Quella cosa che ho scritto, più in basso... Devo aggiungere dell'altro, parlare di qualcosa che non è sconfitta o abbandono, ma forse il riconoscere che il tempo, comunque e sempre, ha avuto, o sta prendendo, il sopravvento. Non ho mai scritto nulla, ho solo ricopiato pensieri. A volte questi pensieri, o visioni, non facevano parte di un ordine naturale delle cose, delirando dalla visione ordinaria, ricorrente, delle stesse. Questo è un equivoco che può portare a ritenersi diversi, e probabilmente superiori ad altri, o di costoro più dotati in quanto toccati dall'alito della poesia. Per me non è mai stato così, e non è solo l'umore nero a farmelo dire. Umore nero riesce ad essere un eufemismo. Sono stufo di tutto. Capisco quanto sia falsa la verità, e questo è un punto d'arrivo. Da questo punto d'arrivo riesco difficilmente a prescindere. Devo farmi forza sempre di più, ogni giorno che passa. Devo mostrarmi forte, al punto che qualcuno possa ritenermi tale. Io non sono forte, ho sempre avuto paura. Anche di vincere, e mi annoia lottare, anche alla sola idea. Mi va di pensare, di sognare, e gradirei, se fosse possibile, non esserci, lasciare in vita i pensieri e gli occhi, la memoria, ma sono proprio queste entità quelle che sempre più mi tradiscono, mi fanno velo... Bisognerebbe urlarle le proprie paure, esserne fieri, dire qualcosa come 'ecco, io sono un uomo, anche perché ho paura', poiché lei, la vita, sarà sempre più forte di me, le basterà che la pensi per tenermi in pugno, perché lei sa che sarà sempre il primo pensiero, di ognuno e per quanto. E sono incoerente, massimamente incoerente: rido, o mi faccio beffe, sempre nel mio piccolo, di quanti sventolano i propri miseri vessilli miseri listandoli a coraggio e coerenza:: quest'ultima è, o può ridursi ad essere, solo una matrioska, un contenitore per tutte le incoerenze, le debolezze, le indecisioni, le ripartenze... un essere sempre così diversamente uguali a e da sé. Come il coraggio, quando malinteso viene eretto a difesa delle proprie paure. Basta così, parlavo tra me e questa sera che scende, così simile e nera, quasi anima.
E poi avevo scritto questa cosa che segue, più o meno senza senso, o secondo il senso di uno che gioca a tirare parole contro i vetri, badando a non centrarli.
qui dici c'è passato il tempo
e il dito in aria
rilascia come un abito
antico che frusciando
scivola
ma più addentro
a farsi uno svanire di meandro
parole scarne
segnano labbra, e visi
segue una stria precisa
univoca uno sguardo
che già prossimo è nel lampo
a ravvivare gli occhi d'improvviso
dove scorreva di clessidra e capovolto
un tempo
che tu ritrovi
e antica dici a riconferma
di qui è passato il verno.
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