1. ...Si sarebbe alzato, come altre volte gli era
capitato di fare: temendosi. Già indovinava i suoi movimenti, il corpo quasi
materializzandosi, le gambe robuste, appena attaccate dal tempo, e gli
avambracci dalle vene rigonfie, a dimostrazione di una forza che ancora oggi si
affacciava, quasi un vezzo, nei suoi ricordi; si vedeva accostare la porta
della camera da letto, con cautela, per non svegliare nessuno, e raggiungere il
bagno...Lì cominciava il rituale di tutte le mattine; lì, come sguainato il
corpo dalla gabbia della pelle, lentamente affondava nei timori, nelle paure,
nel terrore. Solo, a volte, qualche elucubrazione mentale, qualche pensiero che
urgeva o -peggio- ridondava, quasi un avanzo della notte o della giornata
precedente, ostacolava la sua quotidiana discesa in quelli che lui ormai
accettava come gli 'inferi del mattino'. Nessuno sapeva della maschera che
indossava con tanta metodica precisione, prima e dopo quella totale e
sudaticcia immersione nel male nero che lo opprimeva. Aveva notato che gli
oggetti rispettavano un loro disordine naturale, quello che lui, comunque, in
qualche modo casuale ma ripetitivo, assegnava loro. Quasi sempre,
incredibilmente, al suo ingresso nel piccolo bagno, tutto era disposto secondo
le sue aspettative. O meglio, le sue aspettative accoglievano ogni oggetto,
anche il più insignificante, -una lametta usata, un tubo di dentifricio, un
pettinino-, lo fagocitavano, lo conglomeravano, lo immobilizzavano in una
fissità eidomatica che a lui riusciva sempre più difficile da dominare, da
allontanare. Queste visioni si impadronivano del suo tempo, lo costringevano a
dimorare sempre più a lungo in quello stanzino obliquamente illuminato dai
raggi del sole.
Uscirne, quante
volte aveva desiderato silenziosamente di scappare via da quei pochi metri
quadri, arrivando a pensare che la cosa gli risultava impossibile a realizzarsi
in quanto pensata, e per questo difetto di fondo, quindi, irrealizzabile, ché
nessuno doveva udire i suoi pensieri, nemmeno lui stesso, che sarebbe dovuto
essere, quindi e quasi per incanto, allontanato da quella pania che sempre più
lo teneva incollato a quei grovigli informi di pensiero, e a quelle mattonelle
che vedeva come un reticolo sempre più incombente sul suo corpo. (continua??)
2. Lo soccorrevano allora (sì, continua…) gli
orari; essi tracciavano un solco, una linea di demarcazione che da tempo egli
compartiva coi suoi demoni: protraendosi fino al limite estremo quella sorta di
attesa annichilente, ad un certo punto, improvvisamente, l'asse intorno al
quale si avvolgevano i suoi pensieri si arrestava, lasciando il posto ad un
intermezzo di sospensione che solo gli concedeva di raccogliere idee e cose e
consegnarsi al personaggio che gli altri, quelli di là della porta che avrebbe
aperto di lì a poco, conoscevano.
Un uomo stimato
quanto sconosciuto, tale si riteneva, portatore di anime differenti, non
trasformista, non falso, non incoerente, ma dotato di una vita complessiva,
come soleva definire quel suo modo d'essere: complessivo...lasciando che
egli stesso assegnasse un significato diverso a questa parola, certo
accogliendone l'ambiguità che a lui, che ne era volutamente artefice, non
poteva ovviamente sfuggire...anche così giostrava nei suoi giorni, svilendoli.
Tra di sé ripeteva che non c'era nulla di male, che non necessitava poi tanta
intelligenza per capire che una solida incoerenza altro non era che una forma
di coerenza...o viceversa, e qui cominciava a vacillare, decidendo che egli era
coerentemente incoerente, che gli bastava essere sempre incoerente per
essere...beh, lasciamo perdere, ché questo è il meno.
(Potrebbe
continuare, ma smettere è meglio.)
3. ...Cos'hai? Eccola la frase, olofrastica, interrogativa, diretta, ellittica del soggetto, puntuale, inevitabile, in attesa di là dai vetri, attaccata di spalle allo stipite successivo della porta a soffietto dell'angolo cottura. Suona così: un cos'hai?, metallico, gutturale, con quell'attacco indiscutibile di 'ci' dura o semplicemente di kappa iniziale. 'Cos'hai?'.'..Io?', si ripeteva... cos'hai, cosasti, cos'ho...Ma dài, non farmi dire sciocchezze madornali, grossolane, in fondo merito qualcosa di meglio...
Quand'era
successo? Quel giorno, sì, era quello il giorno che lo sorprese, il giorno di
Santa Lucia, con il suo sinistro annuncio o presagio di essere il più breve
dell'anno con il ricordo scolastico che ne era diventato tormentone e
ritornello, quell'amaro ricorso a 'St. Lucy's day, being the shortest of the
year...', ripetuto quasi a prender tempo o smorzare la tensione...
Era stato il
tredici dicembre dell'anno appena trascorso. Era solo in casa, e di là dalla
porta, quella domanda, 'cos'hai?', non gliela avrebbe posta nessuno...Non
la moglie, e nemmeno i figli...non rimaneva che lui stesso a porsi quella
domanda, ma coniugare quel verbo, volgerlo in prima persona, era un passo che
sentiva esiziale, sommamente rischioso: sentiva di non dovere e non potere
confessare a se stesso cos'era ciò che aveva sentito, sentiva di non dover far
uscire dai suoi pensieri le parole che potevano indicare ciò che lui temeva di
avere. Solo lui, in una parte remota e intoccabile dei pensieri poteva ospitare
quella paura che stava diventando folle, solo lui, e nessun altro, solo lui e
dio, il suo dio silenzioso, quello che lo seguiva e precedeva ovunque, quello
capace di sostenerlo o sprofondarlo, un dio inesistente che si era formato
negli anni, silenzioso e presente, solo -a volte- distratto, o peggio,
scadente.
4. Sono già usciti, tutti.
Nessuna àncora
alla quale afferrarsi, nessuna marra con la quale arare il fondo, nessuna
domanda alla quale rispondere con stizza o rabbia, nessun diversivo innocente
offerto dalle parole di moglie o figli, nessuno a domandargli cosa avesse. E
quel 'nulla' di rimando che in siffatta solitudine non riusciva a concedersi, niente,
neanche un semplice, volgarissimo, dozzinale, trascurabile 'nulla' per
cominciare un altro giorno che non prometteva nulla di nuovo o di diverso.
Oppure no, era proprio questo ciò che più desiderava: ancora un giorno che non
avesse in sé assolutamente nulla di nuovo o, forse meglio, di diverso.
Aveva sbagliato,
sentiva di aver sbagliato, di aver violato un ambito pericoloso: era andato
oltre, indagando il proprio corpo, saggiandolo, toccandolo dove e come non
avrebbe dovuto.
Quel dolore,
benché circoscritto, era stato subito lancinante: avrebbe dovuto evitare di
conoscerlo, ignorarne l'esistenza, e, forse, la persistenza, ché magari esso
era lì da tempo, silenzioso, ad attenderlo.
Quella scoperta,
invece, era un guaio; non aveva mai creduto alla prevenzione, agli inviti dei
manifesti dai corridoi d'ospedale, ne aveva sempre scorso in fretta le parole,
avvertendole quasi come un malaugurio.
Silenzio, silenzio
da toccare con mano, che diventava sempre più spesso, barriera in qualche modo,
ma anche difesa, rete da rimagliare e penetrare, con una agilità, fisica e
mentale, che sentiva declinare.
Intanto paura, sorda, inattaccabile, e una
domanda persistente...'Proprio a me?'
Si risolse ad
ignorare tutto, anche se stesso. E il dolore. Si guardò allo specchio,
maledicendo la lampadina che non aveva mai cambiato, da quando si era
fulminata. Lo scroscio dell'acqua gli sembrò rallentato, maledisse anche
quello, afferrò un asciugamani e svitò il terminale dell'aeratore, vi soffiò
sopra e si fermò ad osservare quel poco di ruggine e sabbia finissima che
ostruiva il passaggio dell'acqua.
Riavvitò
l'aeratore e pensò a cos'altro potesse esserci da maledire, ora che l'acqua
scorreva libera e non serviva a guarirlo. Ora che a guarirlo non bastavano le
cose che sapeva fare o le parole che sapeva dire.
5. Detestava
ricorrenze e festeggiamenti, da sempre, li trovava fuori luogo, piazzate
inutili, alle quale non si sentiva di partecipare in alcun modo. Eppure, fra
pochi giorni, 'the shortest day' si
sarebbe affacciato sul calendario omaggio del grande negozio di scarpe,
campeggiante sul frigo, trattenutovi da due, o forse quattro, calamite. Meglio
due, pensò tra sè, quattro saprebbero tanto di candelabri. E poi, chissà perché
questi calendari hanno sempre dei richiami erotici, -si domandava-,
sfuggendogli l'attrazione esercitata dalle scarpe, almeno di quelle generiche,
come le sue, comprate immancabilmente ai saldi... certo, un po' lo imbarazzava
comprare dei sandali in gennaio, ma insomma... insomma ogni pensiero, anche il
più strampalato, poteva andar bene, purché si frapponesse tra il suo chiodo
fisso e le tempie. Pensare invece a un tacco dieci, come quello del mese di
novembre 2012, gli era impossibile, dacché non ne conosceva nemmeno l'esistenza.
Il pensiero
tornava a quel giorno, e a quelli, i tanti, che lo avevano preceduto, a quella
'normalità' che pure, chissà quanto spesso, aveva detestato. Si trovò a pensare
alla prima volta, alle tante prime volte che aveva atteso fremendo e che aveva
poi dimenticato con una semplicità quasi disarmante, o meglio: inesorabile.
Provò dispiacere per tutte le volte che qualcosa era iniziato e poi finito
così, nel nulla...E non si trattava solo di donne, o di amori, di storie più o
meno corpose (sic) o importanti, ma piuttosto di inizi, in generale, dalla
prima festa degli alberi, al primo compagno conosciuto, al primo giorno di
scuola, il primo impiego, il primo bacio, insomma tutte quelle volte che
qualcosa di nuovo si era andata ad innestare sul corso esile dell'esistenza,
senza sapere se questa parte nuova avrebbe attecchito o sarebbe svanita quanto
prima. Ed ora, invece? Ora cosa gli toccava ricordare? Avvertiva un cambio di
ruoli: tutte quelle prime volte da ricordare, ma obliate, cedevano il passo
alle ultime volte, quelle che a nessuno è dato di decidere e ricordare,
mancando, al protagonista, un prosieguo adeguato: la posterità di se stessi.
Forse aveva cominciato, inconsciamente, a sminuire il valore
dell'esistenza...se da qualcosa doveva staccarsi, forse era meglio, o meno
doloroso, che questo qualcosa perdesse d'importanza. Del resto, sapeva di non
essere nuovo a tatticismi di questo genere, ma ora la situazione era più
complicata, lasciava poco spazio a diversioni e fughe in avanti. Non sapere con
certezza lo attanagliava, e puntare sulla parte sbagliata di quel cinquanta e
cinquanta poteva condannarlo. Cosa, questa, che voleva evitare, sapendola
irreversibile. Sicché si trovò a pensare che in fondo, se si potevano dimenticare,
fino a trascurarle, tutte le parti tanto imprescindibili di quel tutto
rappresentato dalla vita, beh, allora, qual era il problema? Farla valere
sempre meno? E sia, ma intanto decise che era non procrastinabile l'acquisto di
una nuova caffettiera, ché non poteva continuare a cercare delle presine per
afferrarla e versare il caffè, dandosi che... dandosi che questi accidenti di
manici di plasticaccia dura si fondono sempre col calore, -e già questo, dopo
quello dei saldi, era un altro pensiero accorso in aiuto. E chissà,
magari gli avanzava tempo per domandarsi quando era stata la prima volta che si
era fatto un caffè da solo, o se fosse già l'ora di segnare quel giorno come la
data in cui, per l'ultima volta, aveva rovesciato il caffè sul fornello...
6. E' stato
chiaro, non ha fatto ricorso a fronzoli o giri di parole. Affermava la sua
disapprovazione, senza insistere sui particolari, ma con un distacco che non
lasciava scampo ad osservazioni né concedeva eccezioni. Stava dicendo
chiaramente che così non poteva continuare. Si era sentito ferito, in qualche
modo tradito. Nessuno aveva il diritto di impadronirsi dei suoi pensieri, di
modulare i suoi sentimenti, né tantomeno di condurli ed indirizzarli a proprio
piacimento. Neanche quel suo dio così laterale di cui spesso parlava, tra il
serio e il faceto, come di qualcosa di verosimile, se non di vero, una presenza
che si ostinava a difendere, con una funzione specifica, che interessava la sua
esistenza. Era il dio che si era creato, quello dei silenzi, delle richieste
silenziose, dei miracoli chiesti e concessi 'brevi manu', all'insaputa di tutti
gli altri possibili credenti. E che si trattasse di totem, fantoccio,
idolo, giocattolo, amuleto, tutto questo non gli interessava, gli sarebbe
bastato anche un semplice nome o un'idea, purché opponibile alle paure del vivere.
Finalmente, ribadiva di non avere nulla da
chiedere, se non il silenzio, e che tutto questo finisse...
E così il
personaggio che da decine di anni andavo strutturando, dopo pochi abbozzi, ha
subito trovato la forza di ribellarsi, ha rotto le righe e gli indugi, e ha
cominciato se non a dare ordini, almeno a rifiutarli.
Il personaggio,
the character, el disfraz, non risponde ai comandi, e mi rendo conto solo ora
di quanto io sia stato indelicato, o intempestivo, nel tentare di farlo parlare
di sé proprio nel momento meno indicato, mentre egli viveva quel suo dramma, o
semplice timore, - sarà il suo dio a decidere,- che tanto lo stava allontanando
dai miei interessi ormai abitudinari. Ché in fondo, di questo si trattava: si
era rotta e irrimediabilmente compromessa la certezza dell'abitudine.
Sicché non posso
più parlarne, e non so cosa abbia, né se si deciderà a dirmelo, o se
andrà avanti così, in questo stato di speranze declinanti, mostrandosi più o
meno a fatica per come tutti, me compreso, crediamo di conoscerlo. Conserva
sempre una sua certa affabilità e bonomia nel portamento, una disponibilità
appena velata di tristezza, a ben guardare, segnata da qualche garbata discesa
verso l'elegia, e concessioni a gesti ancorché icastici, insistiti, come a sottolineare
qualcosa che manca, o di irrimediabilmente perso, vallo a sapere.
Questa notte che
devo, o dovrei, lasciarlo, mi è più difficile sapere veramente qualcosa, per
piccola che possa sembrare, di qualsiasi uomo, forse ancor più di un
altrettanto qualsiasi personaggio, maggiormente libero, in qualche modo, di
assumere qualsiasi forma, di trasformarsi nel momento meno prevedibile e
sgusciare via dalle dita, dai pensieri, e rendersi sostanza intrattenibile,
come tornando ad essere per sempre, o di nuovo, solo immaginabile. Che è
esattamente ciò che lui ha fatto.
E forse era
proprio così che doveva andare: non avrei mai dovuto lasciarlo parlare, e
rispettarlo un po' di più, il personaggio che mi abitava: credo che gli
regalerò una caffettiera nuova, e qualche pensiero in meno, per farmi perdonare
o perché possa sparire e tornare a sognare.
Fosse anche per l'ultima volta.
7. Dove sei, dove
te ne sei andato... ti sento, al di là dello schermo, ti sento respirare... c'è
sempre un diaframma che si interpone tra noi, ineludibile e necessario, sia
esso schermo o respiro.
Mi sono ribellato
perché la mia capacità di credere ha vacillato, non so se si rivelerà essere
stato un attimo, o se si protrarrà, questa condizione che avrebbe dovuto
imporre ad entrambi, a noi due dico, un silenzio quasi assoluto, e un rispetto
reciproco che ho sentito venir meno. Perché ho avvertito che mi usavi, ancora
una volta, come paradigma o metafora, e non sentivi più, e ancor meno tenevi in
considerazione, questa mia richiesta di attenzione; da qui l'urlo che voleva
eromperne e che sempre più le righe che mi hai imposto faticavano a contenere.
Stai pensando a un 'esame di coscienza', lo so, e mi viene quasi da sorriderne,
ma ti premetto che un abbozzo di sorriso è solo un moto istintivo, una
abitudine da trattenere, e non è la via per un tentativo di ricomposizione,
quella via è più lunga, è così lunga che magari non basta una vita intera a
percorrerla, ad averne ragione; te lo dico sapendo di rischiare di essere
patetico.
Rimango qui, in attesa. Oggi il mio dio è
assente. Forse ti avrebbe parlato.8. Magari è salito sul primo giorno utile, -o ultimo, dipende dal punto s'osservazione-, ed è sparito, o apparso altrove, -anche questo dipende dall'offerta dei dati posseduti.
La disposizione apparentemente
senza un ordine degli oggetti mi dice che, contrariamente da quanto si potrebbe
supporre, l'allontanamento, sparizione, o fuga che sia, non è stato improviso
nè affrettato: è un disordine che gli conosco, le punte delle scarpe sono
rivolte in senso contrario alla porta, i cappucci delle biro sono disposte
tutte nello stesso senso, obliqui al bordo della scrivania, e ogni oggetto, ci
scommetto, è in numero pari, sembra che ogni forma debba elidersi con un'altra
forma, uguale, non simile, in una sorta di cancellazione speculare... verrebbe
da dire che nulla sopravvive di singolare, di unico, in questa sua panoplia
dismessa di piccole armi spuntate...
Mi siedo, ed aspetto il suo dio. Oggi potrei
ascoltarlo.
Non fosse per
questo dolore che costringe all'immobilità, per queste mani che non sanno
decidersi, che forse non vogliono, e per questo cielo che sembra abbassarsi
sempre più inesorabilmente.
Che gli dico, a questo piccolo Giove di pane
e volpe?, che oggi neanche una nuvola? , ed Io?...
9. Una nuvola ed
Io... ed io come potrei abbandonarlo, o sopportarlo? Sa della portata negativa
di queste battutacce, eppure...eppure è fatto così, passa dalla delicatezza dei
dolori goethiani a queste insulsaggini, ma non riesce a rinunciare agli uni né
alle altre. Dovrei prender da lui solo il bene, ad averne ancora il tempo, e
rinunciare alla parte per così dire negativa, o che lui vuole presentare come
tale. Potrei leggere un piacere perfido, in questi suoi atteggiamenti, ma non è
così: entrambi sappiamo che quelle sue cadute di stile -'discese di
alimentazione', le chiama- non sono mai casuali, c'è sempre un motivo che le ha
precedute e ispirate. E' questione di tempo, ha ragione quando dice che lui
stesso non riesce a capirsi: è vero quanto momentaneo, poiché non gli sfugge il
germe delle sue decisioni, delle sue affermazioni. Infatti, col tempo, magari
quando non sarà più necessario o importante, egli si capirà. E se ha parlato di
Giove, di Io, di Goethe, vuol dire che ci tornerà su, questo è fuor di dubbio,
senza concedere nè concedersi un misero 'ti ricordi quando parlavo di...? Ecc.
ecc...'
Dio, quanto lo detesto. E quanto mi manca.10. 4 maggio 1771.
.Amico mio caro, mi voglio correggere, te lo prometto, non voglio più continuare a rimuginare quel poco di male che il destino ci manda, come ho fatto fino a ora; voglio godere del presente, e lasciare che il passato sia passato. Certo tu hai ragione, mio carissimo, molto minori sarebbero i dolori degli uomini se essi - e Dio solo sa perché sono fatti così- non impiegassero tanto zelo di immaginazione nel richiamare alla memoria i mali del passato, piuttosto che sopportare un presente insignificante.
11. Eccola qui, bella e pronta all'uso, la zampata prêt-à-porter del leone sonnacchioso...cosa vi avevo detto?
I dolori del
giovane Werther, belli
preconfezionati, da estrarre dalla pratica confezione e porre in microonde a
900 gradi... ed io dovrei fare la parte dell'apposito contenitore resistente
alle alte temperature? Sì, in fondo anche di qualcosa del genere si è trattato.
Se siamo d'accordo su tutto.
Altrimenti rinfodera i tuoi artigli, mio
sonnacchioso deuteragonista:10 maggio
Una
meravigliosa serenità si è impadronita della mia anima, simile a questo dolce
mattino di primavera che mi godo con tutto il cuore. Sono solo e felice della
mia vita in questo paesaggio che è creato per anime come la mia. Sono così
felice, mio caro, così profondamente immerso in questo sentimento di tranquilla
esistenza, che la mia arte ne soffre.
Anzi, non avendo il sottoscritto turbamenti
artistici, posso affermare che sono più che felice: disperato!
12. Si riavvicina,
non poteva essere altrimenti, siamo legati a doppio filo, anzi no, una miriade
di fili, indistinguibili, ci legano, ci intessono... vano è il tentativo di
dipanarli, di affermare una diversità, di scavare e scavare nel tentativo di
separarci, siamo più che siamesi: sovrapposti, coincidenti, perfettamenti uguali,
non simili, non lati di un problema geometrico, ma la stessa figura, i
cui dati coincidono perfettamente... solo, a volte, speculari, come in questi
giorni, in questo ultimo quasi anno ormai che lui, forse anch'io, abbiamo cercato,
e paventato, un distacco. Non di quello si trattava, ma di ribadire una
capacità reciproca di indagine nell'anima dell'altro.
I giorni, le
paure, le attese, le ansie, le risalite spezzate, ci hanno segnato e indotti a
vacillare; vorrei dirgli di resistere, di recedere da quei propositi assurdi,
di opporsi all'abisso che potrebbe perderlo.
Gli direi guarda
il giorno, anche questo di novembre, di nebbia sottile e buio precoce, di poco
sole e troppi pensieri, respiralo, questo giorno per nulla accattivante,
lasciati scivolargli dentro come un amante silenzioso e caldo, e lascia che la
sua aria ti avvolga, anche questo freddo che sembra quasi minaccioso o gratuito
come una violenza assurda... qui, un altro giorno, sarà maggio, tiepido e
ammiccante, come a Wahlheim, o nel paese dei maggesi umidi e delle spighe
turgide che promettono altro grano, nuovo, e pane, e Lotte...
13. Lotte… ed io che ci ero quasi cascato.
Non è elegante dirti semplicemente...no, meglio non dirlo, non avrò uno stile,
ma di certo delle maniere, e queste non contemplano l'uso di improperii, ma è
quello che meriteresti.
Lotte...Riesci a farti detestare, e perdonare. Perché lo sai bene, che questa
di Lotte potevi risparmiartela.
Ma ad ogni modo,
se serve a distrarmi, anche un sano dolore riesce ammissibile. E' per me che lo
fai, vero?
E dovrei crederti?
Sento il fruscìo di un'altra notte che si
prepara, attenta ai rumori, e non ho nulla da dirti.Il mio dio già dorme. Si è addormentato presto e, a ben guardare, non aveva consigli da darmi.
Per cui non ho bisogno di tossire.
Dormi, ora.
14. La notte è
passata sulle vostre dispute, indifferente ai sussulti, ai fruscìi, a quei
battiti d'ali che tante conseguenze - almeno così dicono - riescono a
provocare nell'emisfero opposto. Tornando a voi, un'altra notte è passata di
bicchieri cercati a tentoni, di luci non accese per non svegliarsi a vicenda,
soprattutto quando l'uno è certo dello stato di veglia dell'altro, ed è meglio
risparmiarsi la fatica di un altro silenzio da riempire a forza di monosillabi.
Per questo ci sarà tempo, durante il giorno, e si offriranno vie di fuga le più
disparate, non come di notte, circoscritti dal buio di un letto.
Sussultate al
minimo frullo d'ali, lo so, anche voi surrettizi come due emisferi, creati per
fini precisi, a rischio di elisione reciproca, incapaci di produrre altra forma
di pensiero che non sia retta da paure, o traumi, - se così vorrete chiamarli-,
sempre afflitti dal vostro dramma di una parità solo fittizia, di una
coincidenza perfetta, - sarà questo essere 'uguali', o divisibili per due?-; lo
so, anche voi, come me, sapete di queille metafore perfette, di Jeckyll e
Hyde...di Cyrano e i suoi doppi. - anzi: doppiati-, ma tutto questo cosa
c'entra con voi? Cosa significa continuare a vivere di una Macondo fatta di
dagherrotipi, di imprese del Cid, di Lazarillo, di pupi e di ricordi perduti e
sparsi tra locomotive abbandonate, letti disfatti, pagine strappate, e sguardi
stinti, labbra rapprese, e immagini volanti via, rondini di sola andata, e
corse senza punti di partenza, né appigli, o solo portatori, forse, di ruvidità
cui apprendersi.
Solo oggi vi parlo, ad entrambi, e il mio
ritardo è colpevole. Come il vostro disordinato apparire.Questa sera tornerete in me, per finire.
Raccolgo le mie e
vostre cose, le ricaccio nella parte pià remota di questa macchina che è
diventata parte di me, e non spingo più su alcun tasto: finisce così, come
doveva.
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