venerdì 3 giugno 2016

Due poesie di Matteo.

Matteo ricorda il suo primo compagno di stanza, la numero 7 di 'emato' (ci permettiamo di chiamarlo così, familiarmente, il reparto di ematologia dell'ospedale di Piacenza). Marco, un uomo mite e dolente di dolore vero, non di quello che svolazza in ore stultorum, potendosi equiparare, il dolore fuori luogo, al riso inopportuno. Gli si erano affezionati subito, a Marco, Matteo, e anche Francesco, che spesso lo andava a trovare, nel 'breve' tempo in cui lui, Marco, occupò una stanza diversa da quella di Matteo. Tempo 'breve' è il tempo del 'non c'era più nulla da fare'. Matteo non ha mai smesso di domandarmi di Marco... per qualche mese gli abbiamo ripetuto che era stato ricoverato a Bologna, poi un giorno abbiamo deciso di dirgli di tutti quelli che non ce l'avevano fatta. Non è stato facile, ma lui, Matteo, ancora una volta è stato più forte di tutto e di tutti, di tutti noi perlomeno. 
Matteo non scrive mai a caso, credo sia evidente.

IN MEMORIA

Rispondeva al nome di
Marco Teroni, meccanico
il volto che condivise
per primo i timori
di questo fragile cuore.

Sordo da un orecchio
ma tu sentivi meglio
ascoltavi meglio
la pena dell'animo
quando ingabbiato
vuole fuggire.

Il sorriso emaciato
di quest'uomo
è ora il vento che sospinge
le mie gambe.

E anche se al tuo nome
nessuno più risponde
Io ti so vivo.

DOLORE

Dolore non ha
un nome, ogni parola
affonda, trapassa e lascia
la sofferenza reliquia intatta
dell'umano vivere.

Dolore non ha volto
ma certe notti mi scruta
delle sue orbite vuote
ho sentito lo sguardo come
catena sul mio animo.

Nessun suono è del dolore
anche se in ogni suono
è sofferenza,
eco del nostro quieto
morire.

E senza riflettere né rilucere
il dolore è nulla, nulla è dolore
se non l'istantanea
di questo nulla vita
specchio
in cui trovo me impresso.

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