La traduzione è mia, per quel che ricordo di spagnolo. Essendomi imposto di non usare il vocabolario, di sicuro ci saranno errori grossolani, ma mi necessitava esercitare la memoria con qualcosa di stimolante. La scrittura di J. C. è di un castigliano 'classico', sintattticamente e lessicalmente molto simile all'italiano. La prossima volta, se capiterà, cercherò di fare una traduzione seria, questa era inficiata dalla voglia di arrivare fino alla fine al più presto.
Axolotl. (il termine è di origine azteca, come è più che evidente: per facilitare la lettura si può pronunziare 'axoloti').
Axolotl. (il termine è di origine azteca, come è più che evidente: per facilitare la lettura si può pronunziare 'axoloti').
C'è stato un tempo in cui pensavo molto agli axolotl. Andavo a vederli all'acquario del Jardín des Plantes e rimanevo per ore a fissarli, osservando la loro immobilità, i loro oscuri movimenti. Ora sono un axolotl.
Fu il caso a condurmi fino a loro, una mattina di primavera che Parigi faceva la sua ruota di pavone dopo il lungo inverno. Scesi per Boulevard de Port Royal, imboccai St. Marcel e L'Hopital, vidi verdeggiare tra tanto grigiore e mi ricordai dei leoni. Ero amico di leoni e pantere, ma non ero mai entrato nell'umido e scuro edificio dell'acquario. Lasciai la mia bicicletta contro la recinzione e andai a guardare i tulipani. I leoni erano abruttiti e tristi e la mia pantera dormiva. Decisi per l'acquario, evitai pesci comuni fino a quando mi imbattei insperatamente negli axolotl. Rimasi per un'ora a guardarli, poi uscìi come inebetito.
Nella biblioteca Saint-Geneviève consultai un dizionario e seppi che gli axolotl sono forme larvali, provviste di branchie, di una specie di batraci del genere amblistoma. Che fossero messicani lo sapevo già da quello che erano, per le loro faccine rosate azteche e per cartello applicato sopra la vasca. Lessi che si erano trovati esemplari in Africa capaci di vivere nella terra durante i periodo di siccità, e che riprendono la loro vita in acqua all'arrivo della stagione delle piogge. Trovai il loro nome in spagnolo, ajolote, con la nota che sono commestibili e che il loro olio si usasse (si direbbe che non si usi più) come quello di fegato di merluzzo.
Non volli consultare opere specialistiche, ma tornai il giorno seguente al Jardìn des Plantes. Cominciai ad andarci tutte le mattine, a volte mattina e sera. Il custode degli acquari sorrideva perplesso ritirando il biglietto d'ingresso. Mi appoggiavo alla barra di ferro che circonda le vasche e li guardavo. Non c'era nulla di strano in ciò poiché dal primo momento compresi che eravamo vincolati, che qualcosa di infinitamente perduto e distante si ostinava ancora ad unirci. Mi era bastato fermarmi quella prima mattina davanti al cristallo dove alcune bollicine correvano nell'acqua. Gli axolotl si ammucchiavano nel misero e angusto (solo io posso dire quanto angusto e misero) luogo di pietra e muschio dell'acquario.
Ce n'erano nove esemplari e la maggioranza premeva la testa contro il vetro, fissando con i loro occhi d'oro quelli che si avvicinavano. Turbato, quasi vergognandomi, sentìi come qualcosa di impudico il mio sporgermi verso quelle figure e immobili raggrppate sul fondo della vasca. Ne isolai mentalmente una, situata sulla destra e alquanto distaccata dalle altre, per studiarla meglio.Vidi un corpicino rosato e come traslucido (pensai a quelle statuine cinesi di cristallo lattiginoso), somigliante a una piccola lucertola di circa quindici centimetri, terminante in una coda di pesce di straordinaria delicatezza, la parte più sensibile del nostro corpo. Lungo il dorso le correva una aluccia trasparente che andava a fondersi con la coda, ma ciò che mi ossessionò furono le zampe, di una finezza sottilissima, che finivano con piccole dita, e unghie minuziosamente umane.
E allora scoprìi i suoi occhi, la sua faccia, due buchini come capocchie di spillo, completamente di un oro trasparente, carenti di vita ma capaci di guardare e di lasciarsi penetrare dal mio sguardo che sembrava attraversare il punto aureo e perdersi in un diafano mistero interiore. Una delicatissima aureola nera circondava l'occhio e lo inscriveva nella carne rosa, nella pietra rosa della testa vagamente triangolare ma dai lati ricurvi e irregolari, che gli davano una totale somiglianza con una statuina corrosa dal tempo. La bocca era dissimulata dal piano triangolare della faccia, solo di profilo si indovinava il suo volume considerevole; di fronte, una lieve fenditura segnava appena la pietra senza vita. Ai due lati della testa, dove sarebbero dovuto essere le orecchie, gli crescevano tre rametti rossi come di corallo, una escrescenza vegetale, -suppongo le branchie. Ed era tutto quanto c'era di vivo in lui, ogni dieci o quindici secondi i rametti si drizzavano irrigidendosi tornavano ad abbassarsi. A volte una zampina si muoveva appena, io vedevo le minuscole dita posarsi dolcemente sul muschio. E' che non ci piace muoverci molto, e e l'acquario è così misero; appena avanziamo un po' ci scontriamo con la coda o la testa di uno di noi; nascono difficoltà, liti, stanchezza. Il tempo ci pesa di meno se ce stiamo quieti.
Fu la loro calma ciò che mi fece affacciare affascinandomi la prima volta che vidi gli axolotl. Oscuramente mi sembrò di capire la loro volontà segreta, abolire lo spazio e il tempo con una immobilità indifferente. Poi seppi meglio, il contrarsi delle branchie, il sondare delle belle zampine sulle pietre, lo scatto repentino del nuoto (alcuni di loro nuotano con ils emplice ondeggiare del corpo) mi dimostrava che erano capaci di sottrarsi a quel sopore minerale in cui trascorrevano intere ore. Soprattutto i loro occhi mi ossessionavano. Al loro fianco, nella altre vasche, diversi pesci mi mostravano la semplice stupidità dei loro begli occhi somiglianti ai nostri. Gli occhi degli axolotl mi parlavano della presenza di una vita differente, di un altro modo di guardare. Premendo la mia faccia contro il vetro (a volte il custode tossiva inquieto) cercavo di vedere meglio i piccoli punti dorati, quell'entrata nel mondo infinitamente lento e remoto delle creature rosate. Era inutile picchiettare col dito il cristallo, nelle loro facce non si avvertiva la minima reazione. Gli occhi d'oro continuavano ad ardere con la loro dolce, terribile luce; continuavano a fissarmi da una profondità insondabile che mi dava le vertigini.
E tuttavia erano vicini. Lo sapevo già da prima, prima di essere un axolotl. Lo seppi dal giorno che mi avvicinai a loro per la prima volta. I tratti antropomorfici di una scimmia rivelano, al contrario di ciò che crede la maggioranza, la distanza che intercorre tra loro e noi. L'assoluta mancanza di somiglianza degli axolotl con l'essere umano mi confermava la validità della mia intuizione, che non mi stavo basando su facili analogie. Solamente le manine...Ma anche una lucertolina ha manine simili, eppure in nulla ci rassomiglia. Io credo che fosse la testa dell'axolotl, quella forma triangolare rosata con gli occhietti d'oro. Questo guardavo e sapevo. Questo volevo. Non erano animali.
Sembrava facile, quasi ovvio, cadere nella mitologia. Cominciai a vedere negli axolotl una metamorfosi che non riusciva ad annullare una misteriosa umanità. Li immaginai coscienti, schiavi del loro corpo, eternamente condannati ad un silenzio abissale, ad una riflessione disperata. Il loro sguardo cieco, il ristretto disco d'oro inespressivo e tuttavia terribilmente lucido, mi penetrava come un messaggio: ''Salvaci, salvaci.'' Mi sorprendevo a biascicare parole di conforto, trasmettendo puerili speranze. Loro continuavano a fissarmi immobili; subito le lamelle rosate delle branchie si irrigidivano. In quell'istante sentivo come un dolore sordo; forse mi vedevano, coglievano il mio sforzo di penetrare nell'impenetrabilità delle loro vite. Non erano esseri umani, ma in nessun animale avevo trovato una relazione così profonda con me. Gli axolotl erano come testimoni di qualcosa, e a volte come dei giudici orribili. Mi sentivo ignobile di fronte a loro, c'era una purezza spaventosa nei loro occhi trasparenti. Erano larve, ma larva vuol dire maschera e anche fantasma. Dietro quelle facce azteche inespressive e tuttavia di una crudeltà implacabile, quale immagine attendeva la sua ora?
Li temevo. Credo che per non avere sentito la vicinanza di altri visitatori o del guardiano, non avessi osato rimanere solo con loro. ''Lei se li mangia con gli occhi'', mi diceva ridendo il guardiano, che doveva considerarmi un tantino squilibrato. Non si rendeva conto che erano loro a divorarmi lentamente con gli occhi in un cannibalismo d'oro. Lontano dall'acquario non facevo altro che pensare a loro, era come se sentissi a distanza la loro influenza su di me. Arrivai ad andarci tutti i giorni, e di notte li immaginavo immobili nell'oscurità, allungando una mano che subito incontrava quella dell'altro. Forse i loro occhi vedevano in piena notte, e per loro il giorno continuava all'infinito. Gli occhi degli axolotl non hanno palpebre.
Ora so che non ci fu nulla di strano, che il fatto doveva succedere. Ogni mattina, allo sporgermi sull'acquario il riconoscimento era più grande. Soffrivano, ogni fibra del mio corpo raggiungeva quella sofferenza imbavagliata, quella rigida tortura sul fondo dell'acqua. Espiavano qualcosa, una antica nobiltà decaduta, un tempo di libertà in cui il mondo era stato degli axolotl. Non era possibile che una espressione tanto terribile da riuscire a superare la forzata inespressività dei loro volti di pietra, non portasse un messaggio di dolore, la prova di quella condanna eterna, di quell'inferno liquido che pativano. Inutilmente cercavo di dimostrare a me stesso che era mia sensibilità a proiettare negli axolotl una coscienza inesistente. Loro ed io sapevamo. Per questo non ci fu nulla di strano in quel che accadde. La mia faccia era incollata al vetro dell'acquario, i mei occhi cercavano una volta di più di penetrare il mistero di quegli occhi d'oro senza iride né pupilla. Vedevo da molto vicino la faccia di un axolotl immobile contro il vetro. Senza transizione, senza sorpresa, vidi la mia faccia contro il vetro, invece dell'axolotl vidi la mia faccia contro il vetro, la vidi fuori dell'acquario, la vidi dall'altro lato del vetro. Allora la mia faccia si allontanò e capìi.
Solo una cosa era strana: continuare a pensare come prima, sapere. Rendermi conto di ciò fu sulle prime come l'orrore del sepolto vivo che si sveglia al suo destino. Fuori la mia faccia continuava ad avvicinarsi al vetro, vedevo la mia bocca dalle labbra strette per lo sforzo di capire gli axolotl. io ero un axolotl e sapevo ora, istantaneamente, che nessuna comprensione era possibile. Lui era fuori dell'acquario, il suo pensiero era un pensiero fuori dell'acquario. Conoscendolo, essendo lui stesso, io ero un axolotl ed ero nel mio mondo. L'orrore veniva - lo seppi nello stesso istante- dal credermi prigioniero in un corpo di axolotl, trasmigrato in lui con il mio pensare di uomo, sepolto vivo in un axolotl, condannato a muovermi lucidamente tra creature insensibili. Ma questo fini quando una zampa mi sfiorò la faccia, quando muovendomi appena di lato vidi un axolotl vicino a me che mi fissava, e seppi che anche lui sapeva, senza possibilità di comunicare ma tanto chiaramente. O io stavo anche dentro di lui, o tutti noi pensavamo come un uomo, incapaci di una espressione, limitati allo splendore dorato dei nostri occhi che guardavano la faccia dell'uomo incollata all'acquario.
Lui è tornato molte volte, ora più di rado. Passa settimane senza farsi vedere. Ieri l'ho visto, mi ha guardato a lungo e poi se n'è andato bruscamente. Mi è sembrato che non si interessasse tanto di noi, che obbedisse ad una abitudine. Poiché l'unica cosa che faccio è pensare, ho avuto modo di pensare molto a lui. Mi capita che all'inizio continuiamo a comunicare, che egli si senta più che mai legato al mistero che lo ossessionava. Ma i legami tra lui e me sono interrotti, poiché ciò che era la sua ossessione ora è un axolotl, escluso dalla sua vita di uomo. Credo che in principio io fossi capace di tornare in qualche modo a lui -ah, ma solo in qualche modo-, e di mantenere vivo il suo desiderio di conoscerci meglio. Ora sono definitivamente un axolotl, e se penso come un uomo è solo perché ogni axolotl pensa come un uomo dentro la sua immagine di pietra rosata. Mi sembra che di tutto ciò io sia riuscito a comunicargli qualcosa nei primi giorni, quando io ero ancora lui. E in questa solitudine finale, alla quale lui non torna più, mi consola pensare che forse scriverà di noi, che credendo di immaginare un racconto scriverà tutto questo sugli axolotl.
Fu il caso a condurmi fino a loro, una mattina di primavera che Parigi faceva la sua ruota di pavone dopo il lungo inverno. Scesi per Boulevard de Port Royal, imboccai St. Marcel e L'Hopital, vidi verdeggiare tra tanto grigiore e mi ricordai dei leoni. Ero amico di leoni e pantere, ma non ero mai entrato nell'umido e scuro edificio dell'acquario. Lasciai la mia bicicletta contro la recinzione e andai a guardare i tulipani. I leoni erano abruttiti e tristi e la mia pantera dormiva. Decisi per l'acquario, evitai pesci comuni fino a quando mi imbattei insperatamente negli axolotl. Rimasi per un'ora a guardarli, poi uscìi come inebetito.
Nella biblioteca Saint-Geneviève consultai un dizionario e seppi che gli axolotl sono forme larvali, provviste di branchie, di una specie di batraci del genere amblistoma. Che fossero messicani lo sapevo già da quello che erano, per le loro faccine rosate azteche e per cartello applicato sopra la vasca. Lessi che si erano trovati esemplari in Africa capaci di vivere nella terra durante i periodo di siccità, e che riprendono la loro vita in acqua all'arrivo della stagione delle piogge. Trovai il loro nome in spagnolo, ajolote, con la nota che sono commestibili e che il loro olio si usasse (si direbbe che non si usi più) come quello di fegato di merluzzo.
Non volli consultare opere specialistiche, ma tornai il giorno seguente al Jardìn des Plantes. Cominciai ad andarci tutte le mattine, a volte mattina e sera. Il custode degli acquari sorrideva perplesso ritirando il biglietto d'ingresso. Mi appoggiavo alla barra di ferro che circonda le vasche e li guardavo. Non c'era nulla di strano in ciò poiché dal primo momento compresi che eravamo vincolati, che qualcosa di infinitamente perduto e distante si ostinava ancora ad unirci. Mi era bastato fermarmi quella prima mattina davanti al cristallo dove alcune bollicine correvano nell'acqua. Gli axolotl si ammucchiavano nel misero e angusto (solo io posso dire quanto angusto e misero) luogo di pietra e muschio dell'acquario.
Ce n'erano nove esemplari e la maggioranza premeva la testa contro il vetro, fissando con i loro occhi d'oro quelli che si avvicinavano. Turbato, quasi vergognandomi, sentìi come qualcosa di impudico il mio sporgermi verso quelle figure e immobili raggrppate sul fondo della vasca. Ne isolai mentalmente una, situata sulla destra e alquanto distaccata dalle altre, per studiarla meglio.Vidi un corpicino rosato e come traslucido (pensai a quelle statuine cinesi di cristallo lattiginoso), somigliante a una piccola lucertola di circa quindici centimetri, terminante in una coda di pesce di straordinaria delicatezza, la parte più sensibile del nostro corpo. Lungo il dorso le correva una aluccia trasparente che andava a fondersi con la coda, ma ciò che mi ossessionò furono le zampe, di una finezza sottilissima, che finivano con piccole dita, e unghie minuziosamente umane.
E allora scoprìi i suoi occhi, la sua faccia, due buchini come capocchie di spillo, completamente di un oro trasparente, carenti di vita ma capaci di guardare e di lasciarsi penetrare dal mio sguardo che sembrava attraversare il punto aureo e perdersi in un diafano mistero interiore. Una delicatissima aureola nera circondava l'occhio e lo inscriveva nella carne rosa, nella pietra rosa della testa vagamente triangolare ma dai lati ricurvi e irregolari, che gli davano una totale somiglianza con una statuina corrosa dal tempo. La bocca era dissimulata dal piano triangolare della faccia, solo di profilo si indovinava il suo volume considerevole; di fronte, una lieve fenditura segnava appena la pietra senza vita. Ai due lati della testa, dove sarebbero dovuto essere le orecchie, gli crescevano tre rametti rossi come di corallo, una escrescenza vegetale, -suppongo le branchie. Ed era tutto quanto c'era di vivo in lui, ogni dieci o quindici secondi i rametti si drizzavano irrigidendosi tornavano ad abbassarsi. A volte una zampina si muoveva appena, io vedevo le minuscole dita posarsi dolcemente sul muschio. E' che non ci piace muoverci molto, e e l'acquario è così misero; appena avanziamo un po' ci scontriamo con la coda o la testa di uno di noi; nascono difficoltà, liti, stanchezza. Il tempo ci pesa di meno se ce stiamo quieti.
Fu la loro calma ciò che mi fece affacciare affascinandomi la prima volta che vidi gli axolotl. Oscuramente mi sembrò di capire la loro volontà segreta, abolire lo spazio e il tempo con una immobilità indifferente. Poi seppi meglio, il contrarsi delle branchie, il sondare delle belle zampine sulle pietre, lo scatto repentino del nuoto (alcuni di loro nuotano con ils emplice ondeggiare del corpo) mi dimostrava che erano capaci di sottrarsi a quel sopore minerale in cui trascorrevano intere ore. Soprattutto i loro occhi mi ossessionavano. Al loro fianco, nella altre vasche, diversi pesci mi mostravano la semplice stupidità dei loro begli occhi somiglianti ai nostri. Gli occhi degli axolotl mi parlavano della presenza di una vita differente, di un altro modo di guardare. Premendo la mia faccia contro il vetro (a volte il custode tossiva inquieto) cercavo di vedere meglio i piccoli punti dorati, quell'entrata nel mondo infinitamente lento e remoto delle creature rosate. Era inutile picchiettare col dito il cristallo, nelle loro facce non si avvertiva la minima reazione. Gli occhi d'oro continuavano ad ardere con la loro dolce, terribile luce; continuavano a fissarmi da una profondità insondabile che mi dava le vertigini.
E tuttavia erano vicini. Lo sapevo già da prima, prima di essere un axolotl. Lo seppi dal giorno che mi avvicinai a loro per la prima volta. I tratti antropomorfici di una scimmia rivelano, al contrario di ciò che crede la maggioranza, la distanza che intercorre tra loro e noi. L'assoluta mancanza di somiglianza degli axolotl con l'essere umano mi confermava la validità della mia intuizione, che non mi stavo basando su facili analogie. Solamente le manine...Ma anche una lucertolina ha manine simili, eppure in nulla ci rassomiglia. Io credo che fosse la testa dell'axolotl, quella forma triangolare rosata con gli occhietti d'oro. Questo guardavo e sapevo. Questo volevo. Non erano animali.
Sembrava facile, quasi ovvio, cadere nella mitologia. Cominciai a vedere negli axolotl una metamorfosi che non riusciva ad annullare una misteriosa umanità. Li immaginai coscienti, schiavi del loro corpo, eternamente condannati ad un silenzio abissale, ad una riflessione disperata. Il loro sguardo cieco, il ristretto disco d'oro inespressivo e tuttavia terribilmente lucido, mi penetrava come un messaggio: ''Salvaci, salvaci.'' Mi sorprendevo a biascicare parole di conforto, trasmettendo puerili speranze. Loro continuavano a fissarmi immobili; subito le lamelle rosate delle branchie si irrigidivano. In quell'istante sentivo come un dolore sordo; forse mi vedevano, coglievano il mio sforzo di penetrare nell'impenetrabilità delle loro vite. Non erano esseri umani, ma in nessun animale avevo trovato una relazione così profonda con me. Gli axolotl erano come testimoni di qualcosa, e a volte come dei giudici orribili. Mi sentivo ignobile di fronte a loro, c'era una purezza spaventosa nei loro occhi trasparenti. Erano larve, ma larva vuol dire maschera e anche fantasma. Dietro quelle facce azteche inespressive e tuttavia di una crudeltà implacabile, quale immagine attendeva la sua ora?
Li temevo. Credo che per non avere sentito la vicinanza di altri visitatori o del guardiano, non avessi osato rimanere solo con loro. ''Lei se li mangia con gli occhi'', mi diceva ridendo il guardiano, che doveva considerarmi un tantino squilibrato. Non si rendeva conto che erano loro a divorarmi lentamente con gli occhi in un cannibalismo d'oro. Lontano dall'acquario non facevo altro che pensare a loro, era come se sentissi a distanza la loro influenza su di me. Arrivai ad andarci tutti i giorni, e di notte li immaginavo immobili nell'oscurità, allungando una mano che subito incontrava quella dell'altro. Forse i loro occhi vedevano in piena notte, e per loro il giorno continuava all'infinito. Gli occhi degli axolotl non hanno palpebre.
Ora so che non ci fu nulla di strano, che il fatto doveva succedere. Ogni mattina, allo sporgermi sull'acquario il riconoscimento era più grande. Soffrivano, ogni fibra del mio corpo raggiungeva quella sofferenza imbavagliata, quella rigida tortura sul fondo dell'acqua. Espiavano qualcosa, una antica nobiltà decaduta, un tempo di libertà in cui il mondo era stato degli axolotl. Non era possibile che una espressione tanto terribile da riuscire a superare la forzata inespressività dei loro volti di pietra, non portasse un messaggio di dolore, la prova di quella condanna eterna, di quell'inferno liquido che pativano. Inutilmente cercavo di dimostrare a me stesso che era mia sensibilità a proiettare negli axolotl una coscienza inesistente. Loro ed io sapevamo. Per questo non ci fu nulla di strano in quel che accadde. La mia faccia era incollata al vetro dell'acquario, i mei occhi cercavano una volta di più di penetrare il mistero di quegli occhi d'oro senza iride né pupilla. Vedevo da molto vicino la faccia di un axolotl immobile contro il vetro. Senza transizione, senza sorpresa, vidi la mia faccia contro il vetro, invece dell'axolotl vidi la mia faccia contro il vetro, la vidi fuori dell'acquario, la vidi dall'altro lato del vetro. Allora la mia faccia si allontanò e capìi.
Solo una cosa era strana: continuare a pensare come prima, sapere. Rendermi conto di ciò fu sulle prime come l'orrore del sepolto vivo che si sveglia al suo destino. Fuori la mia faccia continuava ad avvicinarsi al vetro, vedevo la mia bocca dalle labbra strette per lo sforzo di capire gli axolotl. io ero un axolotl e sapevo ora, istantaneamente, che nessuna comprensione era possibile. Lui era fuori dell'acquario, il suo pensiero era un pensiero fuori dell'acquario. Conoscendolo, essendo lui stesso, io ero un axolotl ed ero nel mio mondo. L'orrore veniva - lo seppi nello stesso istante- dal credermi prigioniero in un corpo di axolotl, trasmigrato in lui con il mio pensare di uomo, sepolto vivo in un axolotl, condannato a muovermi lucidamente tra creature insensibili. Ma questo fini quando una zampa mi sfiorò la faccia, quando muovendomi appena di lato vidi un axolotl vicino a me che mi fissava, e seppi che anche lui sapeva, senza possibilità di comunicare ma tanto chiaramente. O io stavo anche dentro di lui, o tutti noi pensavamo come un uomo, incapaci di una espressione, limitati allo splendore dorato dei nostri occhi che guardavano la faccia dell'uomo incollata all'acquario.
Lui è tornato molte volte, ora più di rado. Passa settimane senza farsi vedere. Ieri l'ho visto, mi ha guardato a lungo e poi se n'è andato bruscamente. Mi è sembrato che non si interessasse tanto di noi, che obbedisse ad una abitudine. Poiché l'unica cosa che faccio è pensare, ho avuto modo di pensare molto a lui. Mi capita che all'inizio continuiamo a comunicare, che egli si senta più che mai legato al mistero che lo ossessionava. Ma i legami tra lui e me sono interrotti, poiché ciò che era la sua ossessione ora è un axolotl, escluso dalla sua vita di uomo. Credo che in principio io fossi capace di tornare in qualche modo a lui -ah, ma solo in qualche modo-, e di mantenere vivo il suo desiderio di conoscerci meglio. Ora sono definitivamente un axolotl, e se penso come un uomo è solo perché ogni axolotl pensa come un uomo dentro la sua immagine di pietra rosata. Mi sembra che di tutto ciò io sia riuscito a comunicargli qualcosa nei primi giorni, quando io ero ancora lui. E in questa solitudine finale, alla quale lui non torna più, mi consola pensare che forse scriverà di noi, che credendo di immaginare un racconto scriverà tutto questo sugli axolotl.
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