stesi e siepi ed oltre
Occhi puntati e alterne
Meraviglie e sibili
Netti favoriti nel vento

Forse non ti sei mai voltata
O ti fermavi appena
Con le mani ferme sugli svolazzi
Di una gonna plissettata
O mi sarà bastato non credere
Non in me non tanto da seguirti
Se era poi quello che tu volevi
Come le donne grandi
Quelle che a sera smettono di essere impiegate
O sartine d’altri tempi

Lo sento ancora
Quel tempo che mi ha mancato
Il tempo che mi ha sfiorato
Quando ritti lungo il rilevato
La littorina ci ammiccava disperata

Io non so dove andavo
Non so dove mia madre ci portava
Pensavo che le linee non avessero destinazione
Ma solo tempo, ad uso e consumo

E ritorni
Tu da quel tempo
Io da quella strada
Dove ti sapevo divergere
E forse di noi solo tu sapevi
Che separare i tempi e i luoghi
Ci avrebbe resi più vicini
Ma solo dopo
Dopo passati tutti
I tempi, i luoghi
Ed ora ci apparteniamo
Come la terra
Come la memoria
E non abbiamo pena
Di tanto danno
Di tanto cercarsi
Di tanto affanno

Siamo la soglia
E l’ombra della chiave
Immobile
Sotto lo zerbino.

Quanto avidi, i silenzi



Quanto avidi, i silenzi
Divorano parole e strade
Sedimentano ai bordi
Sfumano le desinenze
Attaccano gli inizi

Si rimane così
Semplicemente senza

Con le corde del cuore ancora calde
E la voce che si muove
Come uno strumento senza suono
Come una gola che inghiotte la sua eco

Si rimane così

Nei silenzi
Grandi d’amare
Nel posto esatto
Dove ogni assenza di parole
Cede il passo ad un gesto
Un cenno
Un malincuore

Si rimane così

Semplicemente astanti
Ad una fermata soppressa di parole.

Lettere da carta in amore.

Vorrei semplicemente che tu scrivessi. E che per una volta fossi tu a farlo, da sola.
Vorrei che tu mi amassi. E che per una volta fossi tu a decidere i tempi, da sola.
Senza la mia presenza. Senza le modifiche, pur lievi, che posso importi.
Come se io non ci fossi. Libera di essere, senza che nulla tra noi si frapponga.
Vorrei che parlassi di te, ma lentamente, perché possa intendere, senza quei passi affrettati che troppo spesso solo a fatica riesci a modulare.
Dimmi di te, apriti dolcemente, perché possa capirti, senza quelle accelerazioni che a stento riesci a governare e che ti fanno esitare nel dirmi di te.
Ti vorrei qui, distesa, col tuo sentire che sempre più si fa fluido, il tuo battito leggero, attenta e tesa a raggiungere il limite ultimo, quello dopo il quale sai di dover ripartire da un accapo.
Vieni qui, lasciati andare, fa' che possa sentirti respirare, ascolta il tuo respiro che si va quietando, il tuo corpo che si muove col mio, il tuo cuore preciso, il tuo moto che si completa col mio, fino a quel punto estremo dal quale ripartire.
Ma ti ostini, ti blocchi, in qualche modo mi dici che questo nostro rapporto è impossibile, non è di questi tempi, che siamo ormai passati, che nuove luci, con lettere più precise e impeccabili si illuminano dal retro: meravigliosi video retroilluminati di grazie istoriate al plasma!
Non credi ai tuoi occhi, cerchi di negarti a questa meraviglia, dici che non è possibile, che non è più tempo, che un altro tempo, la forza di altre braccia e desideri ci sopravanza.
Tu sei qui, invece, nel tuo moto di un amore antico, quello che intende il rigore preciso di un legame di altri tempi ed altre mani: tenone e mortasa, sentimenti inestricabili e code di rondine, custodi e cassetti: quelli che non apro, ché un'aria infida, pur nuova o diversa, li ossiderebbe, i pensieri, le lamine, i pennini senza tempo, sudate incrostazioni, intarsi, e follicolo occluso, da dove passa il segno che lasci, tu, tra le righe.
Ti dico che sei qui, invece, con tutta la storia possente e intatta dell'amore vissuto da dentro, con quei suoi incastri perfetti di anime e corpi, e tutto quel sentire che abbiamo custodito tenacemente, assiduamente, aspettando questo momento così perfetto e propizio in cui quell'amore si realizza.
E vorrei poi che sentissi, come un tempo, le mie mani prendersi cura di te, darti il calore e la spinta necessari a portare avanti il tuo compito silenzioso, quello che solo tra noi, apparendo, parla.
E sentirai, come nel tempo che ci è stato così a lungo negato, che è giunto il momento di portarmi nel tuo segreto dell'essere donna, quello che sono venuto a cercare col calore delle mie mani, dove i tuoi fianchi si aprono e i miei occhi non sanno confini.
Ora, a volte, posi nella tua terra di bianco, smarrite le linee sottili, o forse ormai inutili, ora che tutto hai fatto della tua vita, ora che più non ti serve l'abbrivio di uno schema fisso, ora che sei di nuovo, in qualche modo, libera; di spaziare, almeno.
E dopo l'amore, dopo il nostro esserci e dare, rimarrai leggera, nei lini segnati da impressioni sottili e dal peso delle tue ali di inarrestabile farfalla; e non ti servirà più nulla, ora che sai la vita e l'amore, ora che sei di nuovo libera di spaziare.
E qui finiamo, giunti al punto: manca un accapo che non mi è concesso.
E questo ci basterà, come un accapo che rinasce.
Ciao
Sempre
Refill.
Amore mio.


mercoledì 5 febbraio 2014

Historia unilateral de desliteratura*, chapter 1st, Don Luigi.

...Ora, dunque, tutto è dimenticato, Don Luì, non ci siete più, non ci sono le vostre parole, non ci sono i vostri pensieri, lo sapevate da sempre, lo avevate detto, avevate avvisato, e non siete mancato...
Mancate solo nella meraviglia di chi vi scrive, voi così diverso da tutto ciò che avendovi circondato, con la vostra assenza, è scomparso a sua volta; ricordo di aver inseguito zaguanes(1) e di essere sboccato in patios senza fine, con rovine circolari, vado a braccio, o a mente, non saprei, cerco di intravedere i vostri inizi di novecento, dove iniziavano le torri, intersecandosi, in lingue e simboli che non ho conseguito d'intendere... direste algo similar(2), Don Luì?
Non mi sento in grado di indovinare le vostre domande, le mie verifiche sono prive di sostanza, solo immagino, null'altro, esa música, lejana, la que Usted sintió, en aquella hora de llanura en la tarde(3)... qui rimane il vento, si è cristallizzato sulla foto di voi seduto con le mani appoggiate al bastone, come una silente folata che si ritorce in se stessa, annullando il proprio moto, un remolino atando vuestros dedos(4)...
Perdonate, don Luigi, se tutto ho dovuto dimenticare, ma così intendevo, così ho creduto di capire quando dicevate che per voi la difficoltà non era scrivere un libro, ma leggerlo... forse avrei dovuto pensare al revés e al ves-re, al contrario e al suo contrario, come dite voi del cono sur... forse tenía que pensar en vuestra ceguera(5), e allora avrei potuto capire, che scrivere un libro era per voi più facile che leggerlo, anzi no, per una volta forse vi siete schermito... voi che avete letto e ordinato migliaia di volumi, quasi una storia dell'uomo... ma ora non importa, mi tarea se cumplió, si acaso hubo una(6).
***
A domanda, il paziente risponde in maniera confusa e leggermente compulsiva indicando un volume minuscolo, di cui crede di poter dare il titolo, 'libro de arena'(7) o qualcosa di simile, e un altro, ma qui il tutto si complica, dice trattarsi di artifici, artificios(8), qualcosa di simile, non si capisce se stia ricorrendo a uno stratagemma, dice di non ricordare, di non essere lui il memorioso, parla di funi, o funes(9), non si capisce, forse affiorano tendenze suicide, a domanda risponde di no, che non parla di sé, ma di un tale Martín Fierro (10), che è stato ucciso da un negro, che a sua volta era stato sconfitto da altro personaggio ignoto in una specie di sfida musicale, sembrerebbe trattarsi di una vendetta tra bande, ma l'ipotesi risulta remota, anche perchè il soggetto ha chiamato improvvisamente a testimonio un certo signor Dahlmann, Dalmàn, come egli dice, parente di un tal Flores(11) non meglio identificato, sembra si tratti di un personaggio altolocato, di più non è dato capire...
***
La ricerca di familiari è riuscita infruttuosa, sembra che nessuno, nelle cliniche contattate, abbia domandato di persone scomparse le cui caratteristiche potrebbero aiutare nell'identificazione del soggetto.
De cada manera, el sujeto mismo se detiene constantemente en la biblioteca del instituto(12).
***
Guarda i volumi con insistenza, infine sembra eleggerne uno, vecchissimo, copertina marrone, pagine assalite da giallore e umidità, in brossura, e quasi senza guardare lo apre e comincia a parlare...
Così:
...ecco, dov'ero finito, ultimo capitolo, Sur. Ci sono tutti, aspettavano, Dahlmann, Flores, la carrozza di piazza, gli infermieri, i medici che mi hanno curato, il bigliettaio, il treno fermo nella pianura trascorrente, la stazione spiazzata, il ferroviere che mi indicò la locanda, los mozos maldidos, le palline di mollica che mi tirarono, il duello, il vecchio rannicchiato, la 'daga' lanciatami in disperato soccorso, el cuchillo, mia estrema condanna, y mi muerte, don Luís, yo muerto, tutto il vento del sud premendomi al suolo, e voi... che avete fatto del mio ritorno una morte di cui vi sono grato, la mia vita non avendo, così composta, altro fine, Usted comprende...
Anche Recabarren e Savastano (13) capivano tutto, e non parlavano, neanche una parola, anzi no, Savastano le confidò cose che nessuno avrebbe creduto, non c'erano prove sostenibili, già, perchè in questo breve, contenuto delirio, in questa totale assenza di ricordo, sporgono queste poche note, che hanno avuto il loro effetto, quasi un segno; la fine, il sud, la percezione dell'essere.
Tutto qui, don Luigi, quello che riesco a trattenere dei vostri insegnamenti e che ho sognato in questa mia degenza.
-Ma chi ha inventato tutto questo?
-Non si sa.
-Allora nel mondo non succede niente?
-Ben poco.
-Quello che non capisco è la sua paura. Che vuol farci?
-E se si rompe l'illusione?
-Ma no che non si rompe,- mi tranquillizzò.
-Quanto a me, sarò una tomba,- promisi.
-Dica quello che vuole, tanto non le crederebbero.
Squillò il telefono. Il presidente portò il ricevitore all'orecchio e con la mano libera m'indicò la porta.**
Ora esco, dall'incubo, il treno è quello al penultimo binario, falta media hora, voy a poner la valija en la red, acaso leeré las Mil y una noche, tendré que bajar en la nueva estación del sur, y después irme al almacén, comer, allí estarán unos muchachones borachos, me echarán bolitas de miga, y habrá tal vez un duelo, el último, sin palabras...***
Oppure no, il vecchio, rannicchiato, nasconde la daga, Recabarren, sorpreso, la raccoglie e la fa scivolare sul retro, verso la finestrella che dà sulla prateria, da dove un giorno aveva visto crescere un piccolo punto fino a diventare un uomo che smontava da cavallo.

Mistificazioni da J.L. Borges, 'El fin', 'El Sur' (da 'Artificios'), 'Esse est percipi' *(da 'Crónicas de Bustos Domecq').

*Desliteratura, composto di deslizar, scivolare, e literatura, quindi mistificazione letteraria, più o meno.
Le traduzioni che seguono sono assolutamente personali, cioè a me più convenienti, ma non si distaccano troppo dal vero, come quelle precedenti;
1-corridoi, androni;
2-qualcosa di simile;
3-quella musica, lontana, che voi sentiste in quell'ora della pianura, di sera...mistificazione da 'El fin':... hay una hora de la tarde en que la llanura está por decir algo; nunca lo dice o tal vez lo dice infinitamente y no lo entendemos, o lo entendemos pero es intraducible como una música...;
4-un vortice che lega le vostre dita;
5-dovevo pensare alla vostra cecità;
6-il mio compito è concluso, se mai ci fu;
7-Il libro di sabbia;
8-Artifizi;
9-Funes il memorioso;
10-Martín Fierro, si può definire figura mitologica?
11-Dahlmann e Flores, personaggi di 'El Sur';
12-Ad ogni modo, il soggetto medesimo si trattiene costantemente nella biblioteca dell'Istituto... se sto parlando di chi dico io, la biblioteca la dirigeva, anzi, lo dirigeva...
13-Recabarren, personaggio di 'El fin', Savastano di 'Esse est percipi';
**Frasi tratte da 'Esse est percipi';
***Qui, la mistificazione è fatta su 'El Sur'.

18 maggio 2010






A Punta Alice con Matteo.

l'appartenenza è il solco, avanza
sotto la pelle l'amo
l'hanno scorso, le dita,
il filo attento che vado
a recidere
l'appartenenza, sono tutti i segni
le nocche gli zigomi gli insiemi indifesi
nei volti

con te ho seduto
nel punto esatto del golfo che muore e rinasce
le sue acque a dividermi, lambendomi a lato
e tu figlio a stringermi la mano
in un sottinteso non andare

qui ho smarrito le mani dei padri
le sempre dure
dove si spengono le mie fiumare
e la terra si fa pietraia
giogo inevitabile, forca

ti dico tutte le vie
e i sogni
e i nomi
i visi bruciati e i fazzoletti ripiegati
le figure stinte
di quanti ormai me ne ricordo a stento

l'appartenenza è se e quando dirai
mi diceva mio padre
senza sorprendere gli occhi di chi ti chiede
e tu, figghjiu, a chi appartèni?*

*e tu, ragazzo, a chi appartieni? (è espressione tipica)
2011 

lunedì 3 febbraio 2014

The ancient mariner, U vecchju marinaru...

   Non so di cosa si tratta, è una cosa che ho scritto senza guardare, tempo addietro. Solo dopo mi sono reso conto che pensavo ad una delle poche poesie, opere poetiche, che ho letto in vita mia, di S. T. Coleridge, of course.

mò ti cunt nu sonnu                     ora ti racconto un sogno
e de pecchì un ti cuntu, si sonni   e di perchè non te li racconto, questi sogni
lui tornava, e chiamava
con l'ape che ronzava
non aveva la patente
sembra niente
non sentiva e ci chiamava
sempre più forte
perchè non sentiva

lei non c'era..
- sa fìmmina!                         - questa donna!
sinn và semp girann                 se ne va sempre in giro
sa fìmmina                              questa donna
e quann a chjàmu                     e quando la chiamo
mai na vota c'arrìva! -               mai una volta che arrivi! -


- cchi ten? cchi ten? -             - che hai?  che hai? -
- cchi c'è? -                           - cosa c'è? -
- è troppu pisu! -                   - è troppo peso! -

- com cchi c'è, nunn u vidi? -    - come cosa c'è, non lo vedi? -

- no, papà, nunn u vìju               - no, papà, non lo vedo
mò t'aiùtu ìj ccu a špisa               ora ti aiuto io con la spesa
ta port ìj dintra, un ti stancare -    te la porto io in casa, non affaticarti -

- ma allùra davèr unn u vidi?        - ma allora davvero non lo vedi?
chi teni, figghju mè?                       che ti succede, figlio?
davèr u dici, c'unn u vidi? -             davvero lo dici, che non lo vedi? -

- he pijàt i pisci ca ti piàcin          - ho comprato i pesci che ti piacciono
e l'acqua mineràla e vinu novu -     e l'acqua minerale, e vino nuovo -

- e chissu...                                 - e questo...

- si stàvin špusànn                      - si stavano sposando
duj beddi giùvini                          due bei giovani
c'era fudda davant a gghijèsa        c'era folla davanti alla chiesa
e nu vecchiju, nu marinaru,            e un vecchio, un marinaio
era sulu, m'ha chijamatu                era da solo, mi ha chiamato
- m'ha dittu:                                   mi ha detto:
- pija s'animalu                                prendi questo animale
pìjlu d'i sciddi e pòrtilu a fìgghijta    prendilo per le ali e portalo a tuo figlio
u giùvinu                                        il più giovane
u sacciu ch'è benutu                      lo so che è qui
ma a mìja umm vena a trova -          ma non verrà a trovarmi -

- unn a vìj, papà                                    - non la vedo, papà
unn a vìj sa bestia ca nun tocca terra     non la vedo questa bestia che non tocca terra   
 
- un zugn stat ìj ca l'he ammazzata, papà           - non sono stato io ad ucciderla, papà
è stat' u vecchju                                                è stato quel vecchio
ma ormai mi l'ha mannata...                                e ormai me l'ha mandata...

Quella che segue è la trama della 'Ballata', ripresa da Wikipedia... quanto abbia a che vedere col mio incubo non lo so.
La ballata del vecchio marinaio (titolo originale in inglese: The Rime of the Ancient Mariner) è un poemetto scritto e ripreso più volte da Samuel Taylor Coleridge e pubblicato nel 1798 nell'introduzione della raccolta romantica Lyrical Ballads di William Wordsworth e dello stesso Coleridge. Può essere considerata, al pari della prefazione delle Lyrical Ballads, uno dei "manifesti" della corrente del Romanticismo.

Trama

La ballata del vecchio marinaio racconta l'avventura straordinaria di un uomo di mare. È divisa in sette parti.

I parte

Un vecchio marinaio intrattiene l'invitato di una festa nuziale con il racconto della sua incredibile avventura in mare. Inizialmente riluttante, il giovane viene sedotto dallo sguardo ipnotico (in inglese glittering, letteralmente "scintillante") del vecchio narratore. Il suo racconto ripercorre, quindi, le vicende della nave del marinaio che, spintasi oltre l'equatore verso l'Antartide, rimane intrappolata in una terribile tempesta e finisce nei pressi del Polo Sud. Il ghiaccio impedisce alla nave di muoversi, e i marinai temono per la propria sorte. Ma, proprio quando ormai disperano, il posarsi di un albatros sull'albero nave riaccende nell'equipaggio la speranza: l'uccello viene accolto come un presagio favorevole dai marinai, che lo rifocillano. Il volatile sembra, infatti, portatore di una brezza che consente alla nave di liberarsi dalla stretta del ghiaccio. Inaspettatamente, però, il marinaio uccide l'uccello con un colpo di balestra. L'autore, tuttavia, non spiega il perché di questo gesto.

II parte

L'equipaggio dapprima rimprovera il marinaio per l'inopportunità del misfatto, ma successivamente accade che approva il crudele gesto, perché coincidente con il miglioramento delle condizioni atmosferiche. È questo manifesto assenso a renderli moralmente complici del delitto. Le condizioni atmosferiche, però, precipitano: vento del tutto assente, sole cocente, acque ferme ed arroventate; tutto accade presso l'Equatore (the Line). L'equipaggio, sofferente per la sete, incolpa il marinaio per la propria disgrazia e gli appende al collo, al posto della croce, l'albatros che aveva abbattuto.

III parte

All'imbrunire, il marinaio e il resto della ciurma scorgono una nave fantasma in lontananza. Al suo avvicinarsi, distinguono come passeggeri solo un uomo ed una donna impegnati in una partita a dadi: Morte (Death) e Vita-in-Morte (Life-in-Death). L'uno (Death) vince la vita della ciurma, l'altra quella del Marinaio, che considerava più preziosa. Scende, così, bruscamente la notte. L'equipaggio, agonizzante, maledice con lo sguardo il marinaio, reo della loro sventura e, uno dopo l'altro, in duecento esalano l'ultimo respiro.

IV parte

Il marinaio, al contrario dei suoi compagni, sopravvive per sette giorni e sette notti nel rimorso per l'uccisione dell'albatros, solo e disgustato dell'acqua che lo circonda. Ad un tratto scorge dei serpenti marini che si agitano nell'acqua, splendenti di colori spettacolari. Mosso da un improvviso sentimento d'amore, benedice le creature marine, che sono segno di vita. Dio, impietosito dal gesto d'affetto del marinaio, termina il suo castigo: l'albatros si stacca dal suo collo e si inabissa, le stelle ritornano a muoversi e il vento a spirare.

V parte

Il marinaio è allietato dal sonno e da una pioggia ristoratrice. Durante la notte un gruppo di angelici spiriti penetra nei corpi morti dei marinai e ognuno torna a svolgere la propria mansione sulla nave. All'alba tutte le anime si raccolgono intorno all'albero maestro e intonano al cielo un angelico canto. Nel frattempo la nave procede sulla rotta, mossa dall'azione dello "spirito del polo sud" che improvvisamente cambia rotta facendo cadere il marinaio, che perde i sensi. Nello stordimento, sente due voci indistinte.

VI parte

Il dialogo tra queste due voci spiega il moto della nave in assenza del vento: l'aria, chiudendosi dietro la nave, la fa avanzare. Al risveglio, il marinaio si trova nel suo paese natale, in cui riconosce la chiesa, la baia, la collina.

VII parte

Mentre la nave affonda, l'uomo è soccorso da un battello, in cui si trova l'eremita, al quale il marinaio prova forte desiderio di raccontare il suo trascorso. Una volta rivelato il suo vissuto, l'uomo si sente sollevato dall'agonia a cui le vicende l'avevano portato. Intraprende, così, il suo viaggio nel mondo per narrare la sua edificante storia. Il marinaio consiglia l'invitato alle nozze di pregare per tutte le creature della natura perché amate da Dio. Quest'ultimo si ritira quindi in una profonda riflessione.

un azzurro rimane (trad.)

un azzurro rimane
anche quando ti allontani
e passa tra le tue dita
come fanno le parole amiche
che s'aprono e dicono
dei cieli che verranno

vanno, parole e nubi
traversando i sogni
quelli che le tue mani
bianche
rilasciano sulle febbri
e ansante
sono al tuo seno
come uno stelo
nell'aria di un bicchiere

sei tutti i domani
e tutto il tempo
sei la pioggia a filo
e i rami che risalgono al cielo
sei le mie braccia
sono le tue mani.

Il fischio, raccontino.

    Non mi invento nulla, le stavo parlando di quella volta lì, dal barbiere; mio figlio era piccolo, sui cinque anni, decisi di portarlo dal barbiere del paese in cui allora vivevo, un bel taglio vivo e via... Dicono che i barbieri, i sarti, siano spesso spie o anarchici, ma sono dicerie di un tempo che fu. Questo barbiere invece mi sembrava semplicemente un po' impiccione, un gradino al di sotto del titolo di spia: subito cercò di capire chi fossimo, da dove venissimo, e il suo sguardo indagatore mi sembrava interloquire con quello dei clienti abituali del ''salone'', come si chiamano ancora dalle mie parti; le attese del barbiere e dei suoi amici mi sembravano andare deluse dalle mie frasi quasi appena accennate... - che sì, che abitavamo in quel paese da qualche anno -, - che però non conoscevamo quasi nessuno -, e altre frasi ugualmente di scarsa portata; prolungandosi l'attesa, l'interesse verso la presenza mia e del bambino scemò quasi del tutto...
    Finalmente potevamo aspettare il turno per il taglio dei capelli, solo infastidito, io, dall'eloquio un po' sopra le righe di qualche sfaccendato che cercava di attaccar briga sparlando di questo o quell'altro calciatore, ben conoscendo le tendenze calcistiche dei destinatari delle frecciatine che lanciava.
Mi ripromisi di non metter più piede in quel posto, non accettavo che si parlasse in quel modo in presenza di un bambino.
    Ma ormai eravamo lì, e ci eravamo, quasi, quando mi accorsi che il barbiere, indicando con le forbici trattenute a mezz'aria il posto dove sedevo, stava dicendo che quel tale era seduto proprio lì, al posto di quel signore lì... cioè del sottoscritto.
    Smisi il mio disinteresse e mi feci attento... colsi nel racconto del barbiere... che l'uomo - il nome mi era sfuggito - era entrato sorridente, aveva scherzato, aveva aspettato pazientemente e poi aveva chiesto un 'servizio completo', barba, capelli, shampoo, e anche i peli del naso, sì, anche quelli... doveva farsi bello, mettersi in ordine, non voleva sfigurare, - così disse -, per andare a buttarsi sotto il treno.
    Certo il barbiere non poteva immaginare che un giorno gli sarebbe toccato di dover raccontare questa storia, certo che no. Nessuno aveva creduto a quella che di lì a poco si sarebbe rivelata essere una dichiarazione inappellabile, precisa.
    Intanto mi sono alzato da quella sedia: fortunatamente, un po' distanti, su un tavolino di vimini c'erano dei giornali...
    A un centinaio di metri si sentiva il fischio del treno, come un brivido ripetuto.
   Io non l'avevo avvertito, mi ero distratto, e non avevo capito che quel fischio che non smetteva aveva richiamato quel ricordo alla mente del barbiere: era lo stesso fischio di qualche anno prima; anche l'ora, e il luogo, erano gli stessi, più o meno.
4 agosto 2010

domenica 2 febbraio 2014

Sei dove batte il cuore fondo degli ulivi



Sei dove batte il cuore fondo degli ulivi
Dove scoscende a mare una ripa assidua di parole
Lì sono a stormire le onde
in un fragore rampicante
di appigli e di maree
e schiere
ricurve di viandanti
questuanti sogno
ripongono fatiche
ai bordi delle strade
la terra si fa rovo di silenzi aguzzi
e appunta segni anòdini
a ricordare azzurre marce
e interminate di avvicinamento

è passato un secolo qui a lato
e nulla muta
se ti cerco
tra le rovine di un calvario antico
sono felici le insoddisfazioni
ed è qualcosa da vivere, trovarti
col tuo cuore d’ulivo, netto
dove più forte batte di terra
un cuore che ti sapevo
quello che precede i giorni.

ulivi

guarda, guarda qui tra le mie dita
Piccolo
vedi niente, vedi verde?
sogna, sono ulivi
belli, vero?, pensa
un mare in terra
duro
sonno da levigare
se gli uomini stormissero, Piccolo...
durame di mani dure
pure, lisce come il tuo sorriso
regge il cuore delle piante

se gli uomini ridessero
forse sarebbero ulivi
anch'essi
un mare d'uomini
e d'anime, Piccolo

no, tu qui non li vedi
gli ulivi sono alle tue spalle
e alle mie

che pure, ma in silenzio
ti sospingono.

sabato 1 febbraio 2014

Madonna di Mare (Cambiano a Metaponto i crotoniatidi sul Basento...)


La poesia dovrebbe essere qualcosa di universale, l'assunto è così banale che non dovrei poter sbagliare, almeno in questo caso; non essendo quella che segue una poesia, mi limito al particolare, anzi mi limita il particolare, di cui, in fondo, è cosa, se non doverosa, almeno gentile dare spiegazione ad un molto eventuale lettore...
La prima sciocchezza che ho scritto in ordine di apparizione è ''cambiano a Metaponto i crotonesi sul Basento'' ...giocando su un verso di A. von Platen (lì si parla di Busento), ritrasmessoci da Carducci, che suonava - si potrebbe dire 'barbaramente'; ''cupi a notte canti suonano'': chi conosce almeno per sentito dire i viaggi della speranza, i tentativi di centinaia di migliaia di persone che tentavano di agganciarsi ad una vita decente o appena migliore, chi sa qualcosa delle privazioni e delle speranze, e dello stato di abbandono, dei silenzi, delle assenze che da queste terre sembrano quasi incancellabili, beh, forse quelle persone possono capire cosa significa quel ''cambiano''.
'Madonna di mare' è una collina sul mare, quasi bordata in ampia curva da una ferrovia a binario unico, percorsa soprattutto da littorine - oggi si chiamano automotrici termiche - che collegano tutte quelle colonie magnogreche di cui la locale retorica continua a magnificare...Taranto Sibari Crotone Locri... e le ridenti località costiere, che non si capisce cosa abbiano poi da ridere... sì, stavo dicendo che a Madonna di mare è relegata, nella immancabile piccola chiesa, la statua di san Cataldo, con annessa storia di marinai, naufragi, ritrovamenti, miracolo, e postura a devozione, amen... e ti pareva!
Si ammirano inoltre: stabilimento industriale nei pressi di Punta Alice, su preesistente insediamento magnogreco con tempio dedicato ad Apollo Aleo, che gli operosi tombaroli locali hanno provveduto a tempo debito a razziare, una torre d'avvistamento medievale, 'a turra vecchia', in ottimo stato di abbandono, e poi, adiacenti alla chiesa di cui sopra, i cosiddetti 'mercati saraceni', talmente ben restaurati che è praticamente inutile visitarli... bastava una ricostruzione tridimensionale; la vista che da qui (dovrei dire colà) si gode potrebbe essere impareggiabile (che significa godibile), ma sarebbe un risultato scontato, talché (bello, eh, 'talché'?) sì è provveduto a mitigarne la bellezza con accurati accumuli di materie plastiche, sacchetti rigorosamente non biodegradabili, lattine, cicche, scorze di melone, avanzi di accoppiamenti furtivi e varie ed eventuali ivi sapientemente collocati, con l'evidente fine di evitare ai visitatori il rischio dell'insorgenza della sindrome di Stendhal; può bastare: questo posto racchiude o mi ricorda buona parte di ciò che di bello il mio sguardo trattiene di questi miei cinquant'anni.

qui dove i telefoni non prendono
altro che vento e cavità di mari
dove seduto ascolto un rigurgito di sale
risalgono a piedi gli achei
scartando littorine
seguono una bava di binario
con scudi di cartone
vengono qui i miei guerrieri di notte
con facce spaurite di civetta
a Madonna di mare
sfogliano cartoline
di moderne ristrutturazioni
mercati saraceni torre di guardia chiesetta
e trenino a dondolo
sullo sfondo
la montecatini
sotto
murato a morte
tempio di apollo aleo
il bel volto
cercano una mappa gli achei devastata
la città sepolta
non sanno di carte e cacce di tesori
che anche questo posto
nasconde alla vista
sette camere e spezzato un filo d'oro


oggi che asparagi si contendono
selvatici i figli degli achei di sempre.


31 maggio 2010