giovedì 31 dicembre 2015

''Sono angeli che indossano camici'', Libertà, 31 dicembre 2015.

Sono passati più di sei mesi da quel 19 giugno 2015... Non avevo mai sentito così vicina questa piccola città che spesso ho definito 'dei silenzi'. I silenzi sono un patrimonio, quando non un privilegio. Ribadisco il grazie della mia famiglia a Piacenza, a questi angeli quotidiani che qui lavorano e si donano a chi soffre, e a tutte le compagne e i compagni di viaggio di questo lunghissimo 'percorso' di Matteo: i loro nomi sono stampati con caratteri indelebili nei nostri cuori, nelle nostre menti, nei nostri pensieri, nomi che ci teniamo stretti, come un segreto dai sigilli inattaccabili. Quei nomi importano e non importano: coloro che li 'indossano' sanno, e un filo ci unisce, che è attesa, è speranza, è quanto abbiamo condiviso dentro e fuori delle stanze che ci hanno ospitati. 
Buon anno a tutti, buon 2016 a tutti questi angeli, lo meritano davvero.
Gli Amoruso.




martedì 22 dicembre 2015

camminiamo per mani

camminiamo per mani
lontane
di silenzi e magie
onde animose
rincuorano
nell'avversità dei passi
verso l'alto guarderemo
sempre attesi
a una speranza
che rapida
anche in volo riposi
come l'allodola
quella che mai
dicono
il suolo la tocchi.
20.12.2015

sabato 19 dicembre 2015

col desiderio d'innalzare sorrisi

col desiderio d'innalzare sorrisi
fieri
come monumenti alla speranza
cerco nei silenzi
nelle ricordanze
i fili che uniscono
i cieli e le stanze
a volte
rido di me, rido di brutto, rido di matto
ma tutto è dentro
come uno sguardo che non nasce
un fiore che non vola
una pace in cerca d'asce
da dissotterrare
come un non noli (1)
un non velle (1)
un non posse (1)
i ricami di stelle
tra volte, tra l'altre, tal'altre
s'ascondono in bordure
d'uncinetti
di lavori sì fini
che carezzarle è un attimo
è quando le stelle non resistono
e diventano donna,
e corpi
e amori
debordo, lo so
come un finale indistinto
un affondo di parole.
1: mi andava di scrivere così, sbagliando.

mercoledì 9 dicembre 2015

Chissà...


Chissà, chissà perché tra tutti i miei figli sei stato proprio tu quello che tenevo sempre in braccio, quello che piangeva così spesso e non riuscivamo a capirne il motivo... sempre in braccio, al punto che tuo nonno, mio padre, un giorno sbottò dicendomi di metterti giù, che così mi spaccavo la schiena... chissà... chissà perché gli autunni si annunciano da così lontano e mai ci sogneremmo di intenderne l'avviso in una foglia che appena appena mostri una screziatura di giallo, un accenno di variazione nel suo stato. L'autunno è dentro, e lo sento profondamente come non mai, solo vorrei che fosse solo mio, mio, e che questa esclusività assoluta potesse proteggervi, tutti...
C'è un'ora nella sera in cui il dolore, la sofferenza, le paure, si ritagliano un luogo preciso, io lo osservo quel posto, quel luogo preciso che si insedia in tante cornici, tutte della stessa dimensione, ricavate sull'ala opposta di questo ospedale. So che anche tu li vedi, quei riquadri con anime in attesa e corpi che, dove più, dove meno, lottano. Avviene in quell'ora paurosa in cui la sera impone il distacco, la separazione dei ruoli e delle dimensioni.
E' l'ora in cui i visitatori tornano, in una maniera o nell'altra, comunque inversamente proporzionale alla distanza dal dolore, alla propria esistenza, quella è l'ora in cui mi parla la sera. Tu la intendi, quella lezione, e ogni domanda che ne consegue, ogni speranza che ne deriva, tu così vigile nei tuoi giovani anni, così pochi che contarli è un attimo quasi quanto viverli.
Forse era per questo che ti tenevo sempre in braccio, quando eri una foglia così tenera che non avevo modo di immaginare o sapere.
Chissà, se ora so, se mai saprò, anche oggi che ti guardo in uno dei tuoi tanti letti e mi ripeto quello che ti ho sempre detto: 'deve essere bellissimo essere Matteo Amoruso...' Tu non mi hai mai risposto, solo una volta mi hai detto che non c'è nulla di bello ad essere Matteo Amoruso: non ti credo, nemmeno ora.
Papà.

martedì 8 dicembre 2015

indovino dei rami il dolore dello stacco

indovino dei rami il dolore dello stacco
di fronte gli occhi ho sempre
lo stupore delle foglie
quando tocca a loro
il tempo dell'addio
distano sempre i rami
a svettare
a fatica
sulle sofferenze umane
perché sappiano
d'umano
la rescissione del fogliame
e quanto lento
e restio d'abbrivi
sia raggiungere
a terra, la meta.
Di foglie s'innerva
la mia attesa
e come d'autunno, passa
avida di silenzi
sommessa.
***
Io vorrei essere inutile
come un ramo che non ha più vita
trascurabile
come una via senza uscita
e liberare
lo spazio d'aria
tra vita e parole.

domenica 6 dicembre 2015

La notte accesa

La notte accesa
un'altra volta di cielo
indovinando stelle
da presso
il corpo delle nubi preme
e scende negli occhi
da scanalature
solchi
riandando
alla stagione che si presentava
ridente nei suoi doni
ora,
ora invece
greve è lo sguardo
e la stagione silenziosa
fumiga
di là dai vetri
inafferabile
tra nebbie
e luminarie
di soli freddi
mai tocchi, di tanta luce.
*
Tiriamo a riva le speranze
e i canapi striano
i dorsi
dei marinai
teniamo il sale
da parte
come una forza
rara
concessa dalla sorte
abbiamo motti
che sussurriamo
a parte
finché si perde
nella notte
l'ultimo pensiero
quello a difesa sulla riga della porta.
**
Ci sorprendono foglie
che hanno scelto il mattino
per esistere
per contagiare con speranze
altre foglie che domandano
in aria
appese al loro stesso freddo
quanto tempo le separa
dal suolo, dalla fretta, da una folata
improvvida di vento.
6.12.2015


venerdì 4 dicembre 2015

rimango qui

rimango qui
a segnare la pena
dove mi ha portato
questo fiume
la sua vita
d'imperio
la piena
Travo, PC, albero da chissà dove, nel greto del(la) Trebbia.

le mani

le mani
nella loro padronanza
lente
quando smette la ricerca
e spiove
come a non finire mai
in ogni linea esatta
tracciata tra le tessere
acciottolate
umori che scorrono
dove era prima
la polvere nel suo dominio breve
è un tempo che ho amato
un tempo che si è insinuato tra gli anni
negli incroci esatti di pensiero e carni
ora è il tempo che cede le foglie
e non si leva più il vento
stanche vele si mostrano erranti di disarmo
se le mani
esse sì
rimangono
consce di doglianze
di attriti
di crepe avverse che minacciano
dorsi e spazi tra le dita
dove più il dolore sconfina nella pena

un altro tempo attende
il caldo nelle vele
acceso un vento
confuso tra i rincalzi

credo che vada a esplodere
gonfiandosi in un tempo
fatto di sogni ricamati
in quella lacrime e il suo velo.