...ma forse non esiste nemmeno, la poesia, e i poeti sono un'invenzione, l'ammissione di una incapacità di fondo a riconoscere che la vita, in ogni sua forma, è poesia: uno stadio dal quale ci si è irrimediabilmente allontanati, fino al distacco definitivo...i poeti, riconosciuti o mimetizzati che siano, sarebbero dunque i deputati allo svelamento di questa condizione, più o meno da sempre, dai graffiti delle grotte fino alle sperimentazioni più attuali ed estreme; la poesia (soggetto), a ben guardare, non si nega a nessuno; l'arte poetica è altra cosa: segue al sentire e presiede alla elaborazione del testo; la poetica è il canovaccio che il poeta crede o si impone di aver riconosciuto come catalizzatore per il proprio 'modus operandi poetico', ed al quale vorrebbe attenersi, ma non sempre o possibilmente.
Si è tutti poeti, questo ho sempre creduto e ritenuto possibile, e questo stato dell'essere e del sentire prescindono, ove e quanto possibile, da qualsiasi condizione: esiste una poesia silenziosa, come quella che mi sembra di cogliere nello sguardo di Nerina, la mia gatta, quando guarda la pioggia attraverso i vetri, o come nei gesti di ogni altro essere, -umano o meno che sia-, non in grado di tradurre in una qualsiasi forma- per mancanza di mezzi- questo sentire: l'india analfabeta che allatta la sua creatura, il gatto che trasporta il piccolo per la collottola senza recargli danno, non sono già realizzazioni poetiche? un fiore che si apre, un cielo che cede al tramonto, non sono di per sé stessi realizzazioni poetiche? cosa sono la pioggia o una nuvola, un bacio, una carezza, i sensi che si liberano?
il poeta, l'acculturato uomo fatto, tutto questo, anzi anche questo, vorrebbe avere l'ardire di cogliere e rielaborare...non è poca cosa, e mai vorrei dirmi 'poeta', ché esserlo, invece, quello sarebbe altra cosa, e saltuaria, come è giusto -o come ritengo normale- che sia. Quindi, non corazzarsi di poesia, né di titoli poetici, e non mostrarsi più deboli, delicati, gentili in virtù di una capacità di sentire che è solo una concessione alla autocelebrazione: anche scrivere da decine e decine di anni, anche quello significa poco e niente, conferisce esperienza, di certo, ma un felice esordio è altra cosa, e poi, i tempi li detta la poesia, non il suo esecutore materiale.
Fine del primo pensiero: mo' vado ad intingere un pezzo di pane nel sugo, che per le papille è qualcosa di molto poetico, mentre lo è un po' meno per le gengive che sento già irrigidirsi solo all'idea, e vabbè, si mettessero d'accordo, mica posso spegnere la macchina...(Lo so, i poeti non dicono queste cose; forse non mangiano nemmeno, o lo fanno solo quando nessuno può vederli).
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