venerdì 30 dicembre 2016

Matteo. 'L'incertezza sulla mia vita mi ha donato la vita'.

Ieri, 29 dicembre, su 'Libertà', il quotidiano che si pubblica a Piacenza, è apparsa una pagina quasi interamente (o forse interamente, non saprei) dedicata alla storia di Matteo... Cosa dire? Io vorrei tanto ringraziare, di mille cose, e per mille motivi, ma mi sento incapace a farlo, mi sento inadeguato, non all'altezza, non saprei dire. Di fronte a tanto debito non so da dove cominciare a ringraziare: mi conforta però pensare di essere capito, la certezza che la gente che dà, quando lo fa col cuore, non chiede nulla in cambio, e questa è la profonda bellezza dello spirito del dare e del donare.
Non aggiungo altro, solo dico che ci teniamo molto a dire quanto sia importante l'informazione per spingere a diventare potenziali donatori di speranza e di vita. La 'tipizzazione' (passaggio preliminare per diventare donatori) non è nulla di particolare nella sua attuazione pratica, è un semplicissimo prelievo, una monetina che conservata nella banca dati mondiale dei donatori di midollo può diventare un tesoro inestimabile, per chi dona e per chi riceve. E anche il prelievo del midollo consiste in una specie di trasfusione che in tutto richiede una mezza giornata di impegno, all'incirca. Poi il donatore farà dei controlli annuali di routine, per dieci anni, ma - per quanto mi è dato di capire - si tratta solo di precauzioni, o forse di dati da raccogliere ed elaborare da parte delle strutture sanitarie e dei ricercatori. Non aggiungo altro, vuoi perché forse ho visto troppo, in questo anno e mezzo, vuoi perché a parlare è giusto che sia Matteo, con la sua forza e la sua volontà di aiutare comunicando quello che ha vissuto e sta vivendo, con il teatro, nelle scuole, durante i controlli in day hospital. Per parte mia, spero di essere di nuovo inutile, al più presto: vorrebbe dire che questo miracolo, celeste e terreno (di medici e ricercatori, personale di 'emato' e del D.H) si è realizzato. Grazie a tutti, buon anno.


domenica 11 dicembre 2016

M. Benedetti, 'Ganas de embromar', parte seconda

Ecco il resto della traduzione, per i pochi intimi, errori compresi (dovrei riguardare e correggere, ma mi toglierebbe il piacere dell'immediatezza).


sabato 10 dicembre 2016

M. Benedetti, Voglia di sfottere (Ganas de embromar)

La traduzione è fatta a memoria, da una lingua mai studiata, per cui chiedo venia ai miei più che due e meno di quattro lettori.












lunedì 5 settembre 2016

Ritorniamo

Ritorniamo
Da questo piazzale*
Recita la stele
Partì la prima crociata
A sinistra, ingresso ambulanze
Mano nella mano
Se le paure sono una misura dell'infanzia
Entriamo svelti
A cercare certezze, sorrisi
Mi sento come le mie scarpe
Vecchie impolverate
Timorose
O testarde.
Dietro un numero
Ora aspettiamo
Se questo è un padre
Così ti amo.

* Su un edificio che si affaccia sul piazzale della chiesa di Santa Maria di Campagna, una stele ricorda che da lì partì la prima crociata.

ho camminato solo (en Calabre)

ho camminato solo
posando sulla terra antica
degli avi conquistatori
nel suo battito entomofago
ho udito le parlate loro
fuse nell’ansia del possesso
e della predazione
poi che tutti
sono passati di qua
come un canale obbligato
lungo costa
per rompere poi
varcate le Sile
sul versante opposto
Un trono di liquirizie è rimasto
un liquore intatto fatto di scie
di una chimica bizzarra
voltolante nei cieli,
i massi a mare,
e le argille,
le croci lungo le statali
e un rintocco da sfida radicata tanto,
una faida che si morde la coda

pure
il tempo delle Calabrie si va uniformando
anche qui
sembra che il tempo sia lo stesso
di quei luoghi che non urgono di un altrove
perché qui è ovunque
qui è lo spazio che parla di sé
e il tempo che si ripete
in una nullità celeste
e profonda
come una serchia che s’apre tra gli ulivi
e si inabissa
in cerca di una gora
per poter significare: ecco il mio pianto!
qui sono gli ulivi nel loro urlo scarmigliato
qui la vite col suo umore a distillare in ceppi sotto Natale

pure
tutto questo va passando, passerà
Degli scialli rimboccati
dei manti appesi agli usci
non rimane che un ricordo vago
un sentore di risacca
qui en Calabre
dove la vita è un battito
ho atteso che finisse
qualsiasi voglia di moto
mi interessavo solo
a una formica
al suo sogno di argilla
alla serpe affaticata
che ad anse traversava
le squame a strata a strata
per poi riprendere
non vista
o appena percepita
il suo cammino lungo linea
o vita.

domenica 4 settembre 2016

cchjù è rann

cchjù è rann
cchjù nta na mana ccinni capa
u cor è nucia
juscia senza riggettu
si fa vucia
c'ammutuliscia e aspettu
com na frugata 'e vent
ca si mpùa
e attrament
s'appiccia nta rua
l'anima nta nent.
più è grande
più in una mano ce ne sta
il cuore è noce
soffia senza sosta
si fa voce
che ammutolisce e aspetto
come una raffica di vento
che sospinge
e nel frattempo
si accende per via
l'anima in un niente.
(mi scuso per il mio italiano...)

sabato 3 settembre 2016

questo è differente

questo è differente
il sogno a cera persa
quella che tutto inonda
strabocchevole
profondo
incommensurabile nei suoi spazi
di chiari e vuoti
come d'acrolito
così era
differente
dal tempo verde
il colore di nuvola
gioconda
una tristezza
a cavalcare l'ala
di malinconia già fatta strada.

si mirano

si mirano
fermi nell'alto
e si dimentica lo stridore
sono i gabbiani in volo
non importa che planino
né dove o cosa
afferrino
c'è un altrove nell'aria
dove tutto è anima
e allora ben vengano
i gabbiani a planare
e nel loro stridore
una speranza nuova
come qualcosa di mai dimenticato
o di nascosto
un'aria, percorsa.

martedì 30 agosto 2016

Un anno fa...


       Un anno fa, un anno esatto, dove 'esatto' non significa solo 'preciso'...
    Questi figli che hanno il mio stesso vizio, di affezionarsi subito anche alle persone appena incontrate... Per non illudermi, per non soffrirne, mi imponevo consapevolmente di staccarmi, a volte in maniera improvvida, da tanti affetti nascenti. Se fosse allora un bene o un male non saprei dirlo. Di certo, oggi come allora, questa forma di difesa mi dà di che soffrire.

     L'atmosfera del reparto è ovattata, sembra sempre che tutto vada bene, e allora ci inventiamo dei trasferimenti in ospedali di altre città, per quelli che non vediamo da qualche giorno e dei quali mi domandi...

     Mi ritrovo spesso a guardare fuori, e Matteo mi domanda a cosa io stia pensando... E' allora che mi concentro su una gazza, una crepa su un muro di fronte, la targa di una automobile.

     E intanto rivolgo un pensiero a quelli che abbiamo conosciuto e ora si trovano in ospedali di soli prati senza fine.

    Non voglio osservare gazze, crepe, targhe, né, soprattutto, darti le spalle, Matteo, anche perché passa dagli occhi, forse, tutto il meglio che si possa dare...Di sicuro lo dicono, questo meglio che vorrei darti e che non so come si chiama.

giovedì 18 agosto 2016

come a censirne il profumo

come a censirne il profumo
ma non basta
è come una sabbia urgente
di solitudini giustapposte
sono le anime
e il tempo che vi insiste
fatto stelo
in un dato
solo
a risolvere gli assunti
tutti
prima che sia mare
e dopo che si sarà fatto cielo




mercoledì 17 agosto 2016

un calendario fermo a due anni fa

un calendario fermo a due anni fa
e a tutti gli anni che verranno
le lancette sono andate via
portandosi dietro le piccole cose
quelle che forse non bastavano
ad affrontare una vita ci vuole altro
non bastavano più
le pareti a difesa
ora sono distratte
tra una tela di ragno e l'altra
e l'occhio frettoloso
la mano che non si posa
occorrerà provvedersi di teli
e scostarli
perché la polvere non abbia il predominio
seguono
in duplice fila
formiche
sorprese le inghiotte
una luce subito richiusa
la prima volta qui
senza le tue domande
quelle che ritenevi le adatte
per il tuo mestiere antico di mamma.
Di quello che ti ho scritto
sulla tua lapide non si legge quasi nulla
non importa
a te non bisognava dire
eri mia complice di vita
sempre
prima che fosse giorno
così, come ora dormi
supplice di riposo.

martedì 2 agosto 2016

le briciole si son fatte grandi

le briciole si son fatte grandi
ora vanno sole
attratte nel loro peso
inaspettato
verso il fondo
le vedo inabissare
in una goccia di mare
trovammo la gioia
e un ippocampo
microscopico
era confuso
giovane
reduce da chissà quali guerre
lo tenemmo sospeso
al filo dei giorni
così grande
e indifeso
dentro una boccia di vetro
che ne moltiplicava il peso
briciole e cavallucci
rovesciati
obesi
e sul fondo del mare
un sapore di offesa
costava nulla
o tutto
o tanto
resistere ancora
nascosti in superficie da una bolla
invece
scivolavano tra le gambe
le sfioravano
i cavallucci
le briciole gonfie
e se ne andavano
così
come sa attrarre
sul fondo il mare.

sabato 30 luglio 2016

quando vorrai andare

quando vorrai andare
e avrai fame di luoghi
e di tempo
e ti basterà solo
essere qui ed ora
al centro di un gioco
dove ti ritrovi in un sorriso
che basti a compensare
tutte le alchimie dei vasi che comunicano
cosa è stato
cosa mai più sarà

quando avrai sete
di tutte le parole
di tutti i sussurri
e non importerà se prenderanno forme
perfette di silenzi

quando ti ritroverai nell'essere
ovunque
e solo
abbracciato ad un tempo che colora
luoghi di desideri e aurore
allora ti saprai
ti saprai come qualcosa di antico
qualcosa di indefinito
come la vita
vissuta così
come se tutto fosse
e il nulla che incombe non fosse
altro che una speranza
incomprensibile
diversa
come un tempo non nato
o perso.

martedì 5 luglio 2016

vorrei tenerti le mani

vorrei tenerti le mani
di quando bambini ci guardavamo
e nelle palme
tirando a caso non sortiva
che il timore aperto
del mare insonne
del suo moto senza sosta
non sappiamo ancora
né il modo né il luogo
e forse ci rimane solo il tempo
di quella paura di nuotare
Che non abbiamo più
che non importa
troppo alta l'onda

ci teniamo stretti negli occhi
fratello e sorella
venuti al mondo quasi insieme
da un muro di paure.

E vorrei tenerti le mani, le tue
bianche d'infanzia
come in quel tempo
indicarti la riva
o fingere insieme di scoprirla
perché l'uno non fosse
più grande o importante dell'altro
ma all'altra perfettamente
uguale
come qualcosa
che nulla mai separa.


sabato 25 giugno 2016

Borges, Magazine Littéraire, n° 259, novembre 1988, parte II.

Probabilmente non avrà nemmeno un destinatario (che significa: a nessuno gliene può fregare di meno) la mia promessa di esporre su questo blog la monografia dedicata a Borges da 'Magazine Littéraire', sul numero che conservo -ormai non so neppure perché, forse mania di raccogliere oggetti?- da circa trent'anni. A volte questi oggetti sono strani, rimangono lì, dove li riponi, quasi motu proprio, come se non fossero in grado di andarsene, di abbandonarti, di loro spontanea volontà. Sono oggetti incalliti, non se ne vanno, non si spostano, ti abitano...
Con questa seconda 'puntata' si conclude la biografia di J.L.B.





venerdì 24 giugno 2016

Riturnella, postilla.

Questo trascuratissimo blog 'a singhiozzo' ha superato le cinquantamila visualizzazioni, nulla o quasi in confronto al precedente blog, 'catablogario', che su 'Splinder' ospitava le mie 'cataldate'. E' un blog 'disinteressato', ma fa comunque piacere raggiungere dei punti particolari, per così dire, un po' come accade con gli anniversari o con certe ricorrenze o scadenze. Devo dire che il post su 'Riturnella' ha raggiunto e superato, da solo, più di settemila visualizzazioni: questo mi fa piacere, cioè che un tema, un argomento, così particolare, specifico, venga letto e ricercato veramente da ogni parte del mondo, dai paesi più impensati ('calabresi nel mondo', la causa scatenante, ma non solo, ritengo). Spero di aver fatto contento qualche nostro emigrato, parlando di Riturnella, seppure (e anche più, a dire il vero) da non specialista, da profano e, per chi volesse, da ciucciu 'e simenta (che potremmo tradurre con 'asino totale'). Ora, però, un problema lo avrei... come faccio a dire che, a ben guardare e dopo gli ultimi spunti raccolti, mi sembra che intorno a Riturnella si sia costruito qualcosa di poco chiaro, almeno sulla localizzazione delle origini di quel meraviglioso canto. Ma forse è meglio tenersi l'illusione, dopo tutto... va bene così, dài.
 http://krimisa.blogspot.it/2012/12/riturnella-rondine-traduzione-e-commento.html
http://krimisa.blogspot.it/2013/01/riturnella-traduzione-e-note-di-ca.html

Borges, magazine littéraire, n° 259, novembre 1988, parte I.

Nell'ultima 'puntata' accennavo alla clemenza e della buona sorte e dei detentori dei diritti d'autore sugli articoli contenuti nel numero più sopra citato del 'Magazine Littéraire', ai fini di una riproposizione della monografia borgesiana in esso contenuta. I testi sono, ovviamente, in francese, ma non necessitano, ritengo, di una particolare perizia in quella lingua, per essere compresi almeno a grandi linee, dal momento che sono scritti in uno stile che mi sembra veramente chiaro e fruibile anche da non francofoni o da non esperti di francese, come il sottoscritto: si capisce, bisogna rassegnarsi ad ammetterlo. A me sembra, anzi ne sono convinto, che le storie della letteratura, i manuali di storia, e parzialmente anche le poesie, siano i testi più facili e fruttuosi per avvicinarsi alle lingue straniere. Da profano mi sbaglierò, ma è un errore che si può fare, costa poco o nulla.







mercoledì 15 giugno 2016

'Esse est percipi', attualità di uno straordinario J.L. Borges.

Ricorreva in questi giorni, esattamente l'11 giugno, il trentennale della scomparsa dell'Omero del '900, una data che mi sembra non sia stata particolarmente rimarcata dai media. Poteva essere una occasione per ricordare il grande pensatore argentino, un modo per segnalarlo o ricordarlo ai più giovani o ai meno interessati, ma tant'è, forse mi sono perso qualcosa, ho peccato di disattenzione o di distanza da quanto mi accade intorno, non saprei dire. 
Conservo da quasi trent'anni la rivista francese la cui copertina ripropongo in esergo a questo scritto. I francesi sono sempre attenti alla cultura, forse più di qualsiasi altro popolo. Non è il caso di tentare classifiche o classificazioni, non avrebbe senso, forse.
Nei prossimi giorni, buona sorte permettendo e copy right benevolmente accondiscendente, vorrei riproporre l'intera monografia apparsa allora su 'Magazine littéraire'.
Intanto, visto che proprio in Francia si stanno svolgendo, in questi giorni convulsi per i 'cugini transalpini', gli europei di calcio, senza pretesa alcuna vorrei riproporre ai miei quattro amici lettori questo 'esse est percipi', racconto breve e perfetto del quale siamo debitori alla coppia Borges-Bioy Casares. Umilmente credo di poter dire che questo 'raccontino' - il diminutivo è relativo alle dimensioni del testo- è imperdibile, da leggere e rileggere e magari segnalare alle altrui intelligenze e sensibilità. 
Di seguito il link:

venerdì 3 giugno 2016

Due poesie di Matteo.

Matteo ricorda il suo primo compagno di stanza, la numero 7 di 'emato' (ci permettiamo di chiamarlo così, familiarmente, il reparto di ematologia dell'ospedale di Piacenza). Marco, un uomo mite e dolente di dolore vero, non di quello che svolazza in ore stultorum, potendosi equiparare, il dolore fuori luogo, al riso inopportuno. Gli si erano affezionati subito, a Marco, Matteo, e anche Francesco, che spesso lo andava a trovare, nel 'breve' tempo in cui lui, Marco, occupò una stanza diversa da quella di Matteo. Tempo 'breve' è il tempo del 'non c'era più nulla da fare'. Matteo non ha mai smesso di domandarmi di Marco... per qualche mese gli abbiamo ripetuto che era stato ricoverato a Bologna, poi un giorno abbiamo deciso di dirgli di tutti quelli che non ce l'avevano fatta. Non è stato facile, ma lui, Matteo, ancora una volta è stato più forte di tutto e di tutti, di tutti noi perlomeno. 
Matteo non scrive mai a caso, credo sia evidente.

IN MEMORIA

Rispondeva al nome di
Marco Teroni, meccanico
il volto che condivise
per primo i timori
di questo fragile cuore.

Sordo da un orecchio
ma tu sentivi meglio
ascoltavi meglio
la pena dell'animo
quando ingabbiato
vuole fuggire.

Il sorriso emaciato
di quest'uomo
è ora il vento che sospinge
le mie gambe.

E anche se al tuo nome
nessuno più risponde
Io ti so vivo.

DOLORE

Dolore non ha
un nome, ogni parola
affonda, trapassa e lascia
la sofferenza reliquia intatta
dell'umano vivere.

Dolore non ha volto
ma certe notti mi scruta
delle sue orbite vuote
ho sentito lo sguardo come
catena sul mio animo.

Nessun suono è del dolore
anche se in ogni suono
è sofferenza,
eco del nostro quieto
morire.

E senza riflettere né rilucere
il dolore è nulla, nulla è dolore
se non l'istantanea
di questo nulla vita
specchio
in cui trovo me impresso.

domenica 22 maggio 2016

essere un attimo di nuvola

essere un attimo di nuvola
uno solo
come un uomo
che guarda
che sogna
che rimira dorato un dorso
di mano
forse
o il pulsare di una vena
ma per un attimo
nuvola
con solo cielo accanto
e un silenzio che azzurra ogni pensiero
come in alto
solo
come un'ala che diventa mano
e insieme imparano
che volare, troppe volte
è questo suolo così aspro
dove sostare
è quasi un sogno
dopo esaurita ogni lotta.
E si fa tardi
sulla sera senza sosta.

giovedì 19 maggio 2016

Federica Amoruso, 'La bambola di Bineta'.

Se la mia 'bimba dai capelli d'oro' sapesse che ho postato qui queste sue due paginette di sicuro si arrabbierebbe, ma poi ci si farebbe su una risata, o si stringerebbe nelle spalle, o entrambe le cose. Intanto non le dico nulla, se poi lo scopre, pazienza. Spero lo prenda come un apprezzamento o un complimento silenzioso.

 

       

martedì 3 maggio 2016

Camminiamo.

Camminiamo
Dalle case dei pazzi
D'ogni tanto si affaccia
Qualcuno che sembra aver capito tutto
E sembra dire che non serve a nulla
Una sigaretta, forse
Un giaciglio
E le piccole case per le rondini
Che di maggio non servono
Come le domande o le risposte
Incoccate in un arco rapido di baleni.
Una rosa è una rosa è una rosa
E nessuno può saperlo meglio di un maggio
Che occhieggia dai rami di un ulivo.

lunedì 2 maggio 2016

Mirare alle nuvole.

Mirare alle nuvole
sempre più da presso
e sentire
a filo d’orizzonte
la pena del volo che non spicca
rimane
incoccato
il pensiero appeso al suolo
e gira
il mondo
gira lievemente
come un quadro
in debito di livello

rimetto a posto le nuvole
quelle nuove
le mai viste
e quelle che mai mi sorpresero
ché guardavo in terra
per sommergerle
in pozze di sorrisi

le nuvole mi raggiungono sempre
dove più nulla mi vede
e si imprimono
in tondo
nella loro corona
di cuori
di quadri senza chiodi
e fiori
ormai colati a picche.

Le amo quelle nuvole
mai state prima
così prossime
ad un finale in turbini di pioggia.
Pioverà senz’altro
e farà meno male del buio.

domenica 1 maggio 2016

Non voglio più pensare

Non voglio più pensare
E il novero è dolente
Dei volti che altro non domandano
Che di un ricordo che abbrevi
Il tempo dei trascorsi
Ché lento
Incede
Il peso della ricordanza
Sono veli risaputi
Che scosto, quasi indovino
Di polveri che veloci
Adombrano alle viste
Fin dove possono
La memoria e il tatto
Ma poi
Poi non so
Quanto regga
Il filo che tutto tiene
E l’insieme
Si allontana
Quasi scusandomi
Riparte
Un nodo di un attimo
Che solo la gola
Dissimula
E tutto
Appare
Secco
Come un colpo di tosse che ristava
Chissà dove
Voce in cerca
Di suonatori e suono.

lunedì 18 aprile 2016

Rotola un’arancia

Rotola un’arancia
Portata
Dentro
Quale avanzo
Di tavole riproposte
A lungo
E a stento

Non si butta via nulla
Recita il cartello

Facciamo vita
E notte
In un girotondo
Freddo di luci
Troppo svelto spente

C’è un colore che unisce
L’arancia e la sera
Come una buccia
Abbandonata alla sua tela
Col ragno che ripete
Trattarsi di morte
Ma impressa
Come una natura.

domenica 3 aprile 2016

un posto nell'ombra trattiene

un posto nell'ombra trattiene
l'uggia dei labirinti

rimbalzano
in punta di dita
i ricordi dei giochi brevi
di quando l'ombra
anche
era un piccolo tesoro
una refurtiva con garbo
spartita

poi che tutto era
e ristava
dove gli occhi e le dita
adunche d'altrui
non giungevano

così era
dimorare all'ombra
di mandarini e gelsi
ed allevare sogni
e minerali nascosti
nelle cavità dove solo l'ombra osava

strane infanzie
da figli di ferrovieri
ad annusare di nascosto
dal bidone al magazzino
l'odore goffo del carburo

un altro mondo tiene
da qualche parte che solo
noi che non so quanti eravamo
quella sinopia sbiadita
di colori di risa di rimirate
ma tutto breve
come una domanda persa
prima che si senta
il resto del finale

un posto nell'ombra
poco più
e giorni uggiosi
piccoli tesori
chissà dove
mi piacerebbe dire
ascosi
ma per una rima
un'altra ancora
non basta che aspettare
per poter dire
e ora?

si è fatta notte

si è fatta notte
come una gentile morte
il giorno si è messo
da parte
come una carta senza più valore
un nocumento purché sia
e già è lontana
la vela che lo sospingeva
chissà verso quali
attese che la sera ha spento
tra due dita
come fa la luce
quando alla candela
nega persino l'innocenza
rimane
della notte di stearica
un odore che si insinua
e nelle nari
è un fastidio
un'onda
brevissima
che saprebbe di mare
ma qui
ora
la notte
gentile come un sogno oscuro
è l'unico fondale.


quello che le nuvole capovolte

quello che le nuvole capovolte
i greti sanno
il nascere delle strade
prima che fossero vie
e viatici improvvisati
con passo di deriva carpire
finali di nuvolaglia
e sentire
nello spasmo flessibile di rugiade
il momento dove è persa
l'integrità dell'essere
la verde resistenza
prima che siccitosa
avvenga
la moria d'inermi
esseri dai corpi setti
il cammino non ha soste
che non prevedano
altro che vuoti
e in fondo
un buio pieno di speranze
così venimmo alla luce
come i beoni alle mani
ma senza una ragione
senza una convinzione
che non sia il bisogno
di sostenersi
come fratelli digrignando affetti
che si reggano
dondolanti alle corde
di un perimetro che divora
lo spazio d'aria
il tempo a filo
e tutto
tutto
è lotta
contro le nuvole
quiete nelle loro volte.

sabato 26 marzo 2016

attraversiamo

attraversiamo
un bisogno di lentezza confligge
coi punti di arrivo
non ci sono approdi
e la certezza sfugge
i mari che ho toccato
avevano tempi
e luoghi d'urto
ma l'onda
oh, l'onda
era malferma
e disegnava limiti
tra la sabbia e il senso
dell'essere che sdrucciola

guarda
mi ripetevo
doppiandomi in immagini
di linee d'orizzonte
che moltiplicavano ai raggi
del sole le parvenze
poi rassegnavano
dismesse
ombre di se stesse

ed io
come una barca in meno
una sartia senza appiglio
mirando, come una bitta
dal basso
l'onda che si abbatte.


Piccoli fiori riposano

Piccoli fiori riposano
Sul fondo senza pace dell’Egeo
Persi alle viste
Degli occhi che li videro
Crescere stretti nelle loro piccole
Spalle più grandi appena
E forse
Del loro stesso nome
Spaurisce
L’onda racchiusa
In un bordo ormai illacrime 
D'occhi di madri
E padri senza pane
Un futuro breve si perde
Sotto la linea immobile
Del Mediterraneo
Rimangono i sogni
Di tanta vita che si spezza
A galleggiare
E minacciosa
E’ l’ombra che tra i palmizi
Rimbomba di tuono,
S’agita di grisaglia.

Equidistanti sono
Le impronte ferite
Dalla speranza, dall’abbandono.

martedì 22 marzo 2016

Ma fuggite sono le parole

Ma fuggite sono le parole
E arcane nell’ombra
Agitano dita in segno di vittoria

Mostri orrendi si compongono
A sorte
Unendosi
Come chiodi cadendo
Insieme
Al tocco di un magnete

Sono rimaste le mani
Sulle tempie
Anelanti a quella quiete
Che le dita non sanno trattenere

Nemmeno ora che si va spegnendo
L’eco di quella vita
Che innalzava parole acuminate al cielo

Nemmeno ora
Che il silenzio cade
In disperante ossequio
Alla legge dei gravi
Il silenzio stesso,

il silenzio che di tutto è peso.

Salire su domani

Salire su domani
Quando passa
E nel chiuso degli occhi
Riannodare
Un sapore di nuvole
Senza luoghi per sostare
Tutti i colori che conosco
Sanno di un posto senza nome
Dove non si estingue mai
La gioia
Né il fuoco
O il poco germe
Da dove sarà il pane
Quando sono uomo
Tutto un mare mi precede
E sempre
Di salsedine è prezioso
Questo vento che mai allenta
Il suo sussurro
La carezza che inguaribile
mi spinge
come un pungolo che m’agita
un rovello di dentro
ché gaia è la scienza
di sapere ogni angolo

del tempo che mi vive inerme.

giovedì 3 marzo 2016

Tu non darmi la gioia...

Tu non darmi la gioia; nessuna gioia cancella il dolore; ma concedimi, Tu dall'alto, rimedio.
Tu sai, Tu che tutto vedi e comprendi, sai che mai ho creduto fino in fondo. 
Non credere fino in fondo è come non credere. Rimane uno spazio, un granello, che tutto travolge, che tutto sconvolge: è il seme del dubbio, è quel punto dal quale parte la marcia della disfacimento, dell'azzeramento della capacità di credere.
Tu colpisci, nel punto inatteso, e la tua forza è inaudita... e dovrei credere, dovrei credere, poiché altra possibilità non mi è data, ad un Tuo disegno più grande, ad una visione totalizzante e che tutto comprenda, non commensurabile con le grandezze degli uomini. Dovrei credere, passando per le immagini stratificate del canone terreno, per le vie tracciante dai Tuoi ministri troppo spesso interessati o distratti, e agire, per questi campi segnati dai praticanti del culto. Occorrerebbe, forse, eliminare quel granello che si oppone al funzionamento, alla fluire dell'ingranaggio, e lasciarmi andare al moto regolare delle cadenze calendarizzate, al conforto governato dalla liturgia, e alle speranze senza dati di fatto, senza punti fermi che non siano la sola fede, la fede senza condizioni.
Passo, talvolta, dalla Tua casa, e con pudore mal dissimulato, Ti domando e Ti chiedo, per sapere e per avere.
Mi muovo a disagio, svagato tra i simulacri che parlano di Te, e sento che la mia faccia rimane sempre nell'ombra, come in una prigione necessaria; sento il rumore dei miei peccati, lo stridore delle mie debolezze, e mi perdo nelle mie braccia che non riescono ad alzarsi verso di Te, verso il Cielo: non esiste un Cielo a comando, verso il quale indirizzare i propri aneliti o dove affiggere i propri desideri.
Tu lo senti, che non oso andare oltre, che ho vergogna, come è giusto, di chiedere a Te, Tu che non puoi confondere la mia preghiera, così esile nel suo scheletro più interiore, così fragile nella sua struttura e incerta nei suoi passi.
Tu mi vedi, però, so che mi vedi, e in quale che sia la forma in cui Ti manifesti, Ti prego e non chiedo nulla per me, poiché Tu sai, infinitamente sai, e possiedi, e concedi, e doni, rimedio.

In questa sera del 2 di marzo, che la paura mi ha aggredito e ho stretto forte a me  questi figli senza peccato, per loro Ti prego, Tu Padre.  

lunedì 8 febbraio 2016

Correnti.

Potremmo rimanere così per sempre, il nostro contatto potrebbe protrarsi per sempre, il nostro distacco essere demandato all’infinito…
Gli uomini fanno di tutto per separare la vita dalla morte. Si illudono di riuscire ad isolare ciò che ha avuto vita dalla vita che si rinnova.
Inventano superfici lapidee, zincate, con la sottaciuta e disperata intenzione di eliminare il contatto tra ciò che è dolorosamente stato e ciò che nonostante tutto ancora è, ancora continua. L’uomo teme l’invasione dei territori destinati a ciò che non ha più moto.
L’uomo ricorre a sudari, consegna i corpi all’abito e alle scarpe migliori e definitive.
La mancanza di moto è ciò che distingue la vita dalla sua assenza. L’assenza di moto, l’immobilità, la mancanza della capacità di trasferimento nello spazio. Occorre spazio da percorrere per affrontare il tempo.
Un insetto, un corpo segmentato o poco più, l’uomo… l’uomo che dipende dal perfetto coincidere di un punto, uno solo per volta, alla confluenza di una ascissa e di una ordinata. Tutto qui, più o meno, e in quel più o meno di ignota rilevanza risiede la grandezza di quello stesso uomo, arbitro inattendibile nello stabilire l’entità della sua stessa presunta grandezza.
Potremmo rimanere così e proporci allo sguardo, ad ogni possibile considerazione e calcolo, per il resto dei giorni, ammesso che esista un resto quantificabile dei giorni. Di troppe grandezze non si individua che un solo punto, di inizio o finale: troppo poco per giudicare.
Potremmo avviarci verso quel resto dei giorni, certo, certamente, potremmo decidere che così è o dovrebbe essere. Conosciamo i limiti che ci hanno imposto, in questo nostro contatto che ci sembra tanto definitivo: 16 ampere, 250 volts, tu incassata nella parete, serena nell’adempiere il tuo compito, ed io così… tra un min e un max, al di sotto e al di sopra dei quali non è dato conoscere, ma solo immaginare, le conseguenze. Rimarremo sempre così, nel nostro corto circuito, come oggi, mentre osservavo la parete sulla quale ho applicato nuove prese ad incasso, e placche, e un adattatore a due vie. Così, giusto perché le placche non differiscano, perché ci siano più punti nella stanza dove attingere al flusso delle correnti, così simili ai fiumi, ai venti, alla vita, che basta un attimo, una parola, una svista, ed il circuito si interrompe per sempre. Occorre, quando basta, l’intervento dell’uomo. Ma forse non ne vale la pena, di riprendere a vivere.
I vermi, instancabili, riportano vita oltre i marmi, se ne fregano dei tabù di quegli stessi uomini che quando erano al di qua delle lastre ad imperitura memoria ora li riproducono, platelminti, nematelminti, anellidi, in una parola: ‘vermi’.

giovedì 21 gennaio 2016

Su vent i casi casi, con traduzione.

Su vent i casi casi                               Questo vento per le case
Aria fridda ca trasa                             aria fredda che entra
E dintr’all’anima                                 e nell'anima
šcuri ca sbàttini                                   imposte che sbattono
E’ sira                                                 E' sera
E de fora rimànini                               e fuori rimangono
L’occhj mpinti                                     gli occhi affissi
Ntunn a i pizzi a risi                            intorno alle labbra e ai sorrisi
U tempu sinni va                                 il tempo se ne va
Calann senza funnu                              scendendo senza fondo
Penzica rimana ncusa cosa                  forse qualcosa rimane
‘e si mani ch’he stricàtu i muri muri   di queste mani che ho sfregato sui muri
er è nu frišcu ‘e càvicia                      ed è un fresco di calce
na pittura mìsira, mìšchina                  una pittura misera, incapace
c’un cuvèra nonnent e nonnuddu         di dipingere qualcosa e qualcuno.

ti vaj cercann                                      vado in cerca di te
e subba si muri assulati                      e sopra questi muri solitari
c’atr un’ni tegnu                                  ché altri non ne ho
u’biju ca a ttìa                                     non vedo altri che te
ca queta                                               che quieta
queta m’arripèti                                  quieta mi ripeti
i fatti ‘e chissu munnu                         i fatti di questo mondo
tunnu tantu                                           tanto tondo
ca si ti fermi na špinta                        che se ti fermi un attimo soltanto
a quann a quann ca ci trichi                a sostare a mala pena
ti scìvula di mani                                ti scivola di mano
com fa na špera ‘e sul                         come fa una spera di sole
quann è fora staggiona                        quando è fuori stagione
e u vent oramà nti casi                        e il vento ormai dimora
vacanti addimmùra.                            nel vuoto delle case.

mercoledì 6 gennaio 2016

rimangono le devastazioni

rimangono le devastazioni
con occhi che vanno
da riccio ripiegato
a lepre rinnegata
il ciglio della strada
il piede che preme
il bordo che non redime
la vastità delle mezzerie
se ci fosse
una linea di inframmezzate fughe
il sole che fuma
inaccessibile
tra i rami e le brume
si incorpora, la brughiera
ed umida entra
la vita dalla sua via d'uscita