Quello che segue
rappresenta un altissimo esempio della poetica che la critica moderna
parapagalese definisce come ''poetica ex palo ad frascas'', anzi
potrebbe eleggersi quale manifesto letterario della corrente
medesima, quella che porta il nome di ''gruppo dei 220''; a
tutt'oggi questa composizione ci sembra rimanere insuperata nel suo
genere, alimentata com'è da una tensione continua, che non ammette
sbalzi né cali, ma in cui si alternano solo picchi verso l'alto,
verso una poetica di una nuova fase, paragonabile solo a quella del
''gruppo dei 380'', che tanta importanza sta avendo nella
letteratura contemporanea del confinante Maradagal, altro paese di
cui meniamo dolorosa cognizione per le lotte interminabili che hanno
insanguinato quelle contrade, il Parapagal e il Maradagal, tanto
vicini ai nostri cuori, che sempre agognarono un'uscita dal brutto
pasticciaccio della guerra fra i due popoli affini.
da 'storia letteraria
del cono sud' di carlos emìlio entrededos (trad. italiana di mena
accasaccio, casa della farfantarìa editore, 2010)
Cosarella scritta stanotte che non
potevo dormire*
tu non sai
come allora
di notte
dove arrivano gli occhi
ciglia lunghe
avvolgono i covi dei ricordi
sono piccole mani
nessuna poetica
sono lievi derive
tenui mancamenti
e forme che più non trattengo
sono incastri di mattoncini
colori di pastelli
e silenzi d'offese
sono canti rappresi
sono sono sono
essi sono
sì, essi sono
io non più
non vorrei, almeno
questo piccolo
credo.
*già dal
titolo dovrebbero cogliersi le affinità con il leopardiano ''canto
notturno di un pastore errante dell'Asia''; come noto, il conte, al
monito ''pensaci, Giacomino'', ammise in tempi non sospetti, con ben
due secoli di anticipo sugli eventi, questa sorta di sudditanza
intellettuale nei confronti del nostro benemerito cittadino delle
lettere parapagalesi, e anche maradagalesi; di questo rendiamo atto
al poeta di Recanati (n.d.r.).
Bene, se qualcuno ha
avuto il buoncuore (diciamo così) di leggere fin qui, avviso di
quanto segue, ovvero delle ''posizioni che non consentono di dirsi
poeti'':
1-ritenersi
e dichiararsi tramiti
di una parola divina che rende irresponsabili delle proprie
operazioni inventive e linguistiche;
2-esprimere
in forma inutilmente oscura e contorta sentimenti o idee già
condivise dal consorzio civile e sociale di appartenenza;
3-illudersi
di essere protagonisti d'una vita d'eccezione solo in quanto la si
scrive;
4-liricizzare,
eroicizzare, amplificare, valori e situazioni di quotidiana
consuetudine;
5-travestire
di abbellimenti un déjà vu;
6-non
riuscire a definire una percezione assolutamente sincera del proprio
sentire;
7-non
attribuire nuovo impulso e nuova energia alla lingua nella quale si
scrive;
8-mancare
di progetto nella prospettiva ampia del macrotesto.
Tutte
queste cose ho letto in un libro di cui sarà senz'altro vietata la
riproduzione anche parziale eccetera; io non pensavo sinceramente che
scribacchiare qualche rigo fosse cosa sì grave!
Che
fare dunque? Far sparire tutti i miei scarabocchi, oppure controllare
attentamente che non siano presenti posizioni ascrivibili
all'elenco di cui sopra? O forse no, forse mi sbaglio... quelle
posizioni impediscono
di potersi dire ''poeti'',
cosa che non mi sono mai sognato di dire, mentre io tutt'al più
vorrei scrivere una poesia, magari piccola piccola, come quella con
cui ho vinto un premio, virtuale, creato ad hoc da me stesso, ma
sempre di premio si trattava... c'è uno solo che la ricorda?
Si
intitolava ''UN ATTIMO'', e diceva così:
un attimo.
Poi finiva, ché mi
sembrava abbastanza. Ciao.
Anzi no, torno
per dire:
''Il
lettore di poesia non esiste e bisogna che lo crei, istantaneamente,
il poeta stesso. Ciò che produce nel lettore un recipiente atto a
ricevere il contenuto possiamo chiamarlo forma,
benché la forma sia il
contenuto medesimo, ma con la capacità di esistere nel lettore. La
forma crea il lettore, lo fa poeta. Il mio territorio è tutto
l'ambito entro il quale io posso convertire in poeta il lettore.
Finisce lì dove essi sono ormai immuni alla mia forma.'' (Pablo
Antonio Cuadra, poeta nicaraguense).
Io
intanto un pensiero piccolo piccolo, come le cose più grandi che
riesco a concepire, ce l'ho, ed eccolo: ''il poeta è il significato,
la poesia è il significante'', me l'ero appuntato su un
quadernetto... purtroppo so cosa significa solo nella mia testa, non
so spiegarlo bene: so che se non è come dico non sarà un problema
sentirmi dire qualcosa del genere ''ma cosa dice questo
qui?!''
''poeta'' è il vissuto, ''poesia'' è la forma; mi spiego meglio se dico che il dolore o il ricordo o comunque ciò che si trasmette sono a carico del primo? non so se mi spiego meglio, non so neanche se mi spiego; però capisco il momento in cui la poesia torna a farsi da parte e rimane la vita, quella che coincide con il poeta o l'artefice, col suo* vuoto; ha senso quindi dire bella poesia? ha senso dire bel poeta?
''poeta'' è il vissuto, ''poesia'' è la forma; mi spiego meglio se dico che il dolore o il ricordo o comunque ciò che si trasmette sono a carico del primo? non so se mi spiego meglio, non so neanche se mi spiego; però capisco il momento in cui la poesia torna a farsi da parte e rimane la vita, quella che coincide con il poeta o l'artefice, col suo* vuoto; ha senso quindi dire bella poesia? ha senso dire bel poeta?
le mie sono solo parole di un profano, ovviamente...
adesso sì 'ciao...'
Gorgogli
e riferimenti da/a C.E. Gadda ''La cognizione del dolore'', A,
Bertoni ''La poesia, Come si legge e come si scrive'', J.L. Borges-A.
Bioy Casares, 'Cronicas de Bustos Domecq', C. A. Amoruso, ''Una
cosarella scritta stanotte che non potevo dormire'' (ovvero le
scemenze che ho scritto fino a questa parola: fine).
*: boh!!!
*: boh!!!
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