giovedì 31 gennaio 2013

i cardìddi, i cardellini, con note e audio


   La poesia, ammesso che questa lo sia, non sempre è facile da trasmettere. Questo solo a volte dipende dalla poca o nulla sintonia tra l'offerente e il ricevente. Nel confondersi dei ruoli, chi scrive diventa un ricettore di impulsi che offre poi al lettore, chiedendo a quest'ultimo di porsi come un ulteriore demodulatore di impulsi sensoriali poetici. La poesia moderna è, come d'altronde il mezzo utilizzato, cioè la parola, estremamente arbitraria. Questa mancanza di schemi non significa anarchia, o l'arrogarsi, da parte del poeta-proponente, il diritto di poter 'rifilare' al malcapitato, fiducioso o sprovveduto lettore, qualsiasi stupidaggine, appellandosi ad una malintesa 'libertà poetica'. Ne deriva che spesso il lettore 'non capisce ma si adegua', e qui sbaglia, perché egli, investito da immagini della cui evocazione non è responsabile, avrebbe anche il diritto ad avere delle spiegazioni. Del resto, se la poesia insegnata nelle scuole non prevedesse una esegesi da parte del docente e del discente, servirebbe a poco, ad impartire, al massimo, delle lezioni di metrica - quando è presente nei testi - o ad un esercizio mnemonico senza altro fine formativo. Che nel web qualcuno vi spieghi cosa voleva dire con una certa 'immagine poetica' potete scordarvelo... prendiamolo come un atto di liberalità nei confronti dei lettori, abbandonati a intendere fischi per fiaschi. Per quanto mi riguarda, delle cose che mi passa per la testa di materializzare su questa lavagnetta virtuale, posso anche parlarne, soprattutto degli errori e delle intenzioni poco o punto realizzate... 'Poco o punto realizzate...' E dài, Catà! Che significa 'sta cosa?  S'ha parràr, parra... (Se devi parlare, parla...).
   Parlo.
  E' morto zzu Luigi, il più piccolo dei fratelli di mio padre. Quanti anni avesse non è importante. Le statistiche sanno essere più o meno dolorose, ma in questo caso non pesano, come dato finale. L'immagine dei miei zii e di mio padre si è materializzata, si è proposta, come quella dei passeri sul fil di ferro d'inverno. 
Mi hanno parlato nella maniera di sempre, con le parole imparate con l'assunzione del latte materno e della zia che mi ha fatto da nutrice. 
  Li ho visti come cardellini tremolanti, infreddoliti, rassegnati, consci. E memori di un altro tempo in cui stringersi, sentirsi vicini, e affrontare il mondo, le avversità, la terra dura della loro provenienza bracciantile.
  Ora che giunge la loro ora, cadono da soli, non occorre che qualcuno li spinga. Di strano ci sono quelle mani sconosciute che li sollevano per portarli via per sempre, passando per quella strada che era per loro il mezzo per raggiungere quanto avessero di più caro: la casa.   
Quelle parole mi dicono di farmi attento alle voci dei cardellini, al rumore della pioggia che si agita nei pluviali, a quel filo che ancora si muove, perché la dipartita è recente, e quello staccarsi si ripercuote nel metallo che dondola come un dente, e non smette, ché ci sono ancora altri cardellini su quel filo, spauriti, ma forse si tratta solo del vento che si agita tra le fronde, che non vuole lasciare quegli ulivi, chissà..., forse zio Luigi è già un'ombra che si attarda disperatamente, che inciampa per non andare via...
   Tornando alla premessa, questo è quello che ho sentito: se sono riuscito a trasmetterlo, forse si tratta di una immagine poetica che attraverso le mie parole è scivolata nei sentimenti di altre persone. Se così non è, questo messaggio ha un solo destinatario: me stesso, e in questo caso non oserei parlare di poesia, ma solo di sfogo o esercizio personale.
Ciao.


I CARDIDDI.
'ntrègula...[1]
a fileràta dì[2] cardìdd[3]
‘un[4] ciàncin
sì e no si motichìjn[5]
stàvin 'ncutt[6], ‘na[7] vota, e si tenìjn...

mo' si tùmmin[8] sul
ccù nessùn ca l'ammùtta
o pènzca[9] sù si man 'e stran
ca s'i[10] mpèsin ‘mmenz a vìa

'ntrègul[11] i cardìdd, u rumùr di guttàl,
e u fil c'ancòra si toculìa[12]
o è sul u vent ca jùscia de 'nta[13] l'olìv, o chisà[14]...
n'umbrìa c' attroppicànn[15] trica pper a vìa.


I CARDELLINI.

ascolta...
i cardellini sul filo
non pigolano
a malapena si muovono
stavano stretti, un tempo, e si tenevano...

ora cadono da soli
senza che nessuno li spinga
o forse sono queste mani estranee
a portarseli a spalle per la via

ascolta i cardellini, questo rumore nei pluviali
e il filo che si muove ancora e appena
o è solo il vento che soffia di tra gli ulivi, chissà...
un'ombra che  inciampando indugia per la via.

  



[1] ‘ntregulàr è più precisamente ‘origliare’, ‘prestare orecchio con attenzione’; l’espressione ‘ascolta’ è assolutamente rara nei dialetti calabresi, a tutto vantaggio dell’uso di ‘sent’, ‘sent ccà’; infatti è una delle rarissime volte che uso questa espressione: non mi piace dire ‘ascolta’, tantomeno ‘ascoltami’, è più forte di me.
[2]  Ricorro a questa forma grafica, ‘d’i’ cercando di rendere la preposizione articolata ‘dei’; il perché mi riesce difficile da spiegare: si tratta di qualcosa che sento, come se nel mio dialetto di origine le due componenti di + le non fossero accoppiabili. Ma questo è solo un mio ghiribizzo.
[3] L’immagine che mi si è presentata è quella dei cardellini, ma in realtà i passeri sarebbero più compatibili con la scena.
[4] Scrivo ‘un, ad indicare l’aferesi subita dalla negazione non.
[5] Motichijàr indica un movimento lento e talora abbinato ad una certa cautela; qui nella sua forma riflessiva.
[6] ‘ncutt indica stretta vicinanza fisica, congiunzione, aderenza, ma senza alcun richiamo erotico, e questo, specie in un dialetto, è apprezzabile; la forma superlativa, e probabilmente più usata, si forma ricorrendo al raddoppiamento lessicale, come è norma nel cirotano: ‘ncutt ‘ncutt.
[7] Come alla nota 4.
[8] Tummàr, qui in forma riflessiva, si può tradurre ‘cadere’, ma con una certa imprecisione: tummàr è come il dantesco cadere di ‘come corpo morto cade’, insomma è un cadere ‘tragico’, accanto all’uso, pure previsto, di un cadere più ‘quotidiano’.
[9] Penzca corrisponderebbe a ‘penso che’, ma è generalmente sentito e usato come avverbio ad indicare probabilità, e si pronuncia attaccato, a differenza del sintagma penz ca, ‘credo che’.
[10] Se scrivessi si ‘mpèsin, il significato sarebbe: ‘si prendono su, si caricano del peso di… e se ne vanno’ (la relazione con ‘andare’ è sottintesa); se scrivo s’i ‘mpèsin, voglio significare ‘se li prendono su… e vanno’. Potrei scrivere , ma non uso questa forma per poter mantenere la distinzione dal affermazione.
[11] Il troncamento è dovuto ad un fenomeno di eufonia.
[12] Toculijàr è un altro movimento lento, accorto, ma anche dolente, come quello del dente nel suo alveolo; qui è usato n forma riflessiva, ma uno dei significati nella forma transitiva è quello di toccare qualcuno o qualcosa per vedere se si muove o se ‘ancora’ si muove.
[13] L’espressione più comune di questo locativo non prevede il de che ho usato.
[14] Chisà non differisce molto da penzca.
[15] Scommettiamo che ‘ntroppicàr e attroppicàr, sono l’equivalente dello spagnolo ‘tropezar’?

martedì 29 gennaio 2013

Dialetto cirotano, parte I.

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sabato 26 gennaio 2013

Riturnella, traduzione e note di C.A. Amoruso.



   Riprendo in questo post il tema di ‘Riturnella’, poiché è un componimento, musicale e poetico, che prediligo e che mi ‘prende’ sempre. In fondo, afferrare il fruitore è una delle caratteristiche e funzioni salienti della lirica, associata o meno che sia alla musica o al canto. Ripropongo queste riflessioni anche confortato dal giudizio positivo che esse hanno ricevuto da parte del professor Antonello Ricci. Il mio approccio alla cultura è, fondamentalmente, autodidattico e improntato ad un ‘interessato diletto’; in pratica mi confronto coi testi e le materie che arbitrariamente scelgo: ovviamente la mancanza di un confronto comporta dei rischi, per quanto innocui. Da qui deriva la soddisfazione per le parole di apprezzamento da parte dello specialista prof. Ricci, al quale va il mio ringraziamento.
'Riturnella' è un canto popolare calabrese, molto meno noto di 'Calabrisella mia', riscoperto negli  anni '70 (del '900) dall'etnomusicologo cirotano Antonello Ricci (vedi video), del quale, pur nella mia poca conoscenza della materia musicale, segnalo 'La capra che suona' (E. Salvatorelli Editore, collana ‘squiLibri’, Roma 2004), libro scritto a quattro mani con Roberta Tucci, in cui si ‘fotografa’ la musica popolare calabrese, anche - ma non solo - attraverso un ricco apparato iconografico al quale l’uso della fotografia in bianco e nero conferisce una ulteriore patina di aderenza alla realtà ritratta. Successivamente questo 'canto popolare' è stato reso relativamente famoso da Eugenio Bennato, con l'album 'Musicanova' (1978). Credo di poter dire che 'Riturnella' sia un canto di estrazione popolare, ma non 'popolaresco' come 'Calabrisella mia', considerando tra l'altro che 'Riturnella' è stato riscoperto dal Ricci grazie alla memoria di una anziana donna di Cirò, Manciulina Pirito, che ne ricordava le parole, mentre 'Calabrisella mia', ad esempio, io la conoscevo perché alle elementari me la fecero imparare a memoria. E fecero bene, tra l'altro, benché la versione ‘scolastica’ non brilli certo per il suo valore musicale che, specie in certe versioni più spiccatamente commerciali e folkloristiche, nel senso negativo del termine, riesce persino orribile. Discorso diverso merita invece la ‘Calabrisella’ delle origini, questa sì ‘popolare’, nel senso nobile che vorrei allegare a tale termine, e che, come indicatomi dal professor Ricci, si può rintracciare nel brano, presente nel cd allegato a ‘La capra che suona’, recante il titolo ‘A Rosabella’, un canto tipico della provincia di Cosenza. Si tratta, nella versione registrata a Torano Castello nel 1984 dalla voce di Emilia Perrone, di un breve componimento narrativo che il fine orecchio dello studioso ha fatto risalire alle origini della molto più nota e diffusa ‘Calabrisella’, con la quale, a ben vedere, ha poco da spartire, quanto a valore storico e demologico. I due brani, ‘A Rosabella’, e ‘Riturnella’ sono presenti nel cd della rivista ‘World Music’, per la serie Tribù Italiche, dedicato alla Calabria (2004), con la splendida esecuzione, per quanto riguarda Riturnella, del trio ‘Xicrò’, composto dallo stesso Ricci, Alessandro Cercato e Arnaldo Vacca... e pensare che solo grazie all’acquisto quasi fortunoso di quella rivista ho avuto modo di conoscere questa splendida poesia... quando si parla di diffusione della cultura!
Nel riproporre queste note, che vogliono significare soprattutto il mio amore per questo brano e per le mie origini, ho tenuto conto dei suggerimenti che il professor Antonello Ricci mi ha cortesemente offerto in uno scambio di mail. Ovviamente lo ringrazio tanto per i complimenti nei miei confronti, quanto per le osservazioni che ha mosso e che evidenzierò nel resto dello scritto. Lo stesso docente, del resto, premettendo che sulla traduzione da me proposta ‘è sempre difficile trovare una chiave interpretativa per tradurre un testo che di fatto è poetico’ afferma giustamente che ‘le traduzioni sono sempre frutto di interpretazioni e quindi non univoche o filologicamente più o meno esatte.’ E aggiunge che ‘…oggi il testo di Riturnella è stato sottoposto a talmente tante variazioni lessicali, e dialettali, che non è possibile ricostruirlo se non ricorrendo alla versione originaria cantata da Manciulina Pirito a Cirò. Ma anche quella era la sua versione, magari altre persone l'avrebbero cantata con altre leggere differenze.’ A questo aggiungerei che un atteggiamento diffuso, vuoi per gioco, scherno o parodia, vuoi per errata o incompleta conoscenza delle parole, è proprio quello di ‘contribuire’ alla corruzione dei testi originali.
   Nella mia traduzione, la parola ‘rìnnina’ è resa con ‘rondine’ e la parola ‘riturnella’ con ‘rondinella’. Antonello Ricci mi fa notare che in fondo non c’è bisogno di tradurre ‘riturnella’ con ‘rondinella’, dal momento che ‘in realtà è intraducibile essendo un cosiddetto inserto non sense’. La tesi è inappuntabile, ma conservo la traduzione con rondine e rondinella, in quanto mi sembrano più ‘orecchiabili’ o ‘cantabili’ in un contesto in italiano, rispetto a rìnnina. Tra l’altro la parola rondinella è ormai entrata anche nel dialetto cirotano.
 Ringrazio inoltre Riccardo Venturi, uno dei curatori del sito ‘canzoni contro la guerra’, http://www.antiwarsongs.org , dove si possono trovare traduzioni del testo in francese, inglese, greco e spagnolo: http://www.antiwarsongs.org/canzone.php?id=42569&lang=it
   L'esecuzione qui proposta, ripresa da Youtube, è molto 'classica',  da studioso e da studio, per così dire. Altre versioni, magari più 'snelle', si trovano in rete, a cominciare da quella di Eugenio Bennato: alcune si possono ascoltare cliccando sui riquadri accanto al titolo del blog. A mio modestissimo parere, l'esecuzione del trio 'Xicrò' (che poi significa 'Cirò, da 'Ypsicron') rimane insuperata, o perlomeno è quella che preferisco tra tutte.
Vedere la nota finale in calce al post...


 
Tu rìnnina chi vai                                     Tu rondine che vai[1] (A)
Tu rìnnina chi vai                                     Tu rondine che vai  (A)
Lu maru maru                                           Per mari e mari
[2]      (B)
Oi riturnella                                              O
[3] rondinella           (C)
Tu rìnnina chi vai lu maru maru                 Tu rondine che vai per mari e mari   (D)

Ferma quannu ti dicu                                Ferma quanto
[4] ti dico
Ferma quannu ti dicu                                Ferma quanto ti dico
Dui paroli                                                 Due parole
Oi riturnella                                              Oh rondinella
Ferma quannu ti dicu dui paroli               Ferma quanto ti dico due parole

Corri a jettari lu                                        Corri a gettare il
Corri a jettari lu                                        Corri a gettare il
Suspiru a mari                                           Sospiro a mare
Oi riturnella                                               Ohi rondinella
Corri a jettari lu suspiru a mari                 Corri a gettare il sospiro a mare
[5]

Pe' vìdiri se mi rišpunna                             E guarda
[6] se mi risponde
Pe' vìdiri se mi rišpunna                             E guarda se mi risponde 
Lu mio beni                                                Il bene mio
[7]
Oi riturnella                                                O rondinella
Pe' vìdiri se mi rišpunna lu mio beni          E guarda
[8] se mi risponde il bene mio

Non mi rišpunna annò,                                 Non mi risponde, no
[9]
Non mi rišpunna, annò                                 Non mi risponde, no
È troppu luntanu,                                          E’ troppo lontano
Oi riturnella                                                  Ohi rondinella
Non mi rišpunna, annò, è troppu luntanu     Non mi risponde, no, è troppo lontano

È sutt' a na frišcura                                      E’ sotto una frescura
[10]
È sutt'a na frišcura                                       E’ sotto una frescura
Chi sta durmennu,                                        Che sta dormendo
Oi riturnella                                                  O rondinella
È sutt'a na frišcura chi sta durmennu           E’ sotto una frescura che sta dormendo
[11]

Poi si rivigghja cu                                          Poi si risveglia con
Poi si rivigghja cu                                          Poi si risveglia con
lu chjantu all'occhi                                         Il pianto agli occhi
Oi riturnella                                                    Oh rondinella
Poi si rivigghja cu lu chjantu all'occhi           Poi si risveglia con il pianto agli occhi
[12]

Si stuja l'occhi e li                                          Si asciuga gli occhi e gli
Si stuja l'occhi e li                                          Si asciuga gli occhi e gli
Passa lu chjantu                                             Passa il pianto
Oi riturnella                                                   Oh rondinella
Si stuja l'occhi e li passa lu chjantu               Si asciuga gli occhi e gli passa il pianto
[13]

Piglia lu muccaturu                                        Prendi(gli)
[14] il fazzoletto
Piglia lu muccaturu                                        Prendi(gli)
[15] il fazzoletto
Lu vaju a llavu                                               Vado a lavarlo
Oi riturnella                                                    Oh rondinella
Piglia lu muccaturu, lu vaju a llavu               Prendi(gli) il fazzoletto, vado a lavarlo

Poi ti lu špannu a nu                                      Poi te lo stendo
[16] ad una
Poi ti lu špannu a nu                                      Poi te lo stendo ad una
Peru de rosa                                                   Pianta
[17] di rosa
Oi riturnella                                                   Oh rondinella
Poi ti lu špannu a nu peru de rosa                 Poi te lo stendo ad una pianta di rosa

Poi ti lu mannu a Na                                     Poi te lo mando a Na
Poi ti lu mannu a Na                                     Poi te lo mando a Na
puli a stirare                                                  Poli a stirare
Oi riturnella                                                  Oh rondinella
Poi ti lu mannu a Napuli a stirare                   Poi te lo mando a Napoli a stirare

Poi ti lu cogliu a la                                        Poi te lo piego alla
[18]
Poi ti lu cogliu a la                                        Poi te lo piego alla
Napulitana                                                     Napoletana
Oi riturnella                                                   Oh rondinella
Poi ti lu cogliu a la napulitana                         Poi te lo piego alla napoletana

[ Poi ti lu mannu cu                                         [Poi te lo mando col
[19]
Poi ti lu mannu cu                                            Poi te lo mando col
Ventu a purtari                                                 Vento a portare
Oi riturnella                                                      Oh  rondinella
Poi ti lu mannu cu ventu a purtari                    Poi te lo mando a portare col vento
[20]

Ventu và portacellu                                        Vai vento e portaglielo
Ventu và portacellu                                        Vai vento e portaglielo
A lu mio beni                                                Al mio bene
Oi riturnella                                                   Oh rondinella

Ventu và portacellu a lu mio beni]                  Vai vento e portaglielo al mio bene[21]]

Mera pe' nun ti cara                                          Attenta
[22] che non ti cada
Mera pe' nun ti cara                                          Attenta che non ti cada
Pe' supra mari                                                   Di sopra al mare
Oi riturnella                                                       Oh rondinella
Mera che nun ti cara pe' supra mari                  Attenta che non ti cada di sopra al mare

Ca perda li sigilli                                               Ché perdi i sigilli
[23]
Ca perda li sigilli                                               Ché perdi i sigilli
De chistu cori                                                    Di questo cuore
Oi riturnella                                                      Oh rondinella
Ca perda li sigilli de chistu cori.                        Ché perdi i sigilli di questo cuore
[24].


[1] Il testo consta di 16 cinquine che rispettano il seguente schema: un verso ripetuto (A+A), esteso al terzo (B), l’invocazione nel quarto (C), con la ripresa e il completamento nel quinto verso (D), che è composto da A+B.
[2] Il raddoppiamento lessicale è di uso comune e naturalissimo nei dialetti calabresi, sia nella formazione di superlativi di aggettivi, come in italiano, ma anche, diversamente da questo, nella formazione di complementi di moto per luogo, del tipo ‘u maru mar’, lungo il mare, ‘a riva riva’, lungo la riva, ‘a rasa rasa’, 'camminare seguendo una linea radente i muri delle case, con circospezione, ‘a ruva ruva’, per le strade del rione... Il professor Ricci ritiene si debba tradurre semplicemente ‘per mare’. Ciò è esatto, ma il mio ‘per mari e mari’ è dovuto oltre che alla distanza abissale dei due innamorati, anche ad una sorta di peso, di misura, impostami dal mio modo di intendere il verso.
[3] Nel testo in calabrese appare solo l’interiezione ‘Oi’: ritengo che ‘Oi’ si disponga a diverse interpretazioni, relativamente alla diversa intonazione delle richieste rivolte alla rondine; questo ho creduto di fare traducendo talvolta con ‘O’, talaltra con ‘Ohi’, e ancora con ‘Oh’, a segnalare passaggi più o meno dolenti. Ricci osserva che ‘’Oi è una interiezione che spesso ha senso soltanto ritmico e non emotivo’’.
[4] La lezione ‘quannu’ non mi trova d’accordo, nel senso che ritengo ‘quantu’ molto più coerente col testo e con la parlata calabrese:  quel ‘quantu’ significa ‘giusto il tempo di’, ‘solo il tempo che mi serve per…’ e collima secondo me perfettamente con il tono invocativo del testo. Ad un ascolto successivo del brano si sente in effetti la pronuncia ‘quantu’, in luogo del ‘quann’ del testo oggetto di questa traduzione.
[5] Nel ‘gettare il sospiro a mare’ trovo non del tutto peregrino un richiamo alla disperazione; del resto la rondine non ha bisogno del mare per farsi portatrice del sospiro della voce della amante che parla, ma è il mare nella sua immensità anche paurosa e distanziatrice che deve farsi ‘mezzo’ di quel sospiro. Annoto che mi sarei aspettato, in luogo di 'lu suspiru', ('il sospiro'), un 'su suspiru', ('questo sospiro'); tra l'altro l'uso di 'su', dimostrativo, è talmente diffuso che si preferisce e sovrappone all'articolo determinativo 'il', 'lo'.
[6] ‘Pe' vìdiri’, in realtà il raddoppiamento fonosintattico è inevitabile, raddoppiandosi la ‘p’ iniziale, e trasformandosi la ‘v’ in una ‘b’ (ppe' bìdir), altrimenti l’accento si sposta sulla seconda ‘i’ con raddoppiamento della ‘v’: pe' vvidìr, fenomeno che posso attestare senza ombra di dubbio nel dialetto di Cirò/Cirò Marina. Il significato di ‘vidir ca’ è ‘vedi che’, ‘stai attento, bada, guarda, controlla che…’
[7] ‘Lu mio beni’ è forma ‘culturale’, dal momento che la dizione comune è ‘u benu meju’, ‘u benu me'’. Come dire: un ‘mio’ così formulato, in calabrese, non credo esista.
[8] Ritorno un attimo sul dialetto in uso nel testo: date per scontate contaminazioni tra varie parlate di Calabria, quel verbo all’infinito retto da un ‘ppe'’ restringe alquanto l’areale dialettale, escludendo tutta la Calabria a sud di Crotone, dove, come già attestato nella grammatica di D’Ovidio e Meyer-Lubke, inizi '900, si dovrebbe leggere un ‘ppe' mu’ oppure 'ppe' ma', quindi ‘ppe' mu/ma vidi’, ‘ppe' nu mu vidi’.
[9] ‘Annò’ non mi trova assolutamente d’accordo, è solo il legamento, la continuità fonica, tra ‘rišpunna’ e ‘no’, che essendo raddoppiato inizialmente suona come un annò: ‘non mi rišpunna, nnò’ (oppure: ‘umm’ arrišpunna, nnò).
[10] La traduco con ‘frescura’, questa ombra riposante, magari prodotta da un albero o una pergola, dove l’amato lontano è colto dal sonno per le fatiche del corpo e dell’anima, e magari anche per lenire le pene d’amore, considerando il risveglio.
[11] Qui voglio immaginare che la rondinella sia arrivata sul luogo dell’amato e che la voce parlante sia quasi trattenuta, frenata da quel sonno di cui ‘il mio bene’ ha bisogno, anche se costa una nota di malinconia nell’invocazione…
[12] E infatti il sogno dell’amato era animato e percorso dal ricordo della donna ‘poetante’, sicché egli si sveglia e asciuga le lacrime dagli occhi: è stato solo un attimo quel timore avvertito nelle strofe precedenti, quella paura che la voce non potesse essere udita per la troppa distanza.
[13] ‘Passare il pianto’ è costruzione simile all’italiano ‘Passare l’appetito’, ad esempio.
[14]  Il desiderio si sta compiendo: ora la rondine dovrà prendere il fazzoletto che trattiene le lacrime dell’amato e portarlo alla innamorata perché possa lavarlo, stirarlo e ripiegarlo secondo un preciso rituale, addirittura inclusivo di un viaggio di andata e ritorno fino ad una Napoli lontanissima, a quei tempi irraggiungibile ai più, capitale del Regno.
[15] Non escluderei una lettura di quell’articolo ‘lu’ con un dimostrativo ‘ddu’, quello.
[16] Nel senso specifico di ‘sciorinare’. Quel 'te' di 'te lo stendo' è un dativo etico.
[17] In dialetto calabrese ‘peru’ è propriamente piede, in tutte le comuni accezioni, e albero, pianta: ‘per(u) ‘e rosa’ quindi significherebbe più precisamente ‘albero di rosa’, ma in questo contesto indica la pianta della rosa, il rosaio.
[18] Còglir, cògghir, cogghjìr, ha vari significati: qui è senza dubbio piegare, come dicesi dei panni asciutti, anche se non è del tutto peregrina una traduzione che preveda il significato di 'raccogliere', nel senso di 'ritirare' il fazzoletto dal rosaio dove è stato steso (spannùt).
[19] E’ quasi superfluo annotare che i due ‘cu’ corrispondenti, nell’originale, sono sottoposti a raddoppiamento: ‘ccu’, ‘con’.
[20] Altra tipica costruzione idiomatica, dove nell'uso di 'mando' seguito dal verbo all'infinito si potrebbe anche avvertire qualcosa di pleonastico: te lo mando a portare con il vento (complemento di mezzo, ma, volendo modificare la costruzione, si potrebbe leggere come un complemento di causa efficiente, anche).
[21] Le strofe in rosso non sono presenti nella versione musicata dall’ottimo Eugenio Bennato; aggiungo un ‘purtroppo’, in quanto queste due strofe sono altamente esplicative dell’azione: al vento e al viaggio in senso inverso della rondinella viene affidato quel fazzoletto affinché torni dall’amato proprietario, dopo aver provato le cure amorose della donna.
[22] ‘Meràr’ è ‘guardare’, nelle sue varie accezioni, come in spagnolo e nel latino da cui deriva con l’italiano ‘mirare’. Ma significa anche ‘guardare’ nel senso di ‘fare attenzione che/a…’. Altra costruzione sintattica richiederebbe un ‘mera ca un ti cada…’
[23] E quindi l’invocazione finale alla rondine risulta essere che la stessa faccia attenzione, in quel viaggio di ritorno, che non cada in mare quel fazzoletto che è il depositario di quei sigilli del cuore della donna. ‘Sigillare’ è un termine di grande portata in dialetto calabrese, come un sinonimo di chiusura totale ad una ‘alterità’ alla quale non è permesso in alcun modo di intromettersi nella vita dei ‘custodi/depositari’ di quei sigilli.
[24] Tornando alla provenienza geografica del canto, annoto, sulla scorta di questo verso conclusivo, che se di Cirò si tratta, il suo dialetto prevedrebbe l’uso di una ‘erre’ eufonica, poco marcata, tra il verbo ‘perda’ e ‘i sigilli’, non contemplandosi, come articolo determinativo plurale la forma ‘li’. Tra l’altro, ma questa è una supposizione mia, ‘sigilli’ dovrebbe essere una forma ‘nobilitata’, poiché in cirotano sarebbe ‘sincìdd’ o ‘ siggìdd’: sono, queste, notazioni marginali, poiché, anche all’interno di una espressione strettamente dialettale si possono produrre esiti differenti, dovuti ad una sorta di adeguamento ad un dialetto ‘più esteso’, o regionale, come dire: una fase di avvicinamento a quella lingua nazionale sconosciuta, l’italiano, attraverso un approccio ad una  parlata che si ritiene più riconoscibile almeno in ambito regionale. Tra le altre cose, parlare di ‘dialetto calabrese’ non credo sia del tutto esatto: ritengo più giusto parlare di un ‘continuum dialettale calabrese’: i nativi di Reggio, Catanzaro, Castrovillari si intendono, tra di loro, ma per linee sempre più grandi e proporzionali alle distanze intercorrenti tra i rispettivi luoghi d’origine. E proprio questo mi sembra di poter dire, cioè che il ricorso a forme non strettamente locali sia un tentativo, più o meno consapevole, di abbreviare o annullare queste distanze.
Nota finale, un po' a sorpresa...
Insomma, io non volevo dirlo, facevo finta di non capirlo, ma 'Riturnella' non mi pare proprio che in 'calabrese' significhi 'Rondinella'. 'Rondine' si dice 'rìnnina' (i giovani dicono semplicemente 'ròndina'), rondinella si dice 'rinninèdda', e 'rinninùnu' è un grosso maschio di rondine. 'Riturnella', secondo me, si deve intendere 'A riturnella', dove 'A' non è l'articolo determinativo calabrese per 'la', ma indica una 'maniera di', un particolare tipo di canto, incentrato sulla presenza di ritornelli. Mi sbaglierò, ma credo proprio che sia così. Anche se la crasi, nel senso di fusione, rondinella-riturnella è accattivante, oltre che sapientemente dosata.